Omelia nella XXVII domenica del Tempo Ordinario
Macerata Feltria, 6 ottobre 2018
Messa di chiusura della Visita Pastorale
Gen 2,18-24
Sal 127
Eb 2,9-11
Mc 10,2-16
(da registrazione)
1.
Mi è bastata poco meno di una settimana per affezionarmi sinceramente alla parrocchia di Macerata Feltria. Ho incontrato solo una minima parte di voi, considerato che la vostra comunità è di circa 2000 persone; tuttavia, sono stati incontri sufficientemente profondi per poter dire che vi stimo tanto. Ho condiviso con voi preoccupazioni e speranze. Questa mattina ho incontrato il signor Sindaco, la Giunta, la Protezione Civile, i Vigili Urbani e i rappresentanti di varie realtà civili. Pur nella distinzione degli ambiti e dei ruoli – Gesù ha detto di «dare a Dio quel che è di Dio e a Cesare quel che è di Cesare» (Mt 22,21) –, ho visto che c’è dialogo e collaborazione. Il municipio e la parrocchia, in fondo, si rivolgono agli stessi soggetti e lo fanno per cercare il bene comune.
Ho incontrato varie realtà educative: è stato molto bello per me sentire che c’è sensibilità nei confronti dell’emergenza educativa. Ho incontrato le realtà dello sport, una dimensione importante per i nostri ragazzi, di socializzazione e di maturazione. Bellissimo l’incontro con le scuole, dal nido alle scuole medie. Ho potuto lasciare ai ragazzi questo messaggio: «Non dire mai “sono troppo piccolo per…”», intendendo per portare pace, per lasciare una scia di buonumore, per portare Gesù, perché – lo dice il Concilio –: «I primi apostoli dei ragazzi sono i ragazzi stessi» (AA 11). Poi, c’è stato l’incontro con gli insegnanti; con loro ho potuto sottolineare la responsabilità del grande tema della comunicazione. «Comunicare: verbo infinito!», soprattutto con gli strumenti di oggi, così importanti e così delicati. Ma la prima e fondamentale legge della comunicazione resta la cura dei rapporti: insegnare la relazione con le sue regole di verità, di accoglienza e di benevolenza. Saper guardare negli occhi.
In questi giorni, poi, ho fatto visita a 30-35 famiglie, dove ci sono anziani e ammalati. Non è stato possibile raggiungere tutti, ma ho visto tanta fede, tanta pazienza, tanto amore. Per me è stata una grande lezione vedere persone che continuano a soffrire, continuano a pregare e continuano ad amare. Ugualmente sono stato toccato dalla visita del Centro Santo Stefano e della Villa Verde; ho visto grandi sofferenze, ma anche una direzione molto qualificata dal punto di vista della professionalità di chi cura i nostri ammalati, alcuni molto gravi. Mentre dicevamo qualche preghiera con don Graziano mi veniva da pensare: «Chissà attraverso quale feritoia il Signore arriva alla mente di queste persone… ». A noi sembrano un muro di marmo, eppure sono creature del Signore. In loro risplende la vita di Gesù.
Poi ho vissuto l’incontro con la parrocchia, con i tanti gruppi: è bello vedere una parrocchia articolata, perché diverse sono le età, diversi sono i carismi, le attitudini, le attenzioni. Tutti i gruppi mi hanno mostrato tanta accoglienza, con l’aiuto di don Graziano. Penso ai Consigli pastorali parrocchiali e degli affari economici. Tanti lavori sono stati completati in questi anni, tanti recuperi artistici, con l’aiuto di benefattori. Ho trascorso un po’ di tempo con i catechisti, così preoccupati e desiderosi di indovinare modalità e metodo per coinvolgere i bambini. Oggi non funziona più fare catechismo come in passato; bisogna cercare modalità nuove, anche se, alla fine, abbiamo capito che la fede si trasmette nella relazione. Conta soprattutto che quando si viene in parrocchia ci si senta accolti, amati, festeggiati, perché la parrocchia è il luogo dove si è più vicini a Gesù. Nell’incontro con gli operatori Caritas si è riso e pianto, si è condiviso e si è ascoltato. Poi penso al coro e all’animazione liturgica. Sono contento che in parrocchia ci siano chierichetti, ministri istituiti e ministri straordinari della Comunione. Li incoraggio. Fra una settimana arriverà anche un gruppo di fidanzati per prepararsi al grande passo del matrimonio. Poi, il gruppo degli sposi e i genitori dei bambini e dei ragazzi del catechismo.
2.
Stando in mezzo a voi ho colto tre emergenze: la famiglia, i giovani, il lavoro.
La meravigliosa pagina della Genesi che abbiamo letto illumina la storia di ogni famiglia. Tutto parte da una parola formidabile di Dio: «Non è bene che l’uomo sia solo» (Gn 2,18). Dunque, il male originale, il primo che è apparso sulla terra, prima ancora del peccato, è la solitudine. Non c’è nessuno che basti a se stesso, nessuno che possa essere felice da solo. Neppure il paradiso è sufficiente. Per questo Dio dice: «Farò un aiuto che gli corrisponda». Questo aiuto è Eva per Adamo e Adamo per Eva. Eva viene data ad Adamo nel sonno, perché è un dono per l’uomo; non ne è padrone, visto che gli è venuta nel sonno. Tratta da una costola, perché pari nella dignità e ineffabilmente attraente. L’uomo e la donna, insieme, chiamati ad un amore per sempre. Mi rendo conto che la nostra mentalità moderna fa fatica a capire il “per sempre”; ma il “per sempre” non fa stancare, anche se sembra che non ci sia niente di nuovo, perché il tu che mi sta di fronte e mi completa è un infinito. E quando dici “basta!” sei finito (Sant’Agostino). All’amore non c’è mai fine.
Vi racconto una confidenza familiare. Io sono l’ultimo nato dei miei fratelli; sono uscito di casa da bambino per andare in Seminario, perché volevo fare il prete, e sono tornato a vivere con i miei genitori quando ero giovane sacerdote e loro erano anziani. Qualche volta li ho sorpresi, ormai ultrasettantenni, a scambiarsi un bacio. Ma ricordo anche che, quando discutevano animatamente, mia mamma diceva che sarebbe andata a lavorare fuori… Il “per sempre” è un progetto di Dio. La famiglia è una missione: col passare del tempo si scopre di essere responsabili davanti alla vita, davanti alla società, davanti alla Chiesa. All’inizio, prima della «durezza del cuore» (Mc 10,5), era così, si viveva l’uno per l’altro. «In principio… » era una grande grazia. Poi, con la «durezza del cuore», dopo che il peccato è entrato nel mondo, sono venuti i distinguo, le concessioni legali, i ripudi legittimati. Ma Gesù fa agli sposi il dono del sacramento del Matrimonio. A volte si pensa poco al sacramento, ma esso è un torrente che scorre: si può sempre attingere alla grazia (reviviscit, si dice in teologia). Mi è capitato di dire a qualche coppia in difficoltà che non sono uno psicoterapeuta e neppure un esponente di un’agenzia, ma che li invitavo a pregare e a confidare nel sacramento che avevano ricevuto. Il sacramento dà tutte le grazie necessarie, nel momento opportuno, per aver pazienza, per perdonare, per aver fiducia nell’altro, per ricominciare sempre. Potrei raccontare diversi casi in cui il sacramento del Matrimonio ha fatto miracoli. L’amore umano viene consacrato da Gesù e riconsegnato con un valore aggiunto. Quando due ragazzi vengono all’altare, posano le fedi su di esso, il sacerdote pronuncia la formula del sacramento e, quando scende dai gradini, porge loro gli anelli; ebbene, loro sono venuti qui con il loro amore umano – sicuramente grandissimo – ma, dal momento in cui mettono l’anello, acquistano un valore aggiunto: «I due saranno una carne sola» (Mc 10,8).
3.
La seconda emergenza sono i giovani, che sono la nostra gioia e la nostra delizia, ma anche la nostra preoccupazione: è quanto è uscito dagli incontri e dai colloqui con molti di voi. Attenzione, il problema dei giovani è il problema degli adulti. Il primo compito delle nostre comunità è quello di vivere un’autenticità gioiosa, che affascina i giovani. Ai giovani vanno comunicate cose piccole ma vere, non le “vernici”; i giovani non ne vogliono sapere delle “vernici”, del perbenismo, del “si è sempre fatto così”. Ma se diciamo con convinzione quello che abbiamo sentito quando abbiamo incontrato il Signore, se gli raccontiamo come l’abbiamo incontrato, prima o poi faremo breccia nei loro cuori. Poi ci sono i nostri errori, gli errori e gli orrori della Chiesa, a creare ostacolo, ma ciò che allontana i giovani è la mancanza di ascolto e che non li coinvolgiamo. Attenzione, sarebbe sbagliato ridurre la Chiesa a queste mancanze. Oggi esiste un clima culturale che tende ingiustamente a presentare male la Chiesa. Noi dobbiamo far sentire che la proposta cristiana è prima di tutto un dono, un annuncio d’amore, e non è riconducibile ad una mera serie di precetti o di divieti.
In questi giorni, a Roma, si è aperto un Sinodo sui giovani. In verità è soprattutto un Sinodo sulla comunità cristiana, perché parlare dei giovani significa parlare di noi adulti e del rinnovamento delle nostre comunità cristiane. Gli ambiti coinvolti sono tanti: la liturgia, l’impegno di carità, la testimonianza della misericordia. Nella nostra piccola diocesi di San Marino-Montefeltro, grazie all’Ufficio di Pastorale Giovanile, c’è un tessuto tenue, ma saldo, legato alle diverse forme di associazionismo cattolico. Penso all’Azione Cattolica, agli Scout, a Comunione e Liberazione, ai Giovani Valconca. Bisognerebbe agganciare i nostri ragazzi quando c’è qualche bella manifestazione, come la Giornata Mondiale della Gioventù, i campeggi diocesani, ecc. In quelle occasioni possono fare amicizia con chi appartiene a queste associazioni. È vero che ci sono molti giovani che si sono allontanati e non frequentano ordinariamente la comunità e c’è il rischio di una visione alleggerita dell’essere cristiano. Occorre impegnarsi perché non si vanifichi la bellezza dell’essere discepoli di Gesù, di vivere nella sua pienezza. A volte i nostri giovani si sentono vagamente cristiani, ma perdono il nucleo essenziale dell’esperienza cristiana, il cuore della fede che è l’incontro con Gesù. È la gioia cristiana che può affascinare i nostri ragazzi.
La conclusione potrebbe essere questa: mettersi in ascolto dei giovani, cercando occasioni di incontro e di dialogo, anche con le nostre povertà e i nostri limiti. Non possiamo gareggiare con i centri benessere o i centri di divertimento, ma con quella gioia artigianale che viene dalla nostra vita. Poi, impariamo a sognare con i giovani, proviamo a guardare il mondo con i loro occhi. A volte abbiamo dei preconcetti nei loro confronti, ma capita anche di essere smentiti. A me è capitato: ho accompagnato 75 giovani della nostra diocesi a Cracovia per la Giornata Mondiale della Gioventù; siamo stati insieme quindici giorni. Sono rimasto colpito dal rispetto che avevano reciprocamente. E infine è importante offrire una testimonianza coerente; ad esempio, non si può invitare alla preghiera se non si prega per primi…
Del lavoro parleremo in altra occasione.
4.
Lascio un messaggio alla parrocchia di Macerata Feltria: «Continuate ad essere belli come la vostra chiesa». Questa è una bellissima chiesa di pietra, voi siete la Chiesa viva. Essere belli vuol dire essere sempre in grazia di Dio. Fate così: fuggite il peccato e, se vi capita di sbagliare, andate subito a confessarvi. Se c’è la grazia santificante, anche se non ce ne accorgiamo, Gesù è in mezzo a noi ed è attrattivo: questa è la risposta a tutti i nostri problemi. Sia lodato Gesù Cristo.