Omelia nella XXXIII domenica del Tempo Ordinario
Scavolino, 18 novembre 2018
Giornata del ringraziamento
Dn 12,1-3
Sal 15
Eb 10,11-14.18
Mc 13,24-32
(da registrazione)
Il Vescovo deve sentirsi a casa sua in ogni assemblea; in un’assemblea di metalmeccanici all’interno di una fabbrica, oppure con un gruppo di insegnanti, ma, essendo figlio dell’ortolano di Stellata di Bondeno, in quest’assemblea mi trovo ancor di più a mio agio, perché fin da bambino partecipavo alle Giornate del ringraziamento al Signore per i doni della terra. Abbiamo ricordato le persone in difficoltà, in questi giorni, a causa del maltempo. Stavolta è capitato altrove, altre volte è successo da noi: fa parte della natura. Questo ci insegna la solidarietà e ci invita a camminare di più insieme.
Quando la Sacra Scrittura parla del creato lo fa sempre con un tono di grande ammirazione e soprattutto di stupore per la varietà delle creature che vivono in esso. Fin dalla prima pagina della Bibbia viene sottolineato come Dio benedica la molteplicità, la diversità, la pluralità di quello che produce la terra. «E la terra produsse germogli, erbe che producono seme secondo la propria specie e alberi che fanno ciascuno frutto con il seme, secondo la propria specie. Dio vide che era cosa molto buona» (cfr. Gen 1,12)». La stessa meraviglia per la diversità esplode anche nel Cantico delle Creature che il coro ha intonato all’inizio della celebrazione: «Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba». La varietà della vita è dunque un dono prezioso, un valore intrinseco che va tutelato.
Dobbiamo avere molta gratitudine per papa Francesco per la sua enciclica Laudato si’. Importante il primo documento sull’evangelizzazione, Evangelii Gaudium, ma era una tematica soprattutto intraecclesiale; bellissima l’esortazione apostolica Amoris Laetitia che parla dell’amore nella coppia e nella famiglia, ma l’enciclica Laudato si’ è veramente universale, dedicata a tutta l’umanità.
Qual è il problema che viviamo oggi? L’Italia dei mille borghi e dei mille campanili ha saputo resistere all’emergenza che è il contesto della globalizzazione commerciale che oscura la varietà delle specie, specializzando la coltivazione in un settore o in un altro. L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) ha lanciato un appello: negli ultimi cinquant’anni il 75% della biodiversità delle colture è andata perduta; si è perduta la genetica delle piante. Questo è molto grave. La biodiversità è stata sottoposta a grandi interessi commerciali. Però, la nostra agricoltura, i nostri ambienti – in Italia soprattutto – ha saputo far fronte. C’è stato l’impegno e la riscoperta delle biodiversità; si è avuto un atteggiamento di protezione verso i semi più antichi, le piante e i frutti dimenticati. Questo ha fatto sì che quest’anno (2018) è stato dichiarato l’anno del cibo italiano. Lo dico con gratitudine al Signore, ma anche con riconoscimento per l’agricoltura italiana che ha saputo essere a favore della biodiversità.
Abbiamo potuto ascoltare, nel Vangelo di Marco, una piccola e breve apocalisse, ma molto drammatica. Direi – se mi consentite – che mai come questa pagina di Vangelo mostra come l’interpretazione dipenda dall’angolatura con cui viene letta. Ammettiamo di essere di quelli che al mondo stanno bene, che hanno posto solide radici e hanno davanti un futuro garantito. Per loro questo Vangelo diventa un forte richiamo, come a dire: «Stai in guardia perché tutto passa. Apri bene gli occhi e considera ciò che conta veramente, finché sei in tempo». La vita stimata del pianeta Terra è di circa 4,5 miliardi di anni. Quello che Gesù dice è molto reale: quando nel sole terminerà l’idrogeno, elemento fondamentale per innescare le reazioni termonucleari responsabili della maggior parte dell’energia emanata dalle stelle, il nostro sistema collasserà. La vita stimata è di circa 4,5 miliardi di anni, ma è possibile che la Terra muoia anche prima per cause imprevedibili oppure perché distrutta dall’umanità. Allora Gesù ci mette in allerta, invitandoci a considerare quello che vale veramente nella nostra vita. Ho fatto un accenno al sistema solare, ma nell’anima quante volte viviamo dei crolli, quante volte una luce si spegne, quante volte un universo interiore si sbriciola e stiamo male.
C’è un altro modo di leggere questa pagina. Per chi è dentro una grande tribolazione e si sente come ghiaia messa dentro alla betoniera enorme che è la storia, questa pagina di apocalisse può suonare come una riscossa, come una promessa. «Vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza» (Mc 13,26). Ognuno può dire: «Viene per me!».
Due modi di leggere, due categorie di persone che alla luce di questa pagina reagiscono in modo diverso, ma probabilmente tutt’e due le situazioni ci appartengono, pertanto possiamo far nostre tutt’e due le interpretazioni. Un’apocalisse che ci mette in guardia, ci dà il senso del nostro limite, ci ricorda che siamo friabili, fatti di materiale deperibile, e ci invita alla saggezza di puntare su ciò che rimane. Dall’altra parte, quando siamo nella prova, nella difficoltà, veniamo spinti a guardare avanti con speranza.
Vorrei concludere con un brevissimo accenno a come Gesù fa parlare le piante. «Guardate il fico (una pianta che vale per tutte)… ». Sembra quasi che le leggi dello Spirito siano specchiate nella creazione e ogni essere vivente, perfino un granello di polvere, è un messaggio di Dio. La sapienza dell’albero: «Quando i suoi rami si fanno teneri – dice Gesù – e mettono le foglie (piccole gemme che l’albero spinge fuori da sé, da dentro a fuori, come un piccolo parto), voi sapete che l’estate è vicina (cfr. Mc 13,28). In realtà le gemme annunciano la primavera piuttosto che l’estate, ma in Palestina, al tempo di Gesù, la primavera era brevissima; anche questo ci sta ad indicare che egli è vicino, è alle porte. Da una gemma, da una lezione che possiamo toccare con mano, impariamo il futuro di Dio che sta alla porta e bussa e non viene con un dito puntato, minaccioso, ma viene con un abbraccio, un germoglio di vita. Vieni, Signore Gesù!