Omelia nella I domenica di Avvento
Fiorentino (RSM), 29 novembre 2020
Ingresso del nuovo parroco don Achille Longoni
Is 63,16-17.19; 64,2-7
Sal 79
1Cor 1,3-9
Mc 13,33-37
Stiamo vivendo, pur nella trepidazione, una domenica speciale.
Inizio di un nuovo anno liturgico: i cristiani vorrebbero abbracciare lo Sposo, il Signore, tutto, tutto in una volta, tutti insieme, ma non è possibile quaggiù; il suo mistero è disteso nel tempo e ritorna ogni anno ciclicamente, come una spirale ascensionale.
Inizio dell’Avvento: quattro settimane che ci preparano a vivere il mistero del Natale del Signore e ci aiutano a mantenere viva la spiritualità dell’attesa.
Inizio di una stagione nuova per la liturgia: l’introduzione della nuova edizione del Messale Romano nella traduzione italiana; il nuovo Messale è il libro della preghiera che unisce tutta la Chiesa; è uno scrigno che contiene tesori di fede e di preghiera bimillenari; è in una veste nuova, perché il popolo di Dio è in cammino nel tempo e aggiunge nuove memorie e feste dei santi.
È un inizio particolare per Fiorentino, la parrocchia intitolata all’apostolo san Bartolomeo: l’ingresso del nuovo parroco, don Achille.
Compiremo insieme con lui alcune azioni che significano la sua presa di possesso: consegna delle chiavi della chiesa e del tabernacolo, imposizione della stola violacea al confessionale; introduzione al fonte battesimale e infine l’accompagnamento alla sede da dove il nuovo parroco presiederà l’assemblea. Il tutto viene preceduto dalla solenne rinnovazione delle promesse sacerdotali da parte di don Achille.
2.
L’evangelista Marco ci accompagnerà nel corso di questo anno liturgico. Oggi abbiamo letto una pericope presa dal capitolo 13. È una pericope (vv. 33-37) doppiamente importante.
È importante anzitutto perché chiude il discorso escatologico pronunciato da Gesù, concluso con un forte invito alla vigilanza ed alla perseveranza nell’attesa del suo ritorno. Per i lettori di Marco l’attesa ed il ritorno del Signore sono due parole dense di significato.
L’attesa. Pochi avevano visto Gesù Risorto, ma era una promessa per tutti: «Vieni, Signore Gesù» (Ap 22,20).
Il ritorno evocava il rientro dall’esilio, ma il popolo si era domandato: «Il Signore è tornato davvero tra noi?». Nel momento dell’esilio gli israeliti avevano sperimentato la presenza del Signore, ma ora erano sconfortati per il quotidiano piuttosto deludente.
I versetti 33-37 letti poco fa sono una chiave di lettura per tutto il Vangelo ed una ouverture al racconto della Passione, morte e risurrezione del Signore. L’attesa del Signore e il suo ritorno, per chi crede (Marco è l’evangelista del catecumeno), hanno il loro compimento nella Pasqua di Gesù.
3.
Si capisce bene allora il peso del verbo che apre la pericope: «Guardate bene». Verbo che allude ad una sorta di illuminazione: se fate attenzione (sguardo di fede), sarete illuminati riguardo all’attesa e al ritorno del Signore. Il Signore tornerà anche se non sapete quando e come: lo dovrete scoprire. Ai suoi servi il padrone «ha lasciato la sua casa e ha dato pieni poteri, a ciascuno il suo compito» (cfr. Mc 13,34). Dovrà essere una fedeltà vigile. Sono elencati quattro momenti della veglia. Corrispondono esattamente al modo in cui i romani dividevano la notte. Potremmo ritrovare qui un riferimento alla Passione di Gesù: arrestato la sera (Mc 14-17), interrogato dal sommo sacerdote nella notte (Mc 14,60-62), rinnegato da Pietro al canto del gallo (Mc 14,72), interrogato da Pilato la mattina (Mc 15,1). Tutta la Passione ruota su queste quattro scansioni temporali.
Marco non fa nulla per attenuare lo “scandalo” della Passione: è proprio lì che si manifesta il Signore. Al centurione romano sarà affidata la professione di fede: «Veramente quest’uomo era figlio di Dio» (Mc 15,39).
4.
La nostra prima esperienza di Dio è la sua assenza: Deus absconditus. Vediamo segni ma lui non l’abbiamo visto (cfr. Gv 1,18): ne abbiamo nostalgia, «se tu squarciassi i cieli e scendessi» (Is 63,19). Ma quando? Gesù è tornato e torna nella sua risurrezione.
«Voi non conoscete il momento» (Mc 13,33). Vegliate se volete cogliere “il momento”. Rimanete sulle sue tracce. Lo riconoscerete nelle pieghe dei nostri giorni. L’evangelista adopera il termine kairòs per indicare il momento favorevole in cui riconoscere il Signore e incontrarlo là dove ci dà appuntamento. Potremmo domandarci: quali sono i segni della sua presenza nella nostra vita? Che cosa ci sta dicendo su quanto stiamo vivendo?
È decisivo per la vita cristiana cogliere l’appello e la presenza del Risorto. In ogni circostanza. In quelle difficili e dolorose ancora di più… sono quelle in cui riconoscerlo crocifisso! È bello imparare a dirgli: «Sei tu Gesù!».
Ancora una precisazione. Marco si serve dell’immagine dei servi che, in assenza del loro Signore, devono eseguirne gli incarichi. Ci parla anche di un portinaio che deve attendere, vegliando, l’arrivo del padrone. Il tempo dell’arrivo è ignoto agli uni e all’altro, ma l’attesa deve restare viva. I servi sono i discepoli che hanno ricevuto incarichi da Gesù da vivere nel servizio (cfr. Mc 9,35; 10,44): la casa appartiene al Signore!
L’opera del portinaio è di primaria importanza. Se il potere dato ai servi fa pensare ad una assenza che si protrae, invece la veglia del portinaio fa presagire un sollecito ritorno: praticamente ogni momento della notte potrebbe essere quello decisivo.
5.
«A ciascuno il suo compito» (Mc 13,34). Questa parola illumina quanto stiamo vivendo oggi: l’ingresso del nuovo parroco nella comunità di Fiorentino. A tutti è richiesto l’unico atteggiamento sensato ed opportuno: saper cogliere l’attimo della presenza del Signore che viene immancabilmente. Ma ci sono compiti diversi.
A voi, cari parrocchiani, viene chiesto di essere vigilanti da «cristiani nel mondo, laici nella Chiesa». Rileggo con voi qualche tratto della Lumen gentium (Vaticano II) sulla missione dei laici nel mondo. Si parte dalla dignità ricevuta nel Battesimo con l’esercizio delle prerogative regali, sacerdotali e profetiche proprie del cristiano. È «proprio dei laici cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio. Essi vivono in mezzo agli impegni e alle occupazioni del mondo e dentro le condizioni ordinarie della vita famigliare e sociale di cui è intessuta la loro esistenza. Lì sono chiamati da Dio a contribuire dall’interno, a modo di fermento, alla santificazione del mondo, mediante l’esercizio della loro specifica funzione, guidati dallo spirito evangelico» (LG 31). Essere lievito nella pasta del mondo; animare le realtà temporali; consacrare il mondo…
A voi laici il compito di portare nella Chiesa le istanze del mondo: «Perché le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini di oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo» (LG 1).
Secondo il vostro compito siete all’interno della comunità non solo esecutori, ma collaboratori del vostro parroco. Vorrei dire di più: siete corresponsabili. Partecipate attivamente alla vita della parrocchia. Non tiratevi indietro quando viene chiesta partecipazione. Penso ai Consigli parrocchiali e ai tanti servizi: dalla catechesi alla liturgia, dalla carità all’animazione pastorale delle famiglie, dalla cura della gioventù alla custodia degli ambienti e della vostra chiesa.
E a don Achille, vostro parroco, dico: «Sii un “custode” premuroso nella “casa” del Signore. Sei stato posto da lui a vegliare su questo gregge».
«Fioriscano sempre in questa comunità, fino alla venuta del suo Sposo, l’integrità della fede, la santità della vita, la devozione autentica, la carità fraterna» (Messale Romano, Messa per la Chiesa locale, Post Communio). Siano questi i cardini della tua azione pastorale. Ti sono chieste competenze in proposito, ma soprattutto tanta prossimità e tanto cuore. Così sia.