Ordinazione episcopale di Mons. Domenico Beneventi

A tutti i fedeli della Diocesi
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Carissimi,
si avvicina la data della consacrazione episcopale del nostro vescovo eletto mons. Domenico Beneventi. La Diocesi sta organizzando una bella e, speriamo, numerosa partecipazione.
L’ordinazione si terrà sabato 20 aprile alle ore 10.30 nella splendida e grande Cattedrale di Acerenza (Potenza).
Il nostro Ufficio diocesano pellegrinaggi ha previsto due opzioni: un viaggio su 2 giorni e un viaggio su 3 giorni (cfr. Allegati).
Chi vuol raggiungere Acerenza con mezzi propri è indispensabile segnali la sua partecipazione in centro Diocesi (Chiara Ferranti cell. 335 227046; pellegrinaggi@diocesi-sanmarino-montefeltro.it).
L’arcidiocesi di Acerenza, dopo la solenne liturgia, offre a tutti il buffet.
La nostra presenza riempirà di gioia il nostro giovane vescovo Domenico. Sarà sicuramente un’esperienza spirituale ed ecclesiale indimenticabile.
Sono fiero di accompagnare e rappresentare la Diocesi, anche come vescovo conconsacrante. La preghiera, il viaggio insieme, i momenti di turismo (a Matera!), l’incontro con gli amici di Acerenza uniranno ancor più i nostri animi: il dono più bello e desiderabile per il Vescovo Domenico.
Vi aspetto in tanti!

Vescovo Andrea

Brochure “pacchetto” 2 giorni

Brochure “pacchetto” 3 giorni

Scarica l’invito alla partecipazione

Omelia nella IV domenica di Quaresima

Pietracuta (RN), 10 marzo 2024

2Cr 36,14-16.19-23
Sal 136
Ef 2,4-10
Gv 3,14-21

Un paradosso: Nicodemo, di notte, quando è buio, va da Gesù per un incontro personale che riguarda il senso della sua vita, e trova una luce abbagliante! Qualcuno pensa sia andato di notte perché si vergognava di farsi vedere: «Tu che sei un fariseo vai a trovare Gesù?», avrebbero potuto dirgli. Nicodemo “era nella notte”. Altre volte l’evangelista Giovanni ama evidenziare: «Era notte». Accade così, ad esempio, quando Giuda tradisce il Signore e, durante la Cena, prende il pane ed esce dal Cenacolo per contrattare la cattura di Gesù; in quel momento Giovanni ribadisce: «Era notte». Non è soltanto un’informazione cronologica, ma lo sfondo di quello che c’è dentro quella coscienza. Nicodemo è in un momento di oscurità, si sta domandando quale sia il senso della vita, tant’è vero che la discussione con Gesù riguarda «una nuova nascita»: Nicodemo, infatti, sente che la sua vita è su un binario morto e chiede come si fa a rinascere.
In questa situazione di buio c’è una parola luminosissima, accecante (ci abbiamo fatto l’abitudine, ma è straordinaria): «Dio ha tanto amato il mondo». Non sappiamo che cos’abbia capito Nicodemo, che cosa sia successo nel suo cuore, però ritroveremo Nicodemo nel racconto della Passione di Gesù, perché sarà tra quelli che avranno cura di Gesù deposto dalla croce. Il cuore di Nicodemo, avvolto dall’oscurità, viene attraversato da questo bagliore.
Ricordo l’esperimento che, al Deutsche Museum di Monaco di Baviera, fanno vedere ai visitatori: la formazione dei fulmini. Per guardare occorrono occhiali particolari. Questa l’intensissima luce che travolge Nicodemo: «Dio ha tanto amato il mondo da dare suo figlio». Mi auguro che tutti voi siate nella luce, ma se per caso ci fosse una persona che sta attraversando un momento di buio, per i più svariati motivi: diagnosi infauste, delusioni nella vita affettiva, dispiacere per i propri peccati, fatti della cronaca, dopo questo annuncio torni a casa con questa luce e con questa certezza: «Dio mi ama immensamente».
Nella conversazione con Nicodemo, Gesù cita una pagina della Bibbia, presa dal Libro dei Numeri (uno dei cinque libri del Pentateuco), che riporta un episodio che Nicodemo conosceva benissimo (Giovanni presuppone la conosciamo anche noi lettori), l’episodio detto “dei serpenti velenosi”. Durante il cammino nel deserto gli ebrei vedono il moltiplicarsi di serpenti velenosi dove hanno posto l’accampamento. Si tratta di serpenti molto velenosi; il Vangelo precisa: «Serpenti brucianti», un’allusione alla febbre causata dal morso dei serpenti. Nelle tende si trovano serpenti, alla fontana ci sono serpenti, nel cortile dove i bambini giocano appaiono serpenti… Ma cosa sono, in verità, i serpenti? Gli ebrei sono insoddisfatti; avevano vissuto il passaggio del Mar Rosso, un fenomeno straordinario, però si lamentano per la fatica di camminare nel deserto; hanno visto l’acqua sgorgare dalla roccia, hanno ricevuto la manna, il «pane del cielo», ma lo giudicano addirittura nauseante. I serpenti stanno a significare la loro mormorazione, la scontentezza che avvelena la loro vita. Mosè compie, allora, un gesto simbolico, che Gesù descrive molto bene. Mosè fa costruire un serpente di bronzo e lo innalza in modo che tutti lo possano guardare. Chi guarda il serpente viene risanato.
Che cosa vuol dire? Si vorrebbero offrire al Signore virtù, esperienze edificanti, cose belle e invece non si hanno che limiti, inconsistenze, peccati e difetti, tutte cose che avvelenano la nostra vita. Allora sono invitato a non guardare me stesso, a non lamentarmi, a non mormorare per uscire da me e guardare il “serpente di bronzo”.
Gesù dice: «Quel serpente di bronzo sono io; guarda me, crocifisso e innalzato da terra, butta in me ogni negatività, tutto quello che avvelena la tua vita e sarai risanato».
Vi dico come faccio nei momenti di buio. Quando ho qualche dispiacere, ad esempio sono deluso da qualcosa, cerco di non restare nella piaga, nella ferita, nel veleno, nella delusione, ma dico: «Sei tu, Gesù, il deluso». Anche Gesù è stato deluso… A volte vivo dei fallimenti. Esco da quella situazione guardando il Crocifisso: «Gesù, sei tu il fallito». Gesù in croce è il fallito. Anche ad un vescovo può capitare di pensare, mentre celebra la Messa, davanti al pane: «Mio Dio, come puoi essere in questo pezzo di pane?». Questi dubbi sono una grazia, perché fanno fare uno scatto nella fede, permettono di uscire dall’abitudine. Anche Gesù sulla croce si è sentito abbandonato, anche se non era solo, e ha gridato: «Dio mio, Dio mio, perchè mi hai abbandonato?» (cfr. Mc 15,34). Gesù ha sentito nel suo cuore umano quello che provano quelli che sono in ricerca. Allora mi dico: «Sei tu, Gesù, l’abbandonato». Invito tutti a vivere questa alchimia interiore.
Nella settimana che sta per iniziare propongo questi due pensieri. Il primo, nella notte un lampo di luce: «Dio mi ama immensamente». Lo devo credere soprattutto nei momenti di buio, nella notte oscura. Tutti siamo mistici, chiamati ad un’esperienza forte di vita cristiana. Il secondo: quando attraversiamo situazioni difficili, cattive, “velenose”, guardiamo il Crocifisso; anche Gesù è stato provato e in Lui siamo stati salvati.

Report Veglia per la Giornata internazionale della donna

8 marzo, Giornata Internazionale della Donna. L’Ufficio di Pastorale Sociale e del Lavoro, in una Veglia di preghiera aperta a tutti, nella serata di giovedì 7 marzo, ha affrontato il tema: “Donna e pace: quale contributo?”. Per la Veglia, papa Francesco – condiviso attraverso un audio registrato dalla sua viva voce – ha unito il suo invito alle donne a quello del Vescovo Andrea, impartendo la sua benedizione all’iniziativa e ai partecipanti. La Veglia si è svolta nella chiesa parrocchiale di Borgo Maggiore, la chiesa disegnata dall’architetto Michelucci. «È la location più adatta – interviene mons. Turazzi – è stata pensata come una piazza al coperto con tanto di finestrelle, in alto i matronei». Il tema è dettato dalla situazione attuale: una guerra vicina e terribile. «Le prime immagini che si affacciano alla mente – afferma Fabio, membro dell’Ufficio diocesano – è quella delle madri che piangono i loro figli partiti per la guerra e quella delle spose che piangono per i loro mariti lontani. Impossibile farci l’abitudine quando al telegiornale vedi ragazze che stringono in grembo i loro bambini martoriati. La guerra è la smentita più eclatante della maternità». In effetti, la donna portatrice della vita oggi è quella che paga di più, con le sue lacrime, le sue sofferenze e i suoi “perché?”. «L’osservazione di Fabio – precisa il Vescovo – inquadra bene il tema e mostra la donna protagonista e passiva, nel senso che è la prima a subire le ferite e i sacrilegi della guerra». C’è chi fa riferimento anche alle donne violate e stuprate, alle donne impegnate in prima linea loro malgrado, ma soprattutto a donne messaggeri di pace, anzitutto col loro esserci, col loro “saper stare” in medias res. «Il mio pensiero – continua il Vescovo Andrea – va a due ragazze legate all’esperienza missionaria saveriana, presenti e coinvolte nella guerra negli anni ’90 tra Utu e Tutsi nello sconfinamento con l’allora Zaire: Paola Mugetti e Edda Colla. Hanno fatto la scelta di vivere in mezzo al popolo congolese condividendo le sofferenze e le speranze. Vicine alle famiglie, capaci di ospitare centinaia di profughi nella loro casa e nel cortile d’intorno, costantemente in dialogo tra le istituzioni e gli emissari dei signori della guerra, presenza profetica in mezzo a quella bufera, non con grandi cose, ma con quotidiano impegno di tessere rapporti, di animare la speranza, operatrici di pace». L’affermazione “quale il contributo delle donne alla causa della pace?” è stato posto in modo problematico. Ma è tutt’altro che uno slogan. È una domanda: come raccogliere la profezia di pace che scaturisce dai grembi delle donne? Una domanda aperta. Ci riguarda tutti.

Durante la serata si è provato a dare risposte, tramite testimonianze dal vivo e videoregistrate. Ha offerto un suo contributo la giornalista di Avvenire Marina Corradi, molto nota per le sue corrispondenze e per i suoi commenti sui drammatici eventi di questi giorni. Sono intervenute con un videomessaggio le monache della Rupe, le Agostiniane di Pennabilli, da vari anni impegnate nello studio della teologia della pace e nell’incontro con molti giovani per diffondere la mentalità di pace. In presenza hanno riferito le loro esperienze sul campo Alessandra Cetro, incaricata regionale “Giustizia, Pace e Non violenza” dell’Associazione Scout AGESCI e Giulia Zurlini, dell’Operazione Colomba, corpo nonviolento di pace promosso dall’Associazione Papa Giovanni XXIII. Dunque, non solo preghiera, ma anche studio e condivisione di pensieri e parole di pace. «Siamo certi – aggiunge Gian Luigi, il responsabile dell’Ufficio – che la riflessione possa muovere tanti cuori per compiere passi nuovi sulla via della pace. Noi ne siamo convinti: il genio femminile è una risorsa vincente, a partire dall’impegno culturale e diplomatico, dalla dedizione educativa a quella della comunicazione». Nella serata del 7 marzo è partita un’accorata preghiera a Colei che viene chiamata Regina della Pace.

IL VALORE UNICO DELLA VITA

28 febbraio 2024, Dichiarazione della Conferenza Episcopale dell’Emilia-Romagna circa il fine vita

Durante la Visita ad limina i Vescovi dell’Emilia Romagna si sono riuniti per valutare la necessità di intervenire con una presa di posizione in merito alle disposizioni emanate dalla Regione Emilia Romagna per quanto riguarda il suicidio medicalmente assistito. Ne è uscito un testo chiaro nei contenuti e semplice nella forma. I Vescovi sono sconcertati per la proposta di legittimare, con un decreto amministrativo, il suicidio medicalmente assistito. 

Nascere, vivere, morire: tre verbi che disegnano la traiettoria dell’esistenza. La persona li attraversa, forte della sua dignità che l’accompagna per tutta la vita: quando nasce, cresce, come quando invecchia e si ammala. Sperimenta forza e vulnerabilità, intimità e vita sociale, libertà e condizionamenti.
Gli sviluppi della medicina e del benessere consentono oggi cure nuove e un significativo prolungamento dell’esistenza. Si profila così la necessità di modalità di accompagnamento e di assistenza permanente verso le persone anziane e ammalate, anche quando non c’è più la possibilità di guarigione, continuando e incrementando l’ampio orizzonte delle “cure”, cioè di forme di prossimità relazionale e mediche.
Alla base di questa esigenza ci sono il valore della vita umana, condizione per usufruire di ogni altro valore, che costruisce la storia e si apre al mistero che la abita, e la dignità della persona, in intrinseca relazione con gli altri e con il mondo che la circonda. Il valore della vita umana si impone da sé in ogni sua fase, specialmente nella fragilità della vecchiaia e della malattia. Proprio lì la società è chiamata ad esprimersi al meglio, nel curare, nel sostenere le famiglie e chi è prossimo ai malati, nell’operare scelte di politiche sanitarie che salvaguardino le persone fragili e indifese, e attuando quanto già è normato circa le cure palliative. Impegno, questo, che qualifica come giusta e democratica la società.
Procurare la morte, in forma diretta o tramite il suicidio medicalmente assistito, contrasta radicalmente con il valore della persona, con le finalità dello Stato e con la stessa professione medica.
La proposta della Regione Emilia-Romagna di legittimare con un decreto amministrativo il suicidio medicalmente assistito, con una tempistica precisa per la sua realizzazione, presumendo di attuare la sentenza della Corte Costituzionale 242/2019, sconcerta quanti riconoscono l’assoluto valore della persona umana e della comunità civile volta a promuoverla e tutelarla.
Anche noi, Vescovi dell’Emilia-Romagna, pellegrini a Roma alle tombe degli Apostoli, non possiamo non esprimere con chiarezza la nostra preoccupazione e il nostro netto rifiuto verso questa scelta di eutanasia, ben consapevoli delle dolorose condizioni delle persone ammalate e sofferenti e di quanti sono loro legati da sincero affetto. Ma la soluzione non è l’eutanasia, quanto la premurosa vicinanza, la continuazione delle cure ordinarie e proporzionate, la palliazione e ogni altra cosa che non procuri abbandono, senso di inutilità o di peso a quanti soffrono.
Tale prossimità e le ragioni che la generano hanno radici nell’umanità condivisa, nel valore unico della vita, nella dignità della persona, e trovano sorgente, luce e forza ulteriore in Gesù di Nazareth che, proprio sulla Croce, nella fase terminale dell’ esistenza, ci ha redenti e ci ha donato sua madre, scambiando con Lei, con il discepolo amato, con chi condivideva la pena, parole e un testamento di vita unico, irrinunciabile, non dissimili a quelle confidenze che tanti cari ci hanno lasciato sul letto di morte.
Il suo dolore, crudelmente inferto, accoglie ed assume ogni sofferenza umana, innestandola nel mistero di Pasqua, mistero di Morte e di Risurrezione.

I Vescovi dell’Emilia Romagna

Omelia nella III domenica di Quaresima

Pennabilli (RN), Cappella del Seminario, 3 marzo 2024

Esercizi Spirituali con il Settore Adulti dell’Azione Cattolica

Es 20,1-17
Sal 18
1Cor 1,22-25
Gv 2,13-25

La Prima Lettura con la consegna dei dieci comandamenti è un inno epico per l’esodo in cui il Signore ha condotto fuori dall’Egitto il suo popolo, finalmente libero. Non dà i comandamenti come una “palla al piede”, ma come dono di libertà, segno dell’alleanza con Lui.
Nella Prima Lettera ai Corinti Paolo deve ammettere il paradosso cristiano: «Mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso». Capiamo che l’impegno della Chiesa per la promozione umana è importante, ma deve scaturire e motivarsi a partire dall’annuncio di Gesù Risorto e dall’annuncio della pienezza di vita (la vita eterna): questo è il primo compito dei cristiani nel mondo. San Paolo afferma che questo annuncio, il kerygma, è «scandalo per i giudei (un Messia crocifisso!) e stoltezza per i pagani (cultori della gnosi)». Gli uni e gli altri devono fare i conti con un Dio che si è “voltato”, cioè si è fatto volto, in una comunità, a volte una comunità di poveri, che forma la Chiesa.

L’episodio della cacciata dei venditori dal tempio c’è in tutti i Vangeli, però nei Sinottici è posta alla fine, ultimo atto della vita pubblica di Gesù che poi sfocia nella grande crisi: si può dire che è l’elemento che fa scattare la cattura di Gesù e la Passione. Invece l’evangelista Giovanni inserisce l’episodio all’inizio del suo Vangelo, al capitolo 2, dopo il grande affresco del Prologo, la predicazione di Giovanni Battista, la chiamata dei primi apostoli e l’episodio delle nozze di Cana. Si potrebbe pensare che Gesù voglia moralizzare il comportamento dei fedeli che vanno al tempio, ma in realtà tutta la vita di Gesù è stata un progetto di purificazione del nostro rapporto con Dio. In fondo, quel mercanteggiare al tempio, quel vendere e comprare colombe e agnelli, quello scambiar monete erano necessari, perché al tempio non si potevano usare le monete con l’immagine di Cesare e certamente Gesù ha inteso fare questa purificazione, ma la purificazione che ha voluto realizzare è quella del nostro rapporto con Dio, che non sia un rapporto basato sul “do ut des”. Spesso, infatti, accadeva che gli uomini andassero al tempio, comprassero l’agnello, lo offrissero in sacrificio per “fare la loro parte”, come un atto di culto dovuto e interessato. Avendo fatto tutto quello che ritenevano di dover fare, si mettevano nell’atteggiamento di attesa: adesso toccava a Dio “fare per loro”. Gesù libera completamente da questa falsa mentalità: il rapporto con Dio è gratuità, dono.

Il Figlio di Dio si è fatto uomo per vivere sino in fondo l’incarnazione: sentire i battiti del cuore umano, provare il dispiacere, sperimentare il tradimento… Dio, in Gesù Cristo, ha voluto amare da uomo. Gli uomini hanno sempre desiderato offrire a Dio sacrifici, dare la lode e il culto che Dio merita, ma non è in loro potere. Come può l’uomo avere l’ardire di offrire qualcosa a Dio che sia degno di Dio? Dio si fa uomo perché l’uomo possa dare la lode a Dio (Gesù ci raccoglie tutti in Lui!). Per questo diciamo che Cristo è il sacramento dell’incontro con Dio. In Lui il Padre si fa visibile e si dona all’uomo, e l’uomo-Gesù si fa nostra risposta. Gesù è il Tempio vivo dove si celebra questa relazione. Questa non è una filosofia, un pensiero, una mistica astratta, ma la vicenda di una persona concreta, che si dona a noi e si offre al Padre per noi. E’ un mistero che si rinnova nel dono di un pane spezzato. Gesù spezza il pane per significare il dono totale di sé, ma anche perché tutti godano di quel pane. Nell’Eucaristia ci sono tutto l’amore e la condiscendenza di Dio per l’uomo e, nel contempo, il ringraziamento e la benedizione dell’uomo verso Dio. Tutto accade in Gesù, vero Tempio.
Concludo ribadendo le tre parole che ci stanno accompagnando in quest’anno eucaristico. L’Eucaristia è presenza. Se fossimo veramente convinti di questo, vivremmo questo momento storico con molta serenità e altrettanto coraggio.
L’Eucaristia è azione. Gesù non è immobile nel Tabernacolo come in una cassaforte: agisce, opera, “tocca”.
L’Eucaristia è autodonazione. Gesù non ha compiuto il dono di sé solo nell’Ultima Cena, continua sempre a donarsi, perché è nell’eterno.
L’Eucaristia è autodonazione di Cristo, che è sacramento dell’incontro con Dio. Dio si dà in Gesù, noi in Gesù possiamo salire a Dio.