Annuncio della morte di papa Benedetto XVI

Carissimi Sacerdoti, Religiosi e Religiose, Diaconi e fedeli della Diocesi,

a un anno esatto dalla morte di S. Ecc.za Mons. Negri, abbiamo appreso con dolore della morte del Papa emerito Benedetto XVI. Due personalità, ciascuno delle quali per la propria parte, ha segnato profondamente la vita della nostra Chiesa Particolare.
Non possiamo dimenticare la visita di Benedetto XVI il 19 giugno del 2011 alla Diocesi e alla Repubblica di San Marino, visita voluta fortemente da Mons. Negri, “perché Pietro venisse a rafforzare la nostra fede”.

Oggi sono entrambi nella Casa del Padre, in quel vincolo pieno, di affetto e di amicizia
che li ha uniti qui in terra.
Li accompagniamo entrambi con la nostra riconoscenza e con la nostra preghiera, e chiediamo ad entrambi il coraggio della fede e la forza della testimonianza che essi hanno vissuto non solo personalmente, ma che hanno cercato di rafforzare anche in ognuno di noi, secondo il mandato che il Signore aveva loro affidato.

Mentre Mons. Negri l’abbiamo ricordato nella S. Messa in occasione del 1° anniversario della morte presieduta dal Vescovo in cattedrale, per quanto riguarda la preghiera per il Papa emerito Benedetto XVI, si sta valutando una celebrazione diocesana in occasione del giorno trigesimo della morte. Appena deciso sarà comunicato il giorno, l’ora e il luogo. Nel frattempo ciascuno è invitato a ricordare nella preghiera l’anima eletta del Papa emerito Benedetto XVI.

Pennabilli, 31 dicembre 2022

Mons. Elio Ciccioni

S.Messa in ricordo di S.E. Mons. Luigi Negri

Sabato 31 dicembre ricorre il 1° anniversario della morte dell’Arcivescovo Luigi Negri, già vescovo della nostra Diocesi di San Marino-Montefeltro.
Alle ore 17:30 nella Cattedrale di Pennabilli il Vescovo Andrea Turazzi celebra la S.Messa in suo ricordo e suffragio.
Nella giornata del 31 dicembre monsignor Luigi sarà ricordato in tutte le celebrazioni eucaristiche.

Omelia nella Solennità del Natale del Signore (Messa del Giorno)

Pennabilli (RN), Cattedrale, 25 dicembre 2022

Is 52,7-10
Sal 97
Eb 1,1-6
Gv 1,1-18

Il Natale è di tutti. Il sole che illumina le mie finestre non riguarda solo me, abbraccia e avvolge di splendore tutto e tutti. Così il Bambino di Betlemme. Il Natale è per tutti, non è riservato agli intellettuali, alle persone squisite spiritualmente, ad una specifica categoria di persone, ma è per tutti. Il Vangelo della Natività ha una forte carica effusiva: tracima e riempie di significato, di senso, di gioia tutte le persone del mondo. Il Natale è con tutti: siamo tutti convocati attorno al mistero della Natività di questo Bambino adagiato nella mangiatoia. La Natività è da vivere con volontà di perdono, di amicizia, di superamento delle tensioni che talvolta caratterizzano le relazioni; in modo particolare, è da vivere – lo raccomandava il Santo Padre nella Messa della Mezzanotte – con le persone fragili, in difficoltà, povere (sulla terra sono miliardi), a partire da quelle vicine.
Natale di tutti, Natale per tutti, Natale con tutti.

Dopo l’emozione della Messa di Mezzanotte, siamo invitati a fare una meditazione approfondita di una pagina straordinaria, la pagina introduttiva al Vangelo secondo Giovanni: il Prologo. Cerchiamo di sottolineare in questa pagina alcune parole “strategiche”, tecniche, che hanno un significato particolare nella lingua del Vangelo, il greco (alcune volte le traduzioni sono belle ma infedeli, cioè non rispecchiano perfettamente il pensiero di chi scrive).

Questa notte abbiamo letto il racconto della Natività nel Vangelo secondo Luca. Luca ha incontrato Gesù morto e risorto e, come l’evangelista Marco, il primo degli evangelisti, ha narrato la vita di Gesù “con gli occhiali” dell’incontro pasquale. Mentre Marco inizia il suo racconto dal battesimo di Gesù, Luca racconta la vita di Gesù dall’infanzia. Quel Gesù morto e risorto, che è apparso ai primi discepoli, che ha mangiato con loro e che loro stanno annunciando in tutto il mondo, era già il Signore nel momento della sua nascita. Da qui la decisione di Luca di raccontarci l’infanzia di Gesù, evidenziando il ruolo di Maria di Nazaret, la sua mamma. Matteo, invece, racconterà dell’infanzia in modo più succinto e dal punto di vista di Giuseppe.
L’evangelista Giovanni fa un passo ancora più indietro: comincia a considerare “quel Gesù” risorto, che ha incontrato e che ha cambiato la sua vita (Giovanni è il discepolo che ha appoggiato la sua guancia sul petto di Gesù, per dire l’intimità che aveva con lui…) nella sua preesistenza; lo fa adoperando un termine greco con cui dobbiamo familiarizzare: «In principio era il Logos…». I cristiani a cui indirizza il suo Vangelo avevano a che fare con la cultura greca che dava grande importanza alla parola Logos, che noi traduciamo con “Verbo”. Il Logos era considerato ciò che dà significato a tutto, la ragione di tutto, la ragion d’essere della realtà. Anche nel nostro tempo è necessario tradurre la fede cristiana con parole e concetti di oggi (senza trasformare la fede cristiana in un’altra fede). Giovanni, dunque, compie un’operazione teologica straordinaria, ma anche una grande provocazione, perché dice: «Questo Verbo (Logos), che voi filosofi vedete come un principio astratto, immateriale, si è fatto carne». «E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14). “Carne” (sarx) è un’altra parola tecnica il cui vero significato è “fragilità”. Potremmo tradurre: «E il Verbo si è fatto fragilità». La nostra fede è originale, sconvolgente, straordinaria: crediamo in un Dio che diviene fragile per amore. Nessuna mitologia, nessuna “bacchetta magica”, ma un Dio che si fa fragile, nasce in un luogo di fortuna, si lascia fasciare… e poi coprire di baci. «E il Verbo si è fatto carne».

Il Prologo incomincia con: «In principio era il Verbo». Consideriamo ora la parola “in principio”. È un rimando esplicito a Genesi 1,1 (bereshìt), parola da non intendere in senso cronologico. Gli ebrei, quando dicevano “in principio”, pensavano a qualcosa di analogo al Logos. Giovanni deve essere fedele alla tradizione biblica ebraica: «In principio… Dio creò il cielo e la terra» (Gn 1,1), quindi scrive “in principio” nel senso di “principio di tutto”. Nella comunità cristiana ci sono pagani convertiti (sono greci o comunque appartenenti all’area del Mediterraneo di allora) e ci sono cristiani provenienti dall’ebraismo. L’evangelista Giovanni crea un’opera di inculturazione. Altro termine importante per la tradizione ebraica è dabar che si traduce con “Verbo-parola”.
La Bibbia dice: «In principio Dio creò il cielo e la terra», con la sua parola, con il suo verbo: «Dio disse, e le cose furono fatte», «Dio disse “sia la luce” e la luce fu». La parola mediante la quale il Creatore crea è il Verbo.
Ancora un particolare. Giovanni scrive: «Il Verbo era presso Dio» (pros significa “verso”), ma non in senso statico: l’espressione vuol dire che il Logos era rivolto verso Dio, era nella relazione con Lui.
Quando facciamo nostro il Vangelo, per Giovanni siamo rivolti anche noi, attraverso il Verbo, Gesù Cristo, verso Dio, ed entriamo nella relazione con Lui. Il Verbo è ad un tempo rivolto verso Dio e, nello stesso tempo, mette noi in relazione con Dio.
Nel Prologo Giovanni introduce Giovanni Battista e lo chiama “martire”. “Martire” sta per “testimone”. Secondo il diritto ebraico la testimonianza vale se ci sono due testimoni concordi (servono due testimoni per salvare la verità o per negarla se è una falsità). Noi che cominciamo a leggere il Vangelo di Giovanni siamo coinvolti: se tu leggi il Vangelo diventi “martire” (non necessariamente un martire insanguinato), cioè “l’altro testimone”. In che senso? Se leggi il Vangelo troverai la donna perdonata e lei è testimone del dono ricevuto; troverai il lebbroso che è stato risanato e anche lui è testimone; troverai il cieco che ha riacquistato la vista; troverai i poveri che hanno cominciato a danzare di gioia perché evangelizzati. E chi è il secondo testimone? Il secondo testimone sei tu, è ciascuno di noi che legge.
«Il Verbo si è fatto fragilità». A noi la fragilità spaventa. Ma oggi siamo invitati ad accoglierla perché è stata redenta, ci fa più fratelli e ci rende più solidali verso i fragili. È questione di amore. Accogliamo la fragilità. Buon Natale.

Omelia nella Solennità del Natale del Signore (Messa della notte)

San Leo (RN), Cattedrale, 24 dicembre 2022

Is 9,1-6
Sal 95
Tt 2,11-14
Lc 2,1-14

1.
«Mentre si trovavano in quel luogo si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia perché per loro non c’era posto nell’alloggio». Appena due righe. Il Signore sa cosa c’è nel cuore di ciascuno di noi. Lui saprà dirci la parola giusta e noi ci prepariamo ad accoglierla. A me tocca il compito di proclamare, in questa notte, che il Natale è di tutti. Come il sole che illumina il mio giardino, così la Natività illumina il giardino interiore di ogni persona. Tutti possono trovare nel Bambino di Betlemme, che Maria ha adagiato nella mangiatoia, la speranza. Il Natale è di tutti, perché “fatto” di cose concrete, prossime alla quotidianità: un alloggio di fortuna, forse una capanna, una grotta o una stalla, l’acqua per lavare il neonato, le fasce e la paglia… C’è la mamma e c’è Giuseppe. Poi arrivano i pastori. Il Natale è di tutti.

2.
Il Natale è per tutti, non è un messaggio destinato ad una élite di persone, di intellettuali, uomini di raffinata spiritualità, ma a tutte le persone senza distinzione, soprattutto alle persone provate dalla sofferenza e dalla povertà. La notte di Natale è la notte del censimento, dove ognuno va a ricongiungersi con le sue radici. I bambini, grandi protagonisti nei nostri borghi di montagna, ci prendono per mano. Noi crediamo di tenere loro per mano, ma in realtà sono loro che ci fanno strada, ci fanno uscire dai nostri incubi, ci mettono davanti alle grandi domande, come sanno fare con la loro ingenuità, ci mettono davanti al Mistero e ci riportano alla nostra infanzia, beninteso non all’infantilismo, ma a ciò che costituisce la capacità di essere umili, di abbracciare la novità e di sapersi affidare.

3.
Il Natale è con tutti, è un invito alla condivisione, a farsi l’uno per l’altro dono; contiene un invito al perdono, tutti fratelli. Oggi più che mai stiamo prendendo consapevolezza dell’interdipendenza nella società. Non ci si salva da soli. Il Natale ci chiede di essere portatori di gioia, la gioia di cui parla l’angelo: «Vi annuncio una grande gioia che sarà di tutto il popolo». Ho sottolineato il dimostrativo “tutti”. Per tutti siamo portatori di gioia, e la gioia più profonda del nostro cammino di cristiani è la certezza che siamo amati, amati immensamente. Da questo amore sono nati la creazione nel suo splendore, la redenzione, il perdono; da questo amore nasce il Bambino Gesù. In fondo, l’unico compito della vita, a ben pensarci, è amare, quindi generare ogni persona alla gioia. Ognuno sa cosa vuol dire questa parola così grande e consumata a causa dell’abitudine, ognuno sa dare il contenuto operativo. “Amare con i muscoli”, cioè non “pensare” di amare, ma amare concretamente.

L’atmosfera della festa, le luci, la poesia possono – ahimè – trasformare il Natale in una fiaba, quasi dimenticando il vero motivo per cui si festeggia il 25 dicembre. Anche le mie parole – ne sono consapevole – sono a rischio di retorica. Me ne accorgo, vorrei evitarlo. Che fare? Il Natale è quello narrato dai Vangeli! Riascoltiamo: una natività avvenuta più di duemila anni fa, in un piccolo villaggio della Palestina, precisamente in un campo di pastori, da due giovani sposi che, essendo in viaggio, non dispongono neppure di una casa, di una tettoia per accogliere il loro bambino. Quanta povertà! Ma quanto amore. Bisogna allora riprendere i racconti degli evangelisti e provare a rileggerli. Facciamolo in questi giorni. In questa notte abbiamo sentito leggere il racconto secondo Luca. Anche Matteo ha riscritto la Natività, in un’altra forma. È bello mettere a confronto il racconto dei due evangelisti: i due racconti si completano. Sono diversi, ma complementari. Ad esempio, Luca sceglie di mettere in luce, fra i tanti contenuti, la povertà di Gesù, «deposto in una mangiatoia perché non c’era posto nell’alloggio», onorato soltanto da alcuni pastori che vegliano di notte, facendo la guardia al loro gregge. L’evangelista Matteo, invece, sembra preferire gli aspetti drammatici. Quel bambino fa paura ad Erode, che vorrebbe ucciderlo e cerca con un trucco di convincere i magi, questi misteriosi personaggi venuti da oriente seguendo una stella, ad indicargli il luogo dove si trova il neonato. Così, per mettere in salvo il figlio, Maria e Giuseppe devono fuggire profughi in Egitto, in terra straniera. Ecco Gesù, poverissimo eppure temuto, adorato dai ricchi sapienti che gli portano doni preziosi, come l’oro, l’incenso e gli aromi pregiati, e tuttavia mancante di una semplice culla. Chi è davvero questo bambino? Povertà e grandezza, poesia degli uni e cattiveria di un potente: sono le stesse condizioni che poi questo Gesù, divenuto adulto, conoscerà durante tutta la sua vita. Luca e Matteo hanno incontrato Gesù risorto e l’hanno riconosciuto come Messia, il Signore atteso dalle genti e annunciato dai profeti. Chi lo accoglie, come hanno fatto loro, sperimenta una luce e una forza sorprendenti. Quando leggiamo pagine di profezia trionfalistiche, grandiose, ricordiamoci che la chiave ermeneutica è Gesù Crocifisso: è proprio lui il Signore! Non dimentichiamolo. Impariamo a riconoscerlo nella fede. Anche per noi il segno della grande gioia, del Salvatore annunciato dall’angelo è «un bambino avvolto in fasce che giace in una mangiatoia». Buon Natale!

Omelia nella S. Messa di Natale con gli studenti delle scuole superiori di San Marino

San Marino Città (RSM), chiesa di San Francesco, 23 dicembre 2022

Ml 3,1-4.23-24
Sal 24
Lc 1,57-66

Questo è il foglio destinato a raccogliere i pensieri che devo dire. È bianco!
Permettetemi una confidenza. Ieri sera ho cominciato tante volte a scrivere appunti, ma non sono stato capace di sintetizzare l’esuberanza di temi e di luci del Natale. Di per sé il Natale è la cosa più semplice che ci sia.
Nelle settimane che precedono il Natale (il tempo dell’Avvento) è stato spesso evocato questo annuncio profetico: il mondo è guaribile. Le profezie parlano di lebbrosi che vengono mondati, di ciechi che finalmente vedono, di sordi che odono, di poveri a cui è annunciata la liberazione. Che cosa vuol dire che il mondo è guaribile? Quando ti comunicano che non c’è più niente da fare si va in crisi. Se invece ti dicono: «Puoi lottare, se ce la metti tutta ce la puoi fare!», nasce la speranza. Guardo l’umanità nel suo insieme. A volte mi capita, nella preghiera, di immedesimarmi nelle persone che soffrono. È insopportabile caricarsi di così tante sofferenze. Pensate alla sofferenza delle persone che si trovano in una casa di cura (sabato scorso sono andato in una casa dove ci sono disabili psichici, ieri sono stato un pomeriggio intero con gli anziani, spesso rimasti soli in questi ultimi tempi, al Casale La Fiorina), e alla situazione attuale di povertà e di guerra (freddo e buio senza corrente elettrica).
Cari ragazzi, anche voi venite da un’esperienza di dolore: due vostri amici sono stati vittima di un grave incidente stradale. Questo è il mondo. Il Signore dice che il mondo è salvabile. C’è una prospettiva, un futuro che lui ci promette; la fede ci informa che c’è vita piena. Questo discorso sull’aldilà non dev’essere frainteso. L’annuncio di un mondo guaribile non implica semplicisticamente il rinvio ad un’altra vita; il mondo è guaribile ora «come in cielo così in terra». Ciò provoca il nostro impegno di cura e di fatica per progredire. Sono guaribili sulla terra anche la povertà e la guerra. La povertà non è un fatto “strutturale”, ma contingente: ci sono meccanismi che portano alle situazioni di povertà. C’è spazio per l’impegno, la lotta, il superamento. Si dice: «Ci sono sempre state le guerre; ciò non significa che la guerra faccia parte della struttura dell’organizzazione umana. Si può superare: ecco il messaggio del Natale. Le profezie dell’Antico Testamento proclamano: «Il lupo dimorerà insieme con l’agnello, la pantera si sdraierà accanto al capretto…» (Is 11,6). «Ogni calzatura di soldato nella mischia e ogni mantello macchiato di sangue sarà bruciato… Perché un bambino è nato per noi…» (Is 9,4-5). «Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce…» (Is 9,1). «Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci» (Is 2,4). Il linguaggio è poetico, ma dice la grande risorsa che è la nostra fede, che è Gesù.
Concludo con l’emozione che ho provato qualche sera fa quando una parrocchia mi ha invitato al saggio dei bambini delle scuole primarie (quella sera avevo la tentazione di andare a Ferrara perché al Teatro comunale eseguivano la Messa in Si Minore di Bach). C’erano più di cento bambini e la chiesa era gremita. Ma più dello spettacolo mi hanno colpito gli adulti, le mamme e i papà visibilmente commossi davanti ai loro bambini. Ho capito ancora di più quello che è stato il mio augurio per questi giorni: «Menomale che ci sono i bambini…». Quest’anno veniva voglia di lasciare gli addobbi nella cassapanca, invece i bambini provocano e ci prendono per mano, ci fanno andare oltre le nostre paure e ci portano davanti al Mistero che fa grande gli uomini. Noi credevamo di tenerli per mano, ma quella sera erano i bambini che tenevano per mano noi e ci introducevano in una dimensione che non dobbiamo smarrire, quella dell’infanzia – non ingenuità puerile o infantilismo – ma alla riconquista del puer evangelicus che è dentro di noi, cioè la dimensione dell’umiltà e della piccolezza. La piccolezza è il primo requisito per voler bene, per far spazio all’altro.
Abbiamo considerato un mondo da risanare, ma anche ciascuno di noi porta delle ferite.
Il Signore nato a Betlemme ci fa superare i condizionamenti del nostro egoismo, si prende cura di noi e ci fa nuovi: nel suo Natale il nostro Natale. Auguri!

Giornata Mondiale della Pace

Alle Autorità Pubbliche

Gentili Signore e Signori,

siamo onorati di invitarVi alla cerimonia di consegna alle autorità della Repubblica di San Marino e del Montefeltro del messaggio di Papa Francesco per la Giornata Mondiale della Pace, quale occasione all’inizio del nuovo anno di condivisione del comune impegno per la pace, oggi quanto mai necessario.
La cerimonia di consegna del messaggio da parte di S.E. Mons. Andrea Turazzi si terrà nella Basilica di San Marino (…Cattedrale a Pennabilli) alle ore 12.00 (…17.00) del 1° gennaio 2023 durante la Messa Solenne per la Pace presieduta dal Vescovo.
La cerimonia si terrà lo stesso giorno anche nella Cattedrale di Pennabilli (Basilica di San Marino) alle ore 17.00 (12.00).

Papa Francesco nella enciclica “Fratelli tutti” afferma che per costruire la pace è necessario sia l’architettura della pace, di cui sono responsabili le istituzioni della società, che l’artigianato della pace, che coinvolge e responsabilizza i singoli cittadini.
In quanto rappresentanti delle istituzioni, Voi siete chiamati ad essere sia architetti che artigiani della pace. Per noi sarebbe prezioso sapere secondo voi quali siano le condizioni necessarie e gli aspetti importanti per costruire pace, sia dal punto di vista della responsabilità istituzionale a cui siete chiamati, sia a livello personale nella vita quotidiana.

Attendiamo all’indirizzo email psl@diocesi-sanmarino-montefeltro.it un cortese riscontro circa la ricezione di questo invito e della vostra partecipazione alla celebrazione del 1° gennaio al fine di organizzare la cerimonia.
Saremmo anche felici di poter ricevere le vostre considerazioni sulla costruzione della pace.

Cordiali saluti.

Gian Luigi Giorgetti
Resp. Ufficio Pastorale Sociale e Lavoro

Omelia nella IV domenica di Avvento

Montegrimano (PU), Molino Giovanetti, 18 dicembre 2022

Is 7,10-14
Sal 23
Rm 1,1-7
Mt 1,18-24

La strada che percorriamo verso il Natale è utile e importante per tutti. Siamo passati dalla settimana della vigilanza, in cui abbiamo ricordato la necessità di stare attenti alle occasioni di incontro con il Signore (è venuto, verrà e viene continuamente) alla settimana della conversione: anche Giovanni Battista, a sua volta, ha dovuto sostenere un cambiamento, ha dovuto “girarsi” verso Gesù, accogliere il dono della sua novità. Lì per lì Giovanni non l’aveva riconosciuto, era perplesso, prigioniero dei suoi dubbi: «Sei tu il Messia che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Poi, siamo passati per la settimana della gioia: è Gesù colui che è atteso dalle genti, è Gesù che viene a gridare il Vangelo e ci dice che il nostro mondo, con le sue strutture fatiscenti, è guaribile e chiama me, chiama ciascuno di noi, a compiere le sue opere; anzi, dirà: «Voi farete cose più grandi di me».
Ora è la settimana del sogno, la settimana di Giuseppe. Anche il Giuseppe dell’Antico Testamento era “uomo di sogni”. Giuseppe di Nazaret desidera sposare Maria; anzi, il matrimonio ufficialmente è già avvenuto, ma Giuseppe sogna di fare famiglia con lei, di prenderla nella sua casa e con lei poter costruire un futuro pieno di onestà, di fatica e di gioia com’era nella società di allora, ma anche di presenza del Signore. Nei suoi sogni torna Maria, la sua promessa sposa. Giuseppe non vede l’ora di andare a vivere con lei. Improvvisamente qualcuno lo avverte che Maria è incinta. Tutti i suoi progetti gli crollano addosso: che fare? In quanto marito tradito, Giuseppe dovrebbe ripudiare Maria, con tutte le conseguenze del caso. Giuseppe è sconvolto, ma pensa che Maria non gli sia stata infedele e non vuole farle del male. Eppure, quella gravidanza è sotto gli occhi di tutti. Allora medita di licenziarla in segreto, cosa impossibile in un piccolo paese come quello di Nazaret… Mentre si sta arrovellando, Giuseppe riprende a sognare. Questa volta il sogno non è suo, è di Dio: il bambino che Maria attende viene dallo Spirito Santo, lo ha concepito in maniera verginale, come avevano annunciato gli antichi profeti: «Ecco, la Vergine concepirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele, che significa “Dio con noi”» (cfr. Is 7,14). Giuseppe conclude il matrimonio e prende Maria a casa sua. Una volta nato il bambino, Giuseppe, che è del casato di Davide, deve dargli il suo nome allo stato civile. In tal modo quel bambino sarà figlio di Dio per mezzo di Maria e figlio di Davide per mezzo di Giuseppe. Lui, Giuseppe, sarà il padre del Messia che «salverà il suo popolo dai suoi peccati», come dice la Scrittura. Questo pensiero è ancora più sconvolgente: è vero che lui ha sangue blu, essendo di discendenza davidica, ma non è che un modestissimo artigiano di paese e il suo casato è scaduto da secoli… Questa volta Giuseppe non si attorciglia attorno ai suoi dubbi e ai suoi pensieri, ma da vero uomo di fede «fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore», cioè obbedisce alla Parola di Dio.
Il Signore chiede di essere accolto nei nostri progetti e nelle nostre scelte. È lui che progetta, è lui che sceglie. Giuseppe è l’uomo dell’ascolto. A Pietrarubbia è stato ritrovato un dipinto di un autore anonimo marchigiano del XVII secolo in cui Giuseppe è colto di fianco e tutte le linee del quadro convergono sul suo orecchio illuminato, per dire che Giuseppe è l’uomo dell’ascolto.
Giuseppe non parla, nessuna parola di lui nei Vangeli, ma accoglie il disegno di Dio che lo sorprende.
Vi sono due annunciazioni, una narrata dall’evangelista Luca e una dall’evangelista Matteo: l’annunciazione a Maria e l’annunciazione a Giuseppe, perché il Signore si rivolge alla coppia e vuole il “sì” dell’uno e dell’altra. Interessante vedere i paralleli fra le due annunciazioni, consultando il libro della Sinossi (i tre Vangeli scritti da Matteo, Marco e Luca hanno un percorso simile. Fin dall’antichità sono stati accostati. Ci sono punti in cui i Vangeli sono assolutamente concordi, altri nei quali hanno particolari diversi).
In entrambi i racconti di annunciazione Maria è promessa sposa di Giuseppe; ad entrambi il messaggero divino dice: «Non temere…». In entrambe le annunciazioni il bambino si chiamerà Gesù, un bambino che ha origine dallo Spirito Santo. Altri dettagli presentano solo alcune differenze: in Matteo il latore del messaggio è un sogno che viene da Dio; in Luca è l’angelo Gabriele. Giuseppe è chiamato «uomo giusto», Maria è interpellata come «la piena di grazia». Giuseppe è sconvolto, Maria rimane turbata dall’annuncio dell’angelo. Il figlio di Giuseppe «salverà il suo popolo dai peccati» e il figlio di Maria – viene detto dall’angelo – «è santo ed è chiamato figlio di Dio». Giuseppe obbedisce, prende Maria nella sua casa; Maria è disponibile: «Avvenga di me quello che hai detto». Di strettamente lucano è soltanto il racconto successivo della visitazione di Maria ad Elisabetta, quando l’angelo le dice: «Questo è il segno: la tua parente, Elisabetta, ormai avanti nell’età ha concepito un bambino». E Maria partirà per incontrarla e mettersi a sua disposizione.
Questa è la settimana del sogno. Il Papa spesso, soprattutto quando parla ai giovani, invita a sognare, perché il sogno non è soltanto il passato che affiora nelle maglie, allargate dal sonno, della nostra coscienza (il vissuto che elaboriamo e che rappresentiamo dentro di noi), ma è anticipazione del futuro, sogno come desiderio. Il Signore vuole che abbiamo grandi desideri. Nella settimana del sogno e dei desideri diciamo: «Signore, vieni a colmare i desideri del nostro cuore. Solo tu lo puoi fare». Così sia.

Omelia nella IV domenica di Avvento

Fratte (PU), 18 dicembre 2022

Is 7,10-14
Sal 23
Rm 1,1-7
Mt 1,18-24

Ho raccolto da varie persone questa frase: «Spero passino presto il Natale e le feste…». La festa del Natale, così bella, piena di luci e di suggestioni, per contrasto fa sentire di più il dolore, in particolare il dolore per le persone che non ci sono più e hanno lasciato un posto vuoto nelle nostre famiglie. E poi tutto il dolore attorno… C’è anche da pensare ai regali (con sempre meno soldi a disposizione!), alla preparazione del pranzo di Natale, ai parenti…
Il Natale vero, quello che dà gioia nel cuore e porta conforto, è soltanto Gesù. La commercializzazione, l’esteriorità, ci sono, ma l’importante sarà concentrarsi su Gesù. Se c’è Lui, la gioia viene dal profondo. È Gesù che fa bello il Natale, non le vacanze…
Oggi è la domenica del sogno e del “sì”. Giuseppe ha detto un “sì” pieno, totale, alla sua fidanzata Maria. Ma prima che andassero a vivere insieme, Maria aspetta un bimbo. Giuseppe ha subito pensato che Maria avesse detto “sì” ad un altro. Che fare? In un primo tempo decide di farsi da parte. Il Vangelo ci presenta Giuseppe che dorme e sogna. Nel sogno non si hanno le briglie in mano della propria vita: il sogno porta dove vuole. È in quell’atteggiamento che il messaggero, l’angelo, gli dirà di non avere paura, perché è vero che Maria ha detto “sì” ad un altro, ma l’altro è Dio.
Oggi vorrei dire con voi: «Signore, prendi tu le briglie della mia vita. Mi “addormento” e mi lascio condurre da te, come ha fatto Giuseppe». Giuseppe, proprio perché ha lasciato le briglie al Signore, si è trovato coinvolto in questo grande mistero. Sognare per lui significa lasciare al Signore l’iniziativa, come avviene quando le forze ti abbandonano e non sei più padrone di te.
Questa è anche la domenica del “sì”. C’è il “sì” di Giuseppe a Maria, che desidera tanto fare una famiglia con lei. C’è il “sì” di Maria a Dio e poi a Giuseppe. È una storia di “sì”. In questi giorni la liturgia ci presenta una cascata di “sì” che preparano il “sì” di Giuseppe e il “sì” di Maria: il “sì” di Elisabetta, il “sì” di Zaccaria, il “sì” di tanti personaggi della Bibbia, da Abramo in poi.
Questa mattina, mentre venivo a Fratte, ho pensato: «Perché ho detto di sì al Papa quando mi ha chiamato per fare il vescovo? Avrei potuto dire di no, non ero obbligato…». Poi ho capito che, con quel “sì”, ho conosciuto tante persone a cui mi sono legato, persone che prima per me non esistevano. È stato per quel “sì” che queste persone esistono per me ed io esisto per loro. Senza quel “sì” non ci sarebbero tante belle amicizie. Il “sì” è sempre creativo. Quando dici “sì” al Signore, lui compie grandi cose.
Chiedo di essere come san Giuseppe, aperto all’inatteso.
Rinnoviamo insieme i nostri “sì” nel matrimonio, nel sacerdozio, nella professione, nelle responsabilità politiche e sociali, in ogni vocazione. Nel 2023 ogni domenica, in tutte le chiese della Diocesi di San Marino-Montefeltro, alla fine della Messa si dirà un’Ave Maria per le vocazioni. Dobbiamo essere tutti “costruttori di comunità” e fare tutta la nostra parte.

La luce di Betlemme

Ore 13:15. Arrivo del treno da Vienna con “la luce di Betlemme”: luce accesa direttamente dalla lampada che arde dove è nato Gesù. Vuole essere un messaggio di pace e di fraternità. La fragilità della fiamma ci ricorda quanto è difficile custodire la pace: la piccola fiamma ha bisogno di protezione e di cura.
Una delegazione diocesana, alla presenza del Vescovo Andrea, è andata alla stazione di Rimini per attingere alla fiamma e metterla a disposizione di tutte le comunità e di tutte le famiglie. Ottima idea come dono natalizio!
La fiamma è disponibile nella Cattedrale di Pennabilli e nella chiesa di Murata (RSM).

#lucedibetlemme

ANCHE TRA I BAMBINI RISUONA L’ECO GIOIOSA DEL NATALE

L’educazione religiosa nell’infanzia

In questi giorni, in molte famiglie e scuole risuona, anche per il mondo dei bambini, l’eco gioiosa del Natale. Nella nostra cultura le feste cristiane costituiscono le prime e principali occasioni per parlare ai bambini in modo organico e interessante di ciò che la Bibbia dice di Gesù. Ovviamente a loro misura.
Il discorso, a questo punto, si amplifica: pone interrogativi sull’educazione religiosa dei bambini. In queste settimane, nella Repubblica di San Marino, il tema ha innescato un dibattito interessante che, se affrontato correttamente, sarà un bene per tutti. Ad innescarlo è stato un atto dovuto: il Decreto reggenziale sulle “Indicazioni curricolari dell’insegnamento di Religione Cattolica (IRC)” che porta a compimento l’Accordo fra la Repubblica di San Marino e la Santa Sede per l’insegnamento di Religione Cattolica nelle scuole pubbliche. Su tutto questo interessante l’incontro, aperto a tutti e specialmente a genitori e docenti, che si terrà mercoledì 14 dicembre alle ore 18 (Teatro Sociale di Fiorentino, via La Rena – RSM).

Premessa fondamentale ai pensieri che seguono è il riconoscimento della responsabilità prima ed inviolabile dei genitori per quanto riguarda l’educazione dei figli. Le istituzioni educative, scolastiche in particolare, si pongono accanto e a servizio delle famiglie.

Non è consuetudine nell’assetto organizzativo della scuola sammarinese un insegnamento specifico di Religione Cattolica nella scuola d’infanzia. «I grandi temi di natura religiosa confluiscono nell’ambito dell’insegnamento di cultura religiosa che […] viene affidato agli insegnanti titolari di sezione» (Decreto Delegato sull’insegnamento di Religione Cattolica).
Diversa la prassi nella scuola italiana, che prevede un’ora e mezza di educazione religiosa all’infanzia e due ore alle elementari con disponibilità di un “esperto” se l’insegnante di sezione opta per non svolgere questo insegnamento. Da notare che in Italia, come nella Repubblica di San Marino, c’è voluto tempo per raggiungere la consapevolezza che la scuola d’infanzia sia una vera e propria scuola e non “asilo”: un passaggio importante, dalla custodia all’educazione.
Nel recente Accordo tra Repubblica di San Marino e Santa Sede è stato introdotto, accanto all’insegnamento di Religione Cattolica, l’insegnamento di Etica, cultura e società.
L’insegnamento di Religione Cattolica nella scuola d’infanzia ha proprie peculiarità nei contenuti, nel metodo e nell’organizzazione. Il bambino è al centro; la comunità scolastica è a servizio del suo sbocciare a tutto l’umano, del suo aprirsi alla relazione, dell’accoglienza della realtà che lo circonda.
Ogni essere umano è “persona”, che porta non solo bisogni primari, ma anche esigenze spirituali che vanno oltre il quotidiano e al di là della semplice apparenza delle cose; esigenze che rispondono alla domanda di senso. A dirla in breve: è una creatura finita aperta all’infinito. L’uomo è un essere relazionale e non può vivere senza gli altri (è stato il grande filosofo Lévinas a dire: «È l’altro che mi fa esistere»), cresce con un programma ben preciso: è programmato per l’amore. È grazie alla dimensione spirituale che è in grado di aprirsi all’altro, all’amore, a qualcosa di più grande di lui. È tutto ciò che costituisce la religiosità comune a tutti gli uomini e precede la religione stessa.
La grande pedagogista infantile, Maria Montessori, ha dimostrato che nel bambino è presente la dimensione religiosa e del sacro. Sofia Cavalletti parla di “potenziale religioso del bambino”; educare a sviluppare questa dimensione è educare all’amore, alla pace, alla realizzazione di sé e ad essere veramente “persona”. In questo senso l’educazione religiosa è fondamentale.
Ritengo necessario, utile e vantaggioso tenere il dibattito lontano da ogni preoccupazione ideologica. Occorre essere decisamente dalla parte dei bambini e delle bambine. Unica preoccupazione per tutti: aprire orizzonti, essere disponibili ai grandi interrogativi, pronti alla relazione.

+ Andrea Turazzi
Vescovo di San Marino-Montefeltro