Omelia nella XXXIV domenica del Tempo Ordinario
Pennabilli (Santuario B. V. Maria delle Grazie), 24 novembre 2019
2Sam 5,1-3
Sal 121
Col 1,12-20
Lc 23,35-43
(da registrazione)
Dopo la bellissima giornata che avete trascorso a Pennabilli vi chiedo un favore: di contagiarmi con la vostra fede e io farò di tutto per aiutare la vostra. Io e voi, insieme, davanti a Gesù Re, ritratto nel momento supremo che è quello del suo innalzamento dalla terra. Là, Gesù è punto di gravitazione universale. L’ha detto lui: «Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me» (Gv 12,32). Dunque, il centro della pericope evangelica di questa domenica ci porta a contemplare Gesù nel momento supremo del suo amore verso tutti. Questi versetti non sono soltanto il centro del racconto della Passione, ma sono il centro di tutto il terzo Vangelo, il Vangelo secondo Luca: la misericordia di Gesù, il modo di morire di Gesù. Vorrei concentrare la mia e la vostra attenzione su quel “ladrone”, potremmo dire un ergastolano, un assassino o un ladro, che entra in scena e ha la faccia di chi ha istituito il processo contro Gesù, sia il processo civile moderato da Ponzio Pilato, sia il processo ecclesiastico moderato da Caifa. A quel malfattore viene affidato di dichiarare l’innocenza di Gesù (da che bocca viene questo pronunciamento!) e di proclamare che Gesù è Re («quando entrerai nel tuo Regno, ricordati di me»). E Gesù è realmente Re, a dispetto di chi lo fa “re per burla”, di chi gli ha messo una corona in testa per prenderlo in giro, di chi l’ha vestito di un mantello rosso e gli ha attaccato il titulus in cima alla croce (il cartello con il motivo della condanna: Jesus Nazarenus Rex Iudeorum). Gesù è veramente re e lo dimostra rispondendo alle provocazioni: «Hai salvato altri, salva te stesso se sei quello che dici di essere» (Lc 23,35). Gesù salva il ladrone, salva un uomo, non tanto dalla morte temporale, ma facendo della morte il passaggio ad una vita piena. Sì, quel ladrone ha individuato qual è la specificità del Messia, chi è il Messia, che ha da fare il Messia, cosa deve dire il Messia, il Salvatore. In questi brevi versetti quattro volte c’è il verbo salvare, perché è proprio qui che si vede la regalità di Gesù. Non regalità politiche, non regalità mondane, tutt’altro. È evidente che l’evangelista Luca da una parte vuol fare della parenesi (esortazione), facendoci osservare i ladroni, facendoci effettuare un confronto (per far risaltare il messaggio in modo più plastico). Il ladrone ha una funzione di esortazione morale perché diventa il prototipo del credente, che spira non solo con Gesù, ma in qualche modo come Gesù, in un atto di affidamento. Dunque, non soltanto parenesi, esortazione, ma anche insegnamento teologico: la fede tutta orientata verso Gesù Cristo. Il futuro dell’uomo è lui.
Vorrei sorvolare su una parola, la parola “paradiso”, che c’è poche volte nella Bibbia ed è mutuata addirittura dall’ambiente religioso persiano (di per sé vuol dire “giardino lussureggiante”). Gesù fa un’azione di riduzione della fantasia che potrebbe avere il ladrone («ricordati di me quando sarai nel tuo regno, in paradiso»). «Oggi sarai con me» non è la traduzione migliore, perché l’evangelista non usa la particella “con” che indica il complemento di compagnia, ma usa una particella che vuol dire “per”. Il paradiso esiste ed è con lui, ma Gesù ci dipinge il paradiso come relazione con lui: «Oggi sarai per me, vivrai per me e io vivrò per te e vivremo sempre così».
A parlare di morte di fronte ad una platea di giovani potrei sembrare poco inculturato, ma questo è il problema dell’umanità. Sette miliardi di persone sulla faccia della terra si interrogano tutte su questo: «Che sarà della nostra vita? Che sarà del nostro futuro?». Tenete presente che la stragrande maggioranza dell’umanità (lasciando stare noi europei) muore molto giovane; ad esempio l’età media nel Kivu è di venticinque anni, quindi chi fra noi ha più di venticinque anni può pensare che ogni anno in più sia regalato… Quando si dice che Gesù ci salva, non vi sembri fuori dalla realtà, non vi sembri una cosa dell’altro mondo, cioè una cosa che non c’entra con questo mondo, perché è la domanda fondamentale che ciascuno di noi ha nel cuore: «Che sarà di me?». A che cosa serve la Chiesa per l’umanità? L’annuncio del Vangelo è che c’è speranza, c’è futuro, c’è domani. Poi dico anche il contrario: questa relazione con Gesù – «oggi sarai con me in paradiso» – significa che c’è salvezza nella morte e nel presente. Quindi, adesso, se siamo in relazione con Gesù, siamo con un piede di qua e con un piede di là… allora siamo in una botte di ferro!
Da stamattina fino ad ora tante volte avete pensato al Signore Gesù con affetto, con riconoscenza; magari dopo avete parlato male e vi sentire carichi di peccati… ma l’importante è che siete in relazione con lui.
La settimana scorsa abbiamo registrato una trasmissione per la San Marino RTV e abbiamo chiamato mons. Mansueto Fabbri. Il tema era questo e ad un certo punto ho dato a lui parola dicendo: «Lei ha 97 anni; come si sente a quest’età, cosa pensa della morte, del paradiso?». Con il sorriso ha detto: «Io parlo già tutti i giorni con Gesù, con la Madonna, con gli angeli custodi…». C’è molto paradiso sulla terra. Anche il nostro incontrarci, il nostro volerci bene, non è paradiso? Queste relazioni che voi andate costruendo, nei vostri incontri, a scuola, all’università, in famiglia, guardando una partita di calcio: è tutto Regno di Dio.
Grazie di questo momento; mi sento molto aiutato da voi nella fede. Non scandalizzatevi di questo… Anche la fede è una relazione, si trasmette per contagio. Sia lodato Gesù Cristo.