Saluto alla International Summer School promossa dall’Università degli Studi della Repubblica di San Marino e dall’Istituto Internazionale J. Maritain
“Politica, economia e relazioni internazionali: quale futuro dopo la Pandemia?”
Piattaforma Zoom, 10 settembre 2020
Il più cordiale saluto a tutti coloro che partecipano a questa Summer School.
Già la copertina del programma promette l’ampiezza e la profondità del lavoro di questi giorni. Una promessa che verrà sicuramente mantenuta.
Ma vorrei sottolineare la pregnanza anche di questo momento: chi parla e chi ascolta, chi modera e chi interviene, vive un’esperienza profonda, nella misura in cui si mette in gioco.
Mi viene in mente il “graffio” che Nietzsche infligge a chi fa delle cose, anche importanti (le loro ginocchia si piegano, e le loro mani si congiungono in adorazione della virtù), «ma il cuore non ne sa nulla»! (Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra, II, Dei virtuosi). Non credo sia il caso nostro, di chi ha lavorato per preparare con sapienza ed acutezza questa Summer School, di chi offre la fatica della preparazione dei temi, di chi entra nella piattaforma attiva-mente. L’incontro, lo studio, sono già un evento: un evento di relazione!
A proposito del tema di questa Summer School, amo riferire un’immagine adoperata da un caro amico che sottolinea come il virus abbia alzato il velo di una realtà che ci avvolge sempre, ma della quale spesso – a meno di essere toccati nella carne – riusciamo a dimenticarci, distratti e impegnati nelle nostre attività. La morte, la malattia, il disagio psichico, la paura, il dubbio, la precarietà, non sono salite da qualche settimana sul treno della nostra vita, ma sono in viaggio con noi da sempre. Solo che talvolta, illudendoci di essere al sicuro negli scomparti business o executive, appoggiando sulle orecchie le cuffie con la musica preferita e visitando il vagone ristorante, fingevamo di non accorgercene. Ora il treno si è fermato, è segnalato un guasto grave, abbiamo dovuto scendere; ora siamo tutti insieme sui binari in attesa che riparta e ci rendiamo conto di essere davvero coinvolti in un unico grande viaggio, senza carrozze di prima o seconda classe, senza trattamenti speciali. Il mondo è proprio un “villaggio globale”, la cui salute ora dipende, paradossalmente, anche dalla “distanza” che riusciamo a tenere con i vicini. Ci è imposto di purificare le relazioni prossime per guadagnare il senso profondo delle relazioni universali.
A proposito di relazioni internazionali, permettete che racconti la mia meraviglia quando partecipai per la prima volta al rito che nella Repubblica di San Marino si ripete ogni sei mesi: l’insediamento dei Capitani Reggenti. Quel giorno la piccola Repubblica, capace di mobilitare tanti rappresentanti, compone e ricompone un bozzetto di umanità futura, riconciliata e unita per la presenza di tanti ambasciatori.
L’epidemia ha costituito anche tra i credenti una sfida, una sfida intima, non senza crisi e lotte, tra il timore di un castigo divino e un appello alla conversione, tra implorazione di aiuto e slancio nella solidarietà, tra una spiritualità individualista ed una spiritualità aperta alla mondialità. Subire il chronos o cogliere il kairòs? Passività o creatività?
Concludo il mio saluto con un breve riferimento al Vangelo. Nella sinagoga c’è un uomo con una mano paralizzata. Gesù lo vede. Forse quell’uomo è lì per chiedere l’elemosina. È rassegnato, chiuso e ripiegato su di sé. In maniera perentoria e quasi militaresca Gesù gli rivolge la parola adoperando tre imperativi: «Alzati… Stai dritto qui nel mezzo… stendi la mano» (cfr. Lc 6,6-11). Si noti come Gesù abbia adoperato imperativi contro la violenza delle forze della natura, contro Satana, contro la febbre… Ma qui gli imperativi sono per colui che è vittima del male, della disabilità, della emarginazione. Il terzo imperativo ricalca pari pari l’imperativo che Dio rivolge a Mosè sulle rive del mar Rosso. Non c’è scampo per Mosè e per il popolo: alle spalle gli egiziani, davanti il mare. Dio dice a Mosè: «Stendi la tua mano» (Es 14,26). Io opero… ma ci vuole tutta la tua parte, il tuo impegno, la tua reazione. Così nel Vangelo c’è un male, c’è il taumaturgo e c’è il miracolato. Non la rassegnazione, ma l’impegno fattivo: «Stendi la mano»!
Mi piace che qui si parli di futuro!