Omelia nella III domenica di Pasqua
San Marino Città (RSM), chiesa di San Francesco, 26 aprile 2020
At 2,14.22-33
Sal 15
1Pt 1,17-21
Lc 24,13-35
Quando si leggono i discorsi di Pietro dopo la Pentecoste, sorprende vedere la sua franchezza (parresia), la sua libertà di parola, mentre in tanti passi del Vangelo si è dimostrato timoroso. Dopo la pesca miracolosa Pietro esclama: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore» (Lc 5,8). Un’altra volta, quando Gesù preannuncia il suo destino di Passione e di croce, Pietro dice: «Signore, questo non ti accadrà mai» (Mt 16,22). E Gesù arriverà a dire: «Lungi da me Satana! Tu mi sei di scandalo» (Mt 16,23). Durante la Passione, Pietro è tra quelli che rinnegano Gesù… (cfr. Mt 26, 69-75). Come mai questo cambiamento? L’ha spiegato molto bene il Santo Padre qualche giorno fa nella Messa del mattino in Santa Marta. Il cambiamento è dovuto all’incontro con Gesù Risorto; è stata l’effusione dello Spirito Santo nel Cenacolo; ma il Papa sottolinea un altro motivo: Pietro è stato oggetto della preghiera di Gesù. Gesù l’aveva detto all’inizio dell’Ultima Cena: «Pietro, ho pregato per te; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli» (Lc 22,32). Gesù, davanti al Padre, prega per noi e mostra i gioielli più belli che ha: le ferite delle sue mani, segno imperituro del suo immenso amore per ciascuno di noi.
In una apparizione a santa Caterina, Gesù disse: «Credi siano i chiodi a tenermi attaccato alla croce? È il mio amore per te». Dobbiamo rileggere e meditare la Prima Lettura sotto questa luce di amore e di intercessione: così Pietro è diventato un annunciatore coraggioso, libero, pieno di entusiasmo, di Gesù Risorto.
Il nostro occhio si sposta ora su due viandanti che scendono da Gerusalemme verso Emmaus. Se la strada fosse un nastro magnetico ci riferirebbe i loro lamenti, le loro recriminazioni: sogni infranti e speranze deluse. Quei due hanno lasciato la città, Gerusalemme, per andare in un piccolo villaggio. Abbandonano la grande storia per tornare ad un quotidiano umilissimo e nascosto. Un personaggio si affianca a loro. Non lo riconoscono: è Gesù, che non disdegna di ascoltare le loro lamentele e cerca di farsi uno con loro, di entrare in quello che provano. Qual è la risposta di Gesù? Spiegando le Scritture dice che Dio non ci sta al loro pessimismo e al loro rimpianto: c’è sempre un dopo. Al termine del dialogo, i “discepoli di Emmaus” intonano la più bella delle preghiere: «Resta con noi, Signore, perché si fa sera» (Lc 24,29). E Gesù rimane, si mette a tavola con loro e benché non sia la Cena pasquale, riprende gesti e parole che facilmente sono riconducibili alla Cena eucaristica. Dopo aver preso il pane e averlo donato, i discepoli lo riconoscono. Ma Gesù scompare. Quando lo vedono non lo riconoscono, quando lo riconoscono scompare, perché a prendere la parola è quel Pane. Quel Pane è Parola concretizzata di Gesù, è la sua vita offerta. Noi diciamo vita “eucaristica”: Gesù abita nel dono del Pane spezzato. Ricordo che un giorno, sfogliando una rivista, lessi una citazione di Gandhi che diceva: «Se mai un Dio dovesse venire sulla terra, prenderebbe la forma del pane, tanto grande è la fame dell’umanità». Senza saperlo Gandhi ha detto una cosa molto vera: Gesù prende la forma del pane. Tra poco sarà qui, su questo altare. Tutti voi che siete collegati attraverso la televisione state soffrendo per non poter ricevere sacramentalmente Gesù e per non poter godere della compagnia di una comunità così bella com’è la Chiesa. Ora facciamo la Comunione nel desiderio, speriamo presto nella realtà.
Concludo nel dare un pensiero che ci accompagni durante la settimana: ripetere di tanto in tanto «rimani con noi, Signore, perché si fa sera». «Si fa sera» perché nel cuore, a volte, ci sono ombre, dispiaceri, delusioni. «Resta con noi, Signore». Gesù non disdegna di camminare con noi.