Omelia nella Consacrazione di Raffaella Rossi nell’Ordo Virginum
Cattedrale di San Leo, 1° febbraio 2020
Os 2,16.21-22
Sal 27
1Gv 4,7-16
Mt 25,1-13
Oggi si apre in Diocesi l’esperienza dell’Ordo Virginum. Il nome, Ordo Virginum, è austero e antico, ha la sua origine carismatica nei primi secoli della Chiesa, ma è una proposta vocazionale per le donne di oggi che vogliono consacrarsi a Dio con cuore indiviso. Qualcuna di loro si è espressa così: «Un carisma antico per donne nuove». Si tratta di donne che, dopo un attento discernimento e un tempo congruo di preparazione, decidono di vivere nel mondo col proprio lavoro, inserite nella Chiesa locale, legate da amicizia con altre sorelle che hanno fatto la medesima scelta.
Al momento stabilito si presentano al Vescovo per mettere nelle mani della Chiesa il loro proposito.
Sin dai primi secoli del cristianesimo nelle comunità cristiane vi erano donne che sceglievano la verginità come risposta alla radicalità evangelica. La vergine si donava al Signore attraverso una consacrazione pubblica e solenne, continuando a vivere nel mondo, coltivando e mettendo a servizio il proprio carisma nella Chiesa locale.
A partire dal IV secolo, con la costituzione di nuove forme di vita religiosa comunitaria, la consacrazione verginale nel mondo andò via via scomparendo (come il diaconato permanente) e bisognerà attendere il Concilio Vaticano II per vedere rifiorire questa forma di vita e promuovere la revisione del Rito di Consacrazione, approvato poi definitivamente il 31 maggio 1970 da Paolo VI. Proprio quest’anno, dunque, è il cinquantesimo anniversario del ripristino dell’Ordo Virginum. Nel momento in cui, durante il rito (una liturgia nuziale!), Raffaella si stenderà per terra, la Chiesa militante si unisce alla Chiesa del Cielo, mentre pregheremo le litanie dei santi (solo una minima parte di essi verranno nominati).
Nell’Ordo Virginum si coniugano insieme laicità (Raffaella svolge la professione di insegnante di storia e filosofia) e speciale consacrazione, verginità e maternità (il Signore le darà tanti fratelli da custodire con affetto materno), secolarità (vive nel mondo) ed ecclesialità (si metterà a servizio della Chiesa locale). Non è legata ad un istituto particolare oppure ad un ordine religioso, ma realizza la propria vocazione nella Chiesa particolare, in obbedienza al Vescovo, nella concreta situazione della propria comunità cristiana. Qui abbiamo la comunità che ci ospita, San Leo, dove c’è la prima cattedrale della nostra Diocesi, la comunità di Monte Cerignone, le colleghe di Raffaella e gli studenti, le ragazze dell’Ordo Virginum e tanti amici e fedeli.
È bello ricordare la concomitanza: oggi celebriamo in Diocesi la Giornata della vita consacrata. Ognuno di noi ha ricevuto il Battesimo, radice di tutte le vocazioni e di ogni forma di vita.
«Ti farò mia sposa – dice il Signore – ti farò mia sposa per sempre, nella fedeltà e nell’amore». Tutte le dichiarazioni d’amore sono emozionanti, ma questa ha una bellezza e una pienezza inimmaginabili.
Cara Raffaella, non ti togliamo nulla nel dire che anche noi ci sentiamo chiamati, anche noi amati immensamente dal Signore. Il Battesimo ha segnato per ciascuno di noi come una consacrazione. Allora viviamo insieme con te questo momento. Non ci sfiora minimamente il pensiero che la verginità sprechi, sciupi, la tua vita. Così non ci lambisce il dubbio che la tua sia una vita di rinuncia; anzi, da oggi si allargheranno per te, Raffaella, gli spazi della carità. Ancor meno pensiamo che il passo che compi oggi ti accartocci su te stessa in una sorta di intimismo sterile.
Cari fratelli, Raffaella sposa il Risorto che l’ha chiamata e le dischiude davanti una vita piena di senso, un orizzonte di amori allargati, ma non meno intensi, e le fa sperimentare una nuova forma di fecondità, femminilità nell’amore. E l’amore, si sa, non ha mezze misure. Ecco le parole che accompagneranno la consegna dell’anello nuziale: «Ricevi l’anello delle mistiche nozze con Cristo e custodisci integra la fedeltà al tuo sposo». La verginità consacrata, a ben pensare, è risposta a quel desiderio di donare tutto al Signore che ha avuto la sua anticipazione nella risposta della Vergine di Nazaret e nel suo «sì» la prima straordinaria realizzazione. Ci sono teologi che vedono nel «sì» verginale e purissimo di Maria l’istante preciso, puntuale, in cui nasce la Chiesa. Il Dio che ha bussato alla casa di Nazaret si è unito alla nostra carne nel momento in cui una creatura fragile come quella di Maria ha detto un «sì» libero, totale. Lì Dio è diventato uomo e l’uomo ha ricevuto la possibilità di diventare Dio. E che cos’è la Chiesa se non questa unità di divino e di umano; prima embrione e poi popolo, popolo grande. E la Chiesa riparte, si rigenera al sussurro di ogni «sì»: il «sì» di Maria, il «sì» di Raffaella, ma anche il nostro «sì». Ed è il «sì» totale della Chiesa. Ecco perché vedo che quello che celebriamo questo pomeriggio qui nella cattedrale di San Leo è ecclesiale, almeno per cinque motivi (ce ne sarebbero altri).
È ecclesiale perché la Chiesa accoglie questa consacrazione, la fa sua, la benedice e, accogliendola in questo momento, la indica, la incoraggia e ricorda che tutti noi, nel Battesimo, in diverse forme vocazionali, la stiamo vivendo. È il Battesimo che la rende possibile: sapessimo la potenza racchiusa in questo segno! L’acqua del Battesimo è scaturita dal cuore di Cristo trafitto sulla croce.
È ecclesiale perché il tipo di vita a cui Raffaella è chiamata è segno della Chiesa sposa e madre, che sa di essere povera, anzi vuole esserlo, perché non possiede altro che la Parola di Dio e i Sacramenti; una Chiesa che vuole andare ai poveri, a condividerne la condizione, a promuoverli umanamente, culturalmente e spiritualmente.
È ecclesiale perché questo tipo di vita è strumento per la Chiesa. In te, attraverso te, Raffaella, la Chiesa può dedicarsi a quello che è più necessario, che è la compagnia con lo Sposo, lo stare tutta ai suoi piedi e solo per il suo Signore, per tutto il tempo, per sempre, in modo che poi abbiano efficacia l’attività e la fecondità del servizio.
Poi, è ecclesiale perché interpreta l’esigenza della missione a cui siamo fortemente richiamati per le necessità di questo tempo e per l’invito che ci rivolge papa Francesco. Ci dev’essere nella Chiesa chi, ispirato da Dio, prega per gli altri, «al posto di» quelli che non pregano e «a vantaggio di» quelli che non riescono a pregare. La preghiera salva, l’amore può tutto; la gioia e la bellezza comprese in questa consacrazione evangelizzano. Ecco le parole che accompagneranno la consegna del libro della preghiera: «Ricevi, Raffaella, il libro della Liturgia delle Ore; la preghiera della Chiesa risuoni senza interruzione nel tuo cuore e nelle tue labbra, come lode perenne al Padre».
Infine, è ecclesiale perché la vita consacrata – e l’orizzonte si allarga a tutte le vocazioni – è la gloria e la forza della Chiesa (quelli che mi conoscono sanno che quando racconto la Diocesi esordisco quasi sempre così: «600 kmq, 70mila abitanti e… 7 monasteri! Poi le suore di vita attiva, dedite al servizio, all’aiuto agli anziani e ai bambini, ed ora – novità – l’Ordo Virginum»). Nella Chiesa risplende il primato dell’amore, la fedeltà del Signore alla sua sposa, l’indissolubilità dell’azione e della contemplazione insieme. Teresa d’Avila dice che quando un contemplativo va avanti nel cammino «compie opere ed opere» (Teresa d’Avila, Castello interiore, VII, 4, 6) e ne parla nelle Settime Stanze, ormai in cima al Castello, con cui Teresa descrive metaforicamente il cammino della vita cristiana come vita sponsale.
Nella pagina evangelica che il diacono ha proclamato abbiamo ascoltato un racconto rocambolesco. Innanzitutto, si parla di uno sposo, ma non della sposa; poi lo sposo arriva a mezzanotte, mentre i bottegai sono ancora aperti, tanto che si dice che chi non ha preso l’olio possa ancora andare a comprarlo. Entrato lo sposo sbarrano le porte e il corteo dorme. Ci sarebbero tanti particolari di questa parabola che andrebbero spiegati. Eppure, è bello questo racconto, perché dice che il Regno è simile a dieci ragazze che sfidano la notte, armate solo di una piccola luce, attrezzate di niente… Sono consapevoli che l’olio è a rischio, occorre vigilanza. Dieci piccole luci nella notte, donne coraggiose che si mettono per strada e osano sfidare il buio e il ritardo del sogno che hanno custodito. Hanno l’attesa nel cuore, perché aspettano qualcuno, uno sposo e la promessa di un abbraccio in fondo a quella notte. Ci credono. Ci crediamo anche noi! Così sia.