Omelia nella S.Messa alla GMG diocesana
Carpegna, 12 maggio 2018
At 1,1-11
Sal 46
Ef 4,1-13
Mc 16,15-20
(da registrazione)
Nei discorsi che ha tenuto durante l’ultima cena, Gesù ci ha preparati ad una modalità diversa di presenza tra noi. Da una presenza “di fuori”, storica, spazio-temporale, visibile, con tutti i suoi vantaggi e i suoi svantaggi (quanti hanno potuto gustare la presenza di Gesù visibile: mille persone? Quando un cantante, una personalità, il Papa incontrano le persone c’è solo quel gruppo che lo può abbracciare, toccare, sentire), ha annunciato una presenza “di dentro”, secondo lo Spirito, dandoci il suo respiro.
A dire il vero, un estremo tentativo di trattenere la presenza di Gesù visibile l’ha compiuto, ad esempio, Maria di Magdala, quando l’ha incontrato risorto nel giardino. Lei si sentì riconosciuta da lui, perché la chiamò per nome: «Maria…» e lo abbracciò; non lo voleva lasciar partire e Gesù le ha detto: «Non continuare a tenermi stretto così» (cfr. Gv 20,16-17). Sarà stata un po’ delusa. Lo saremmo stati tutti. Ma adesso è possibile trattenere Gesù in un modo nuovo, diverso.
Così anche gli Undici, sul monte, quando volevano trattenerlo e lui è apparso nella forma misteriosa del passaggio. Il linguaggio è tutto particolare; andrebbero fatte molte spiegazioni riguardo a questo “sparire” di Gesù. Attenzione, «tutto ciò che fu visibile del nostro Redentore – la sua tenerezza, la sua capacità terapeutica, la sua forza che infonde coraggio, il suo corpo – è passato nei segni sacramentali» (San Leone Magno). Quando io ricevo i sacramenti, incontro Gesù. Gesù Risorto si fa presente, agisce. So che molti restano scandalizzati, perché i segni sono così modesti che sbalordiscono. Possibile che il vescovo Andrea, insieme ai suoi colleghi sacerdoti, prenda in mano una fettina di pane, pronunci delle parole e Gesù decida di venire ad abitare nel dono di quel pane spezzato? Sì, Gesù si fa davvero presente. Eppure, il segno effettivamente è molto piccolo. Pensiamo alla semplice goccia d’acqua con cui si battezza un bambino; tramite essa, quel bambino viene tuffato addirittura nella Trinità: «Io ti battezzo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo». Pensiamo al matrimonio. Due creature che vengono davanti all’altare e si promettono fedeltà per tutta la vita, che sono disposte a fondare una casa, a costruire futuro, e magari sono ancora impelagate in un mutuo per decine di anni… con la forza del sacramento potranno dire: «Ti amo per sempre».
C’è un’altra cosa importante che ha scritto Papa Francesco nella sua ultima lettera. Faccio un esempio. A volte si pensa di venire in chiesa, di concentrarsi, di creare un’atmosfera dentro di noi… Tutto questo può essere merito nostro. Invece c’è un momento in cui Gesù opera. È lui che agisce, anche se noi non sentiamo nulla, anche se il sacerdote fosse indegno… Gesù opera in noi. Allora, non è solo un’atmosfera. Pensiamo alla Confessione. Possiamo chiedere perdono a Dio quando vogliamo, lo possiamo fare tutte le sere con l’esame di coscienza e con l’Atto di dolore, promettendo di far meglio l’indomani. Dio ci perdona sicuramente. Ma c’è un momento in cui la nostra richiesta di perdono e la sua volontà di perdonarci si fa visibile, concreta. C’è uno, fuori di me, che mi dice: «Io ti perdono nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo». Non mi faccio io il mio perdono. E come è stato concreto il mio peccato, ad esempio lo schiaffo che ho dato (in senso morale), il mio dirmi prepotente, superbo, ecc. Così diventa concreto il perdono.
I sacramenti sono la presenza di Gesù Risorto. Noi diciamo che i sacramenti hanno anche un significato “epifanico”: fanno brillare quello che c’è già dentro di noi. Consideriamo il Battesimo. Con esso è come se il sacerdote aprisse una conchiglia, forzandola: dentro c’è una perla. Il sacramento è opera del Signore e mostra quello che è latente, che ha bisogno di essere manifestato (“epifania”). Allora tutti si fa festa per quel bambino, perché vediamo la perla.
Attorno a questo altare c’è una “epifania”, cioè si realizza sacramentalmente il destino dell’umanità: essere la famiglia dei figli di Dio riuniti attorno alla mensa. Un lembo di Cielo si crea. Va al di là del toccare e del vedere, ma è reale.