Omelia nella festa della Natività della Beata Vergine Maria

Santuario Madonna del Faggio, 8 settembre 2018

Mi 5,1-4
Sal 12
Mt 1,1-16.18-23
(da registrazione)

Il Vangelo propone un lungo elenco di nomi che è la genealogia di Gesù per indicare il suo radicamento nella nostra umanità. Su ogni personaggio si potrebbero dire molte cose e non tutte edificanti; dell’elenco fanno parte, infatti, personaggi molto discutibili. Nelle origini di Gesù, e prima ancora di Maria, incontriamo persone di tutti i tipi.
Ognuno di noi, se osserva la propria storia, la storia della propria famiglia, può cogliere le “macchie” e le ferite dal punto di vista morale, o politico, o di salute, ecc.
Come hanno fatto Gesù e Maria, ognuno di noi deve fare in modo, con l’impegno, con il desiderio di santità, con la vita, ma soprattutto con l’onnipotenza della grazia, di risanare la propria razza.

Vorrei farvi notare la bellissima antifona al Benedictus nella liturgia delle Lodi, che dà un’intonazione gioiosa a questa giornata: «La tua nascita, Vergine Madre di Dio, ha annunziato la gioia al mondo intero». Ogni bambino che nasce è un momento di gioia e di festa, per lui che viene al mondo, per la sua famiglia e per l’umanità. La nascita di Maria è un annuncio di gioia per il mondo intero: «Da te è nato il sole di giustizia, Cristo Nostro Signore». Quindi, Maria è il cielo sul quale il sole di giustizia, che è Gesù, è venuto in questo mondo. Questa è la missione di Gesù: «Ha tolto la condanna e ha portato la grazia, ha vinto la morte e ci ha donato la vita». Dunque, Maria è collocata al centro del mistero cristiano.
All’epoca del Concilio Vaticano II ero troppo giovane per capire la portata del dibattito che, dentro e fuori il Concilio, andava infiammando i teologi. Eravamo agli inizi degli anni ’60. Qualcosa arrivò anche a noi studenti di Liceo. Questo il dibattito: scrivere un documento intero del Concilio sulla Madonna, o dedicarle un capitolo alla fine del documento fondamentale, la costituzione dogmatica sulla Chiesa? A chi ascolta parrà una questione solo tecnica e secondaria. In realtà, la decisione avrebbe orientato la fede della Chiesa sul “posto” di Maria nella vita e nel culto della Chiesa stessa. A partire dal XVII secolo ci fu tutto un movimento mariano che ha fatto devotamente a gara a chi inventava un titolo inedito in onore della Madonna, o lanciava una nuova festa (Madonna del Faggio, Madonna della Consolazione, Madonna delle Grazie, Madre della Misericordia… un Padre della Chiesa è arrivato a dire: «De Maria numquam satis», cioè «di Maria non puoi mai dire abbastanza»), o ne affermava un privilegio in più. Ma c’era bisogno, e questo è stato lo sforzo del Concilio, di incanalare la devozione mariana non su quella che è la devozione o addirittura il devozionismo, ma all’interno della storia della salvezza e quindi all’interno della Chiesa: la Madonna è il membro più eccelso, il modello più perfetto, ma non al di fuori, né al di sopra della Chiesa. Maria è dentro la Chiesa, anche se la chiamiamo Madre della Chiesa, in quanto è «figlia del suo Figlio» (cfr. Dante Alighieri, Divina Commedia, Paradiso, Canto XXXIII). È il mistero cristiano di Dio che si è fatto uomo. Il Concilio ha tenuto in gran conto l’esigenza di un ritorno alla sobrietà delle Scritture. Così facendo, ha reso la figura della Madonna più grande e più vicina nello stesso tempo. È avvenuto come quando si restaura un quadro. Penso ad esempio alla Madonna della Misericordia di Montegiardino, dipinto della scuola del Tiepolo: colori bellissimi, delicatissimi, ogni pennellata è un capolavoro; vedendo che si screpolava e si anneriva per il fumo delle candele, gli veniva data una mano di colore; dopo che anche quello strato sovrapposto sbiadiva, lo ricoprivano con uno smalto. Si creava così una crosta, che aveva snaturato la sua bellezza. I restauratori hanno tolto la crosta e sono riemersi colori splendidi. Il Concilio ha fatto un’operazione simile a quella che si è fatta con il quadro della Madonna della Misericordia di Montegiardino: ha tolto la crosta perché l’immagine riapparisse nello splendore dei suoi colori originali, voluti dall’artista, che è il Signore. Paolo VI, che tra un mese verrà proclamato santo, ha scritto: «È la prima volta che un Concilio ecumenico presenta una sintesi così vasta della dottrina cattolica circa il posto che Maria Santissima occupa nel mistero di Cristo e della Chiesa» (cfr. Paolo VI, Omelia, Chiusura terza sessione, Concilio Vaticano II). È questo il motivo per cui, sacerdoti, catechisti, educatori, quando parlano di Maria, partono da quanto di lei dice il Nuovo Testamento. È un nuovo modo di parlare di Maria, più essenziale nella dottrina, meno indulgente al sentimentalismo.
Si potrebbe dire che il Nuovo Testamento abbia percorso tre tappe successive. Provo a sintetizzarle. La nascita delle Sacre Scritture è un’operazione complessa, perché è un’opera umana e divina; le Scritture sono sacre, perché di ispirazione divina, ma è intervenuto anche uno strumento umano: l’evangelista Matteo, Luca, Marco, Giovanni… Se apriamo il Nuovo Testamento, dal Vangelo di Matteo all’Apocalisse, troviamo che c’è un primo strato, che gli studiosi riescono ad isolare, in cui tutta l’attenzione è concentrata su Gesù, il Cristo. La Madonna è annunciata come colei che genera: «Quando venne la pienezza del tempo Dio mandò suo Figlio, nato da una donna» (Gal 4,4). Il primo strato si ferma qui. Colui che adoriamo come Cristo è nato da una donna: è vero uomo. La donna, Maria, non viene neanche nominata: è il segno che esprime l’incarnazione.
Nel secondo strato si mette in luce Gesù nel suo ambiente. Abbiamo letto la sua genealogia. La sua prima predicazione, quando a trent’anni lascia la casa di Nazaret, registra da una parte chi crede (gli apostoli, i discepoli, i seguaci) e dall’altra anche chi non crede; anzi, i parenti – dice il Vangelo di Marco – vengono a prenderlo perché dicono che «è fuori di sè» (Mc 3,21). In questo contesto, gli autori dei Vangeli, sono preoccupati di dire quali sono i veri legami con Gesù. Gesù arriverà a dire a proposito dei compaesani scettici: «Nessuno è profeta in patria» (Lc 4,24). I veri legami non sono quelli della carne, ma quelli della fede, di chi ascolta la Parola e la mette in pratica. In questo contesto è posta la Madre di Gesù, la prima discepola.
Poi c’è un terzo momento, un terzo strato. A partire dalla comunità di Gerusalemme si è sentita l’esigenza di incorporare all’annuncio di Gesù morto e risorto anche il racconto delle sue origini umane. Sono i cosiddetti Vangeli dell’infanzia (cfr. Mt 1-2; Lc 1-2.). Nel Vangelo di Luca la Madre di Gesù ha un’enorme importanza. Forse, proprio per questo, la tradizione identifica questo evangelista come primo iconografo della Vergine.
Poi, gli scritti di San Giovanni – Vangelo ed Apocalisse – collocano la Madre di Gesù nel mistero della “sua ora”, quella della morte e risurrezione. In questo mistero, con un procedimento di inclusione, Maria è posta all’inizio e alla fine. All’inizio, alle nozze di Cana, quando Maria dice: «Non hanno più vino», allusione al mistero della nostra umanità senza vino, cioè senza forza, senza grazia, senza luce e Gesù: «Donna, non è giunta la mia ora» (cfr. Gv 2,3-4). Quando sarà la sua ora? Quando sarà innalzato da terra. Poi, troviamo Maria alla fine della vita pubblica di Gesù, sul Calvario (Gv 19,25-27), ai piedi della croce, quando è giunta l’ora della redenzione.
Dunque, il nostro amore alla Madonna non è sentimentalismo, ma è radicato nelle Sacre Scritture. Aiutaci, Signore, ad andare sempre più in profondità in questo amore. Così sia.