Omelia nella Solennità di San Marino

San Marino Città (RSM), 3 settembre 2018

Sir 14,20-15.4
Sal 47
At 2,42-48
Mt 5,13-16

(da registrazione)

Saluto gli Ecc.mi Capitani Reggenti e tutte le autorità civili e militari. Rivolgo un saluto particolarissimo alla Delegazione della città di Arbe qui convenuta per onorare san Marino, antico loro concittadino, e per ricordare i cinquant’anni del gemellaggio fra Arbe e la Repubblica di San Marino: benvenuti!

Avrete notato che il diacono, prima di aprire il libro delle Sacre Scritture, ha dovuto slegare i lacci che lo tengono chiuso. Slegare, aprire i sigilli è un’azione simbolica per indicare la preziosità della Parola di Dio: nessuna parola dovrebbe andare sprecata.
Mi limito a meditare insieme a voi appena una riga, quella che ha aperto la liturgia della Parola: «Beato l’uomo che medita sulla sapienza e ragiona con l’intelligenza e considera con il cuore» (Sir 14,20-21).

1.
San Marino, uomo di preghiera, ha saputo stare di fronte alla Sapienza; per lui la Sapienza era una persona, Gesù Cristo, e il suo Vangelo. Come Mosè sul monte fu tutto illuminato da quell’incontro (cfr. Es 33,34) e ne emanava il chiarore, così san Marino continua ad irradiare la grande luce del Vangelo: Dio è Padre, ci ama immensamente, ogni uomo mi è fratello!
Dalla tradizione sappiamo che Marino tradusse questa contemplazione in progetti di convivenza sociale concreti, intelligenti e saggi, fondamenti di quella che sarà la nostra amata Repubblica: fraternità, libertà, ospitalità.
I padri hanno visto in lui anche le “ragioni del cuore” realizzate: l’amicizia sociale, la ricerca del bene comune, la preziosità del sacrificio, la benevolenza.

2.
Noi amiamo la nostra Repubblica. Ed è l’amore che ci spinge a conoscerla più profondamente e a interpretare le diverse realtà in essa presenti e – se necessario – denunciarne le debolezze. Tutti siamo responsabilmente coinvolti e consapevoli che diritti e doveri sono i mattoni della comune cittadinanza.
Abbiamo problemi, ma possiamo affrontarli con azione concorde, coraggio e lungimiranza. Possiamo rendere l’animo dei sammarinesi sempre più fiducioso e dialogante. Ma non possiamo rinchiuderci nella nostra piccola realtà. Abbiamo presenti le questioni più delicate della nostra epoca, quelle legate alle migrazioni, al diritto per tutti ai beni della terra, alla subordinazione della finanza alla dignità della persona, alla permanente minaccia della guerra… Questioni che investono chi svolge l’alto servizio della politica, ma che toccano le nostre coscienze, questioni da affrontare guardando al domani con generosità e spirito di collaborazione.

3.
Ho parlato di qualche fragilità che ci caratterizza, fragilità che riguardano tutti, a partire da colui che vi sta parlando. Uno dei mali che mi sembra di ravvisare è l’invidia. La denuncio – senza accusare nessuno – come inevitabile tentazione in una comunità piccola, dove ci si conosce e si fanno confronti. L’invidia è un sentimento che può portare alla chiusura del cuore. Tutto nasce dal bene altrui visto come una minaccia o come una limitazione a se stessi e viene vissuto come timore per la propria presunta superiorità.
L’invidioso soffre terribilmente quando sente parlar bene del proprio “concorrente”. Altre volte l’invidia prende la forma di una strana contentezza: soddisfazione di vedere il prossimo in difficoltà. L’invidia, se non viene ridimensionata per tempo, può diventare sorgente di decisioni cattive. Spesso è sorgente di critica, di una irrefrenabile voglia di screditare l’altro (pensando di ricavarne vantaggio o per lo meno di consolarsi per la propria insufficienza). Oggi ci sono mezzi di comunicazione che possono diventare feroci tanto sono incontrollabili.
Molto simile all’invidia è la gelosia. Si differenzia in questo: l’invidia è il disagio di fronte al bene altrui, la gelosia è l’eccessiva preoccupazione per il proprio.
Nella vita, nella politica, nello sport può esserci una sana competizione, che può diventare una risorsa per impegnare nel bene ogni energia. San Paolo scriveva: «Gareggiate nello stimarvi a vicenda» (Rm 12,10), invitando ad una possibile competizione nel bene.
Come curare l’invidia? Non basta dire la difficoltà, ci sono possibilità di sconfiggere nel cuore questo sentimento. È un lavoro personale, ma anche un lavoro da fare insieme: convincersi che formiamo insieme un solo corpo e siamo membra gli uni degli altri. Ognuno ha doni, talenti e pensieri utili per il bene comune. Se un membro del corpo “fa bene”, ha buoni pensieri, è un vantaggio per tutti e per la causa che ci vede tutti schierati. In qualche modo posso dire che il bene altrui è “mio”: l’altro, infatti, è parte di me! Si cura, poi, l’invidia contemplando la benevolenza di Gesù che «da ricco che era si è fatto povero per arricchirci con la sua povertà» (cfr. 2Cor 8,9). Come san Marino, meditiamo sulla sapienza, la sapienza del cuore, ragioniamo con l’intelligenza, consideriamo con il cuore: apriamoci alla sapienza. Così sia.