Omelia nella Solennità di San Leo

San Leo, 1° agosto 2019

Gn 12,1-4
Sal 16
Fil 4,4-9
Mt 7,21-27

«Al mondo c’è una sola tristezza: quella di non essere santi» (Léon Bloy). E la santità che cos’è in fondo? Corrispondere alla grazia battesimale. Lasciamoci sorprendere dalla bellezza di questa vocazione. Diceva san Paolo ai cristiani di Corinto: «Non vi sono tra voi molti sapienti, non molti potenti, non molti nobili…» (1Cor 1,26). Eppure, il Signore ha chiamato proprio voi. Nel giorno di san Leone torna questo invito. I santi sono nella Chiesa energie rigeneratrici. E per essere santi non è necessario che gli altri lo sappiano. Comunque «ci sono molti più santi che nicchie…» (Honoré de Balzac).
Sono davanti ad un’assemblea di cristiani consacrati nel Battesimo. Si dirà che la santità è un dono di Dio, che non va scambiata con lo sforzo ascetico, con il self made man, con il perbenismo delle anime probe, simili a ciottoli ben levigati e rotondi nel torrente, che non danno fastidio a nessuno. È vero, la santità è ben altro… Quello che dispiace è che siamo sordi ai richiami del maestro interiore che ci chiama alla santità, al quale talvolta rispondiamo come gli Ateniesi a san Paolo all’areopago: «Su questo argomento ti sentiremo un’altra volta» (At 17,32).
L’abbondanza della Parola di Dio ci travolge, ma non le diamo la possibilità di filtrare attraverso la crosta che abbiamo sull’anima e non ci lasciamo inzuppare, non le permettiamo di essere fradici di lei. Succede, a partire da me, a partire da noi presbiteri, d’essere più preoccupati di servire la Parola di Dio con parole forbite, oppure di servirci della Parola di Dio per sdoganare le nostre idee. E che dire dell’altro grande dono per la nostra santità che è l’Eucaristia, il miracolo quotidiano, sacrificio e mensa, presenza personale del Signore con la sostanza del suo vero corpo, sangue, anima e divinità. Devo riconoscere che a noi presbiteri succede di passar sopra – è soltanto un piccolo particolare – anche a quel breve momento di silenzio nel “post Communio”, che è così vivamente raccomandato dalla liturgia, momento personale, che non toglie nulla allo spirito di comunità, al contrario: un popolo intero che cade nel più profondo raccoglimento crea un silenzio assordante. Nel colloquio personale con Colui che si dà a noi siamo messi davanti alla nostra verità e, senza umiliarci, ci rende umili e fa salire dal cuore la nostalgia della santità. Eucaristia e vita eucaristica. C’è una critica pungente di un filosofo rivolta ai virtuosi: «Ve ne sono di tali che amano gli atteggiamenti, pensano che la virtù sia un atteggiamento; le loro ginocchia si piegano e le loro mani si congiungono, ma il loro cuore non ne sa nulla» (Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra). Critica terribile! Mi inginocchio, congiungo le mani, dico, canto… Ma che ne sa il mio cuore di quello che sto dicendo? Mi rivolgo, anzitutto, a voi laici che in virtù del Battesimo siete chiamati alla santità: che nessuno ne dubiti! Quante volte abbiamo ricordato l’universale chiamata alla santità come ce la suggerisce il Concilio Vaticano II. Un capitolo intero della Lumen Gentium è dedicato a questo. Ognuno di noi battezzati consideri se stesso “membra della redenzione”. La redenzione passa attraverso ciascuno di noi. Paolo arriva a dire: «Completo nella mia carne ciò che manca dei patimenti di Cristo» (Col 1,24). Ognuno si pensi chiamato.
Cari laici, non siete solo oggetto delle nostre cure pastorali, ma partecipi della missione. Arrivate molto più in là di quanto non arriviamo noi presbiteri. Il Concilio sottolinea perfino come i ragazzi siano apostoli dei ragazzi (cfr. AA 12). Questa è la corresponsabilità dei laici, chiamati all’apostolicam actuositatem (azione cattolica). Fatevi avanti, non sottraetevi agli inviti dei vostri parroci, mettetevi a disposizione, continuate ad aiutarci, anzitutto col vostro esempio. Ci siete davvero maestri con la vostra fedeltà alla vita. Non lo dico per compiacenza. Dico ai miei sacerdoti: quando sbuffiamo per la stanchezza, pensiamo alle mamme che non hanno mai un momento di quiete per sé; quando ci lamentiamo per la strada da fare per arrivare in centro diocesi, pensiamo ai parrocchiani che ogni giorno fanno chilometri per andare al lavoro, d’estate e d’inverno… Chiedo a san Leone che non manchi il dono della santità dei laici a tutta la Chiesa. Ribadisco, per noi sacerdoti, l’utilità e la necessità di ascoltare i laici; anzitutto dare loro tutta la nostra considerazione, ma non “per gentile concessione”. È inaudito che vi siano parrocchie nelle quali i Consigli, pastorale e degli affari economici, sono soltanto sulla carta. Inaudito che da parte del presbitero non ci siano fiducia e affidamento di compiti ai laici, nella catechesi, nella liturgia, nella carità, nel canto, ecc. Particolarmente odioso è l’atteggiamento di poca considerazione verso le donne, a volte persino di esclusione. Dico ai laici: «Aiutate la comunità, assumendovi la principale delle vostre responsabilità che è l’animazione delle realtà temporali, in primis la cultura e la politica».
Tornerò presto su alcune preoccupazioni e denunce espresse dal Presidente dei Vescovi italiani, il Cardinale Bassetti, sulla questione della omotransfobia. Mentre siamo spaesati dal virus, mentre siamo in spiaggia o sui sentieri alpini, le commissioni parlamentari preparano e discutono leggi che non possiamo accettare.
Ve lo dice l’ultimo dei vescovi della Chiesa cattolica, però rivestito dell’autorità apostolica: ho ricevuto tanto dai laici, donne e uomini. Talvolta uso l’espressione – consentitemela, anche se è un po’ audace – sono stato generato dalle mie comunità come sacerdote, senza nulla togliere all’imposizione delle mani nel sacramento dell’Ordine. Che sofferenza sapere di sacerdoti che non sanno trattare con i laici, «che la fanno da padroni nella Casa di Dio» (cfr. 1Pt 5,3), che non si lasciano mettere in crisi, non si lasciano aiutare e, quando è necessario, correggere. È un lavoro: sento che lo devo fare per primo su me stesso e lo raccomando ai miei fratelli presbiteri. La santità è un tesoro, un tesoro in vasi di creta, il vaso della nostra fragile umanità (cfr. 2Cor 4,7). Che il Signore continui a metterci accanto sorelle e fratelli che ci dicano la verità e ci aiutino a migliorare e che noi riusciamo ad accogliere tutto questo senza permalosità, senza puntigli, senza meschinità, ma con fiducia e con cuore aperto. Non è solo utile e necessario, ma bello: è l’esperienza della nostra fraternità. Siamo pieni di speranza. Quando la Chiesa sembra dare segni di stanchezza, una segreta germinazione le prepara nuove primavere di santità. Malgrado tutti gli ostacoli che noi frapponiamo, i santi rinasceranno sempre! Così sia!