Intervento alla Cerimonia di inaugurazione dell’opera commemorativa per l’emergenza Covid-19
Borgo Maggiore (RSM), Ospedale di Stato, 8 settembre 2020
1.
Potremmo dare un significato traslato alla diagnosi che in questi mesi abbiamo sentito fare sui malati di Covid-19: «Polmonite interstiziale: processo infiammatorio del tessuto connettivo che riveste gli alveoli polmonari».
L’alveolo polmonare è il luogo dello scambio di gas respiratori tra l’organismo e l’ambiente che rende possibile la respirazione. Prendiamo gli alveoli come metafora: c’è una trama (una “postura”) che rende possibile lo scambio delle relazioni e quindi la “respirazione spirituale” degli esseri umani nel loro rapporto con gli altri, col mondo. Se non ci sono infezioni, tutto ok. Se ci sono infezioni sono guai! Vale l’equivalenza: ci può essere un rapporto sociale tra noi salubre e ci può essere un rapporto segnato dalla tossicità.
Abbiamo constatato come, in questi giorni dominati “dal dramma del contagio” e “dal contagio del dramma”, ci siano stati due estremi. Da una parte il congedo solitario di una generazione di persone anziane, morte, per così dire, due volte, perché decedute in solitudine, private anche della cerimonia funebre. Dall’altra parte si è constatato come gli esseri umani siano capaci di replicare all’eccesso di male con un eccesso di bene, che si è tradotto nella dedizione e nella cura, spinte fino ad una fedeltà eroica, fino al dono di sé!
Ecco una risorsa di umanità che nessun insulto patologico è riuscito a cancellare: il bene non è un evento solitario, ma è qualcosa che si vive insieme, dove fede e speranza portano alla carità (cfr. Sant’Agostino, De catechizandis Rudibus).
2.
La pandemia ha scavalcato tutte le recinzioni artificiali, mostrando – come ci ha ricordato anche papa Francesco – che siamo davvero «tutti sulla stessa barca» (cfr. Meditazione del Santo Padre, Sagrato della Basilica di San Pietro, 27 marzo 2020) e non possiamo continuare a contenderci qualche centimetro quadrato a poppa o a prua, nella noncuranza per la rotta da tenere in un mare in tempesta.
«Siamo membra gli uni degli altri», direbbe san Paolo, che ricordava ai Corinti: «Vos non estis vestri (voi non vi appartenete)» (cfr. 1Cor 6,19).
La realtà della interdipendenza e della solidarietà può essere minacciata dal virus dell’individualismo. Non si può essere “globali” nella finanza e non nella fraternità, nella circolazione delle merci e non nel riconoscimento della dignità, nel profitto e non nel welfare, nella libertà e non nella giustizia.
3.
C’è un’analogia fra il contagio virale della pandemia e il contagio globale dell’individualismo che trasmette l’attaccamento ai propri egoismi anche negli “alveoli” dove avviene lo scambio tra pubblico e privato, tra noi e gli altri.
Se siamo autonomi lo siamo non per essere soli, ma per condividere spiritualmente la nostra condizione, per ampliare in estensione ed in profondità le nostre capacità relazionali (autonomia e corresponsabilità). Per questo, le sofferenze della pandemia non ci lasciano indifferenti. Ci guardiamo bene dal rispondere all’appello della corresponsabilità con le parole di Caino: «Sono forse il custode di mio fratello?» (Gen 4,9). Tocca a ciascuno di noi allungare le frontiere della responsabilità e liberare le risorse dell’amore fraterno.
Davanti a questa scultura che oggi inauguriamo, personalmente e insieme rinnoviamo il patto della fraternità.