Omelia nella festa di San Lorenzo

Belforte, 10 agosto 2018

2Cor 9,6-10
Sal 111
Gv 12,24-26

(da registrazione)

Carissimi,
sono venuto volentieri ad unirmi alla vostra festa. Saluto tutti. Vedo che ci sono anche molti giovani e bambini. È un bene che le nuove generazioni sappiano apprezzare le tradizioni del paese. Saluto il signor Sindaco, non per un privilegio, ma perché rappresenta tutta la popolazione e noi, oggi, pregheremo per tutte le famiglie del paese, soprattutto per quelle provate dalla sofferenza.
Alla vostra destra ci sono i sacerdoti che sono parroci nelle chiese vicine e alla vostra sinistra una parte dei diaconi della nostra diocesi: sono nove e tra loro ce n’è uno che verrà ordinato il 29 settembre prossimo. Ha fatto gli studi di teologia, ma viene da un’esperienza di famiglia e dalla professione di camionista. Il Signore sceglie dove vuole, chi vuole, quando vuole.
Sant’Ambrogio di Milano (IV sec. d.C.) è uno dei principali testimoni della vicenda umana e spirituale di san Lorenzo. In particolare, ci tramanda tre episodi della sua vita che diventeranno lo scheletro di tutte le agiografie successive, soprattutto della Passio Laurentii (Passione di Lorenzo), un genere letterario specifico nella letteratura antica: il racconto del martirio dei santi. Naturalmente sono racconti che non vanno presi con il piglio dello storico, perché questi scritti hanno un andamento non solo elogiativo ma anche epico, in quanto il martire viene visto come un eroe e la sua vicenda viene descritta con una infinità di particolari che non sempre hanno un fondamento storico. Quello che è importante nella testimonianza di Ambrogio è che fin dall’inizio Lorenzo è una delle figure più amate e più pregate dalla comunità cristiana. Accenno ai tre episodi tramandatici da Sant’Ambrogio nel De officiis ministrorum.

1.
Lorenzo è il diacono di papa Sisto II. Egli incontra Sisto II, suo vescovo, quando è condotto al supplizio. Lorenzo piange nel vedere il suo vescovo condannato a morte, ma piange anche perché non lo può seguire, deve stare al suo posto – ha un incarico nella Chiesa di Roma – ma il vescovo, incrociatolo, gli promette che subirà la medesima sorte nei tre giorni successivi: al “terzo giorno”, evidente allusione alla Pasqua. «Anche a te, Lorenzo, accadrà di vivere la Pasqua, il passaggio, come il tuo vescovo».

2.
Dopo tre giorni, Lorenzo riceve l’ordine dall’imperatore di consegnare i tesori della Chiesa. Allora Lorenzo raduna i poveri, «il vero tesoro nel quale è presente Cristo, nel quale è presente la Chiesa», così scrive Ambrogio.

3.
Non essendosi in nulla sottomesso alla volontà dell’imperatore, Lorenzo è condannato a giacere su una graticola ardente e bruciato. Morendo, pronuncia queste parole: «Assum est, versa et manduca (sono ormai cotto, girami e mangiami)» (Ambr. De Off. 1, 41, 207). Ciò che a noi importa non è tanto la vera storia del diacono Lorenzo. È difficile ricostruire questo affresco appena tratteggiato da Ambrogio… E guai a chi fa dei restauri interpretativi, perché non sono autentici. Preferibile è sempre il restauro conservativo, in cui teniamo per vero quello che abbiamo. Però, la “leggenda” verrà sublimata nella Passio Laurentii successiva, del VI sec. Essa è importante, anche se arricchita di tanti particolari, probabilmente non storici, per tre motivi.
Il primo è che l’immagine di Lorenzo, martire di Roma, viene letta in corrispondenza con l’immagine di santo Stefano per dire che Roma è la nuova Gerusalemme. Gerusalemme ha avuto il protomartire Stefano, Roma il martire Lorenzo.
Il secondo insegnamento è che il diacono è fedele al suo vescovo fino alla morte. Infatti, i diaconi hanno un rapporto particolare con il vescovo.
Il terzo motivo è che Lorenzo è patrono di Roma insieme a Pietro e a Paolo. È una colonna portante della Chiesa come Pietro e come Paolo. A Roma oggi è grande festa.
Uno scrittore antico, Prudenzio, dice che Lorenzo è il consul perennis, è il console di Roma, perché è colui che non solo è caritatevole, ma accresce la gloria di Roma. Allora alla testimonianza di Ambrogio nel De officiis si sono aggiunte le ricostruzioni di tanti scrittori antichi; alla Passio Laurentii si sono aggiunte le annotazioni del Liber Pontificalis, ma la liturgia lascia da parte queste nostre curiosità storiografiche e ci offre una lettura spirituale di Lorenzo. Ci spiega il suo martirio attraverso due testi biblici nei quali c’è la figura del Regno di Dio classica: quella del seminatore e del seme. «Chi semina scarsamente, scarsamente raccoglierà; che semina con larghezza, con larghezza raccoglierà» (2Cor 9,6). Ma attenzione: «Ciascuno dia secondo quanto ha deciso nel suo cuore» (2Cor 9,7). Il dono dev’essere espressione di una decisione profonda del cuore, della volontà. Allora non si dona con tristezza e neppure per forza. Tanti sono stati educati – nella fede, ad esempio – con l’idea del precetto. In questi giorni, visitando i campeggi, molti giovani mi hanno confidato di avere la percezione che la Chiesa, e i sacerdoti, continuino a mostrargli precetti e divieti. Nell’educazione occorre anche dire dei “no”, è normale nella pedagogia. Eppure, si semina non con tristezza, non per forza, ma secondo quanto deciso nel cuore. Allora nell’educazione è bene aiutare – naturalmente in base all’età – a prendere delle decisioni per una scelta del cuore, a fare non per imposizione, non per esser visti, non per altro motivo che non sia un’adesione profonda alla volontà di Dio, perché «Dio ama chi dona con gioia» (2Cor 9,7).
La seconda immagine che ci mostra la liturgia è quella del chicco di grano che cade per terra, muore e dà la vita (cfr. Gv 12,24). Il centro della frase non è il morire. Quando Gesù dice che il chicco deve cadere per terra per dare la vita, mette in evidenza il dare la vita, il portare molto frutto. Lo sguardo del Signore è sulla fecondità più che sul sacrificio. E tuttavia bisogna passare di lì. Questo vale per la nostra vita cristiana. Questa frase è venuta a Gesù in un contesto del tutto particolare: ci sono dei greci che vogliono conoscerlo (cfr. Gv 12,21). La sua fama, in quel momento della sua vita, sta raggiungendo persone oltre i confini di Israele. Gli apostoli che vanno a segnalare a Gesù questo interesse dei greci (i greci nel mondo antico rappresentano la cultura) vorrebbero dirgli di presentarsi per quello che è, di rivelarsi a loro e di parlare della sua gloria. Del resto, è il momento in cui Israele sta architettando la sua uccisione. Sarebbe opportuno che parlasse ai greci della sua grandezza, del suo progetto. È una tentazione per Gesù. Gesù, invece, dice la verità: «Io sono come un chicco di frumento che cade per terra». Ciascuno di noi è un chicco di frumento, ancora meno, eppure quando accogliamo la nostra vocazione, il posto che il Signore ci ha dato, non per forza, non contro voglia – ripeto – non per altro motivo che non sia l’adesione alla sua volontà, allora siamo certi di portare frutto. È la vocazione di ciascuno di voi, piccolo seme della famiglia, piccolo seme nel lavoro, piccolo seme nel paese, nella società. San Lorenzo ci aiuti ad accettare questo programma di Gesù.