Omelia nella festa di San Marino
San Marino Città (RSM), Basilica del Santo Marino, 3 settembre 2020
Sir 14,20-15.4
Sal 47
At 2,42-48
Mt 5,13-16
«Le mie sorgenti sono in te città di Dio»: è il motivo ricorrente del Salmo che abbiamo cantato insieme. Un inno alla santa Gerusalemme di Dio. Misticamente siamo stati invitati a ripercorrerla mentre i nostri piedi sono ben piantati sulle strade e le piazze della nostra San Marino. «Fate e rifate il giro di Sion, contate le sue torri, concentrate la mente sulle sue mura, percorrete le sue fortezze e ai futuri racconterete: questa città è di Dio, il Dio nostro che fu e sarà al di là di ogni morte la nostra guida» (Sal 48,12-14)). È quanto mai opportuno, suggestivo, meditare queste parole proprio oggi: «Dio è sempre, nonostante la morte delle generazioni, la guida per il suo popolo».
Si percorre Gerusalemme – come dice il Salmo – e il premio è, una volta arrivati, la visione della santa Gerusalemme, cioè la visione della grazia, del favore di Dio, sempre in attesa di essere trovato. La città degli uomini, quando non diventa Babele, cioè orgoglio e prepotenza, è città di Dio nella quale il Signore abita.
Saluto l’Eccellentissima Reggenza, le Autorità civili e militari; saluto i miei fratelli sacerdoti, i diaconi, le sorelle consacrate presenti o presenti spiritualmente per onorare santo Marino, missionario del Vangelo e fondatore della nostra Repubblica; saluto tutti, anche quelli che in diretta televisiva assistono a questa santa Liturgia.
Questo giorno costituisce un appuntamento festoso, quasi un trampolino di lancio salutare, prima di riprendere il cammino dopo l’estate. Veniamo da un’esperienza che ancora pesa sul nostro Paese e sul mondo intero, la pandemia. In questi mesi tutti ci siamo chiesti il senso di una esperienza così imprevedibile e tragica. «Tutti sulla stessa barca – come diceva papa Francesco – in ansiosa navigazione» (Momento straordinario di preghiera in tempo di epidemia presieduto dal Santo Padre Francesco, 27.3.2020) o, se preferite con un’altra metafora più moderna, il virus ha, per così dire, alzato il velo su una realtà che ci avvolge sempre, ma della quale spesso, salvo essere toccati personalmente, riusciamo a dimenticarci, distratti e impegnati in molte attività, cioè il disagio, la malattia, la morte, la paura, la precarietà. Non sono salite solo da qualche mese sul treno della nostra vita, ma sono in viaggio da sempre con noi, solo che talvolta, illudendoci di essere al sicuro negli scomparti business, mettendo all’orecchio le cuffie con la musica preferita o visitando il vagone ristorante, fingiamo di non accorgercene. Ora il treno si è fermato, è segnalato un guasto grave, abbiamo dovuto scendere. Adesso siamo tutti insieme sui binari in attesa che riparta e ci rendiamo conto di essere davvero coinvolti in un unico grande viaggio, senza carrozze di prima o seconda classe, senza trattamenti speciali: il mondo è proprio un villaggio globale, la cui salute ora dipende paradossalmente anche dalla distanza che riusciamo a tenere con i vicini. Ci è imposto di purificare le relazioni prossime per guadagnare il senso profondo delle relazioni universali: una lezione severa. Così impariamo ad essere meno superficiali, più consapevoli di ciò che davvero conta nella vita, attenti ai fratelli, soprattutto ai più fragili, aperti alla prospettiva della risurrezione, della vita eterna.
A qualcuno è venuto in mente che l’epidemia sia il castigo di Dio: sbaglia chi legge in questo modo l’avvenimento. Eventualmente sì, è appello alla nostra conversione, realistica considerazione del nostro limite, della nostra fragilità.
L’umanità ha il suo percorso nella storia, come del resto ognuno di noi ha il suo cammino. Anche Gesù ha avuto il suo. L’apostolo Pietro, forse per troppo amore, di fronte a Gesù che preannunciava la passione ha esclamato: «No, Signore, questo non ti accadrà mai!». La replica di Gesù è decisa: «Allontanati da me, mi sei di ostacolo», come a dire: «Non chiedermi esenzioni dalla storia, soluzioni di fuga o miracolistiche, voglio essere fedele alla vita» (Mt 16,22). Questa la sostanza della risposta di Gesù a Pietro. E questo ripete a noi.
Immaginate se Gesù avesse accondisceso alla pretesa di Pietro? Immaginate se non fosse salito a Gerusalemme, che ne sarebbe stato della Redenzione? E come avrebbe potuto Gesù, poi, chiedere a noi fedeltà alla vita?
Durante il tempo del lockdown abbiamo pregato molto, in moltissimi, certi che il Signore era con noi in questa prova. Abbiamo pregato perché fosse data forza d’animo a chi era nella sofferenza, perché fosse concessa resistenza a chi era impegnato in prima linea, come il personale sanitario, i governanti, i volontari; abbiamo pregato per saperci aprire verso gli altri. È lecito e anzi doveroso pregare il Signore per chiedergli di intervenire: è nostro Padre, con la preghiera esercitiamo la nostra dignità di figli, ma nell’obbedienza al suo disegno. Anche Gesù – dice l’autore della Lettera agli Ebrei – «pregò con forti grida e lacrime» (Eb 5,7) nel momento della prova. «E fu esaudito», continua la lettera, non perché gli fu tolta la croce, ma perché ottenne di saperla vivere “da figlio”, nella fiducia, nell’abbandono a colui che gli era accanto. Dunque, nessuna fuga, nessuna pretesa di miracolismo, ma un forte appello alla speranza, anzi ad essere speranza in un pianeta malato. Ma si sono visti miracoli, miracoli di generosa dedizione. Proprio l’emergenza Covid ha messo in luce la parte migliore della sammarinesità: l’attenzione ai malati e ai bisognosi, seguiti amorevolmente nel nostro ospedale e a domicilio in maniera veramente encomiabile, con un impegno speciale, indefesso, da parte di operatori sanitari, Forze di Polizia, Servizio di Protezione civile, volontari della Caritas diocesana, Scout, ecc. Nel mio pensiero abbraccio tutti con gratitudine per quello che è stato fatto.
La Repubblica di San Marino, proprio a tutela della vita e della salute, per il tramite del Comitato di Bioetica ha sancito a livello internazionale – credo sia l’unica nazione al mondo – che le terapie debbano essere garantite in base al quadro clinico presentato dal singolo paziente e non da selezioni arbitrarie, a priori, che possano portare a scelte eugenetiche su chi deve ricevere le cure e chi deve esserne escluso. San Marino, inoltre, ha fin da subito messo in maternità anticipata le donne in stato di gravidanza, tutelando in tal modo la mamma e la vita nascente.
Vorrei che gli Eccellentissimi Capitani Reggenti, che proprio sabato mattina alle ore 10:30 faranno visita a papa Francesco, chiedessero al Santo Padre una benedizione particolare su tutti noi della Diocesi di San Marino-Montefeltro. Sottolineo che San Marino e il Montefeltro sono un’unica Diocesi. Dite al Papa il nostro grazie per come ci ha accompagnato in questi mesi.
«Le mie sorgenti sono in te»: sono parole che ci richiamano anche al rischio, sempre in agguato, di dimenticarci del Signore, della sua grazia, del suo favore. Ci meriteremmo allora l’amara constatazione che il profeta Geremia rivolge a Israele: «Stupitene, o cieli, inorridite come non mai – oracolo del Signore – perché il mio popolo ha commesso due iniquità: essi hanno abbandonato me, sorgente di acqua viva, per scavarsi cisterne screpolate che non contengono acqua» (Ger 2,12-13).
Il nostro santo fondatore e patrono Marino torni a richiamarci a quella sorgente. Così sia.