San Leo (RN), Cattedrale, 24 dicembre 2022
Is 9,1-6
Sal 95
Tt 2,11-14
Lc 2,1-14
1.
«Mentre si trovavano in quel luogo si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia perché per loro non c’era posto nell’alloggio». Appena due righe. Il Signore sa cosa c’è nel cuore di ciascuno di noi. Lui saprà dirci la parola giusta e noi ci prepariamo ad accoglierla. A me tocca il compito di proclamare, in questa notte, che il Natale è di tutti. Come il sole che illumina il mio giardino, così la Natività illumina il giardino interiore di ogni persona. Tutti possono trovare nel Bambino di Betlemme, che Maria ha adagiato nella mangiatoia, la speranza. Il Natale è di tutti, perché “fatto” di cose concrete, prossime alla quotidianità: un alloggio di fortuna, forse una capanna, una grotta o una stalla, l’acqua per lavare il neonato, le fasce e la paglia… C’è la mamma e c’è Giuseppe. Poi arrivano i pastori. Il Natale è di tutti.
2.
Il Natale è per tutti, non è un messaggio destinato ad una élite di persone, di intellettuali, uomini di raffinata spiritualità, ma a tutte le persone senza distinzione, soprattutto alle persone provate dalla sofferenza e dalla povertà. La notte di Natale è la notte del censimento, dove ognuno va a ricongiungersi con le sue radici. I bambini, grandi protagonisti nei nostri borghi di montagna, ci prendono per mano. Noi crediamo di tenere loro per mano, ma in realtà sono loro che ci fanno strada, ci fanno uscire dai nostri incubi, ci mettono davanti alle grandi domande, come sanno fare con la loro ingenuità, ci mettono davanti al Mistero e ci riportano alla nostra infanzia, beninteso non all’infantilismo, ma a ciò che costituisce la capacità di essere umili, di abbracciare la novità e di sapersi affidare.
3.
Il Natale è con tutti, è un invito alla condivisione, a farsi l’uno per l’altro dono; contiene un invito al perdono, tutti fratelli. Oggi più che mai stiamo prendendo consapevolezza dell’interdipendenza nella società. Non ci si salva da soli. Il Natale ci chiede di essere portatori di gioia, la gioia di cui parla l’angelo: «Vi annuncio una grande gioia che sarà di tutto il popolo». Ho sottolineato il dimostrativo “tutti”. Per tutti siamo portatori di gioia, e la gioia più profonda del nostro cammino di cristiani è la certezza che siamo amati, amati immensamente. Da questo amore sono nati la creazione nel suo splendore, la redenzione, il perdono; da questo amore nasce il Bambino Gesù. In fondo, l’unico compito della vita, a ben pensarci, è amare, quindi generare ogni persona alla gioia. Ognuno sa cosa vuol dire questa parola così grande e consumata a causa dell’abitudine, ognuno sa dare il contenuto operativo. “Amare con i muscoli”, cioè non “pensare” di amare, ma amare concretamente.
L’atmosfera della festa, le luci, la poesia possono – ahimè – trasformare il Natale in una fiaba, quasi dimenticando il vero motivo per cui si festeggia il 25 dicembre. Anche le mie parole – ne sono consapevole – sono a rischio di retorica. Me ne accorgo, vorrei evitarlo. Che fare? Il Natale è quello narrato dai Vangeli! Riascoltiamo: una natività avvenuta più di duemila anni fa, in un piccolo villaggio della Palestina, precisamente in un campo di pastori, da due giovani sposi che, essendo in viaggio, non dispongono neppure di una casa, di una tettoia per accogliere il loro bambino. Quanta povertà! Ma quanto amore. Bisogna allora riprendere i racconti degli evangelisti e provare a rileggerli. Facciamolo in questi giorni. In questa notte abbiamo sentito leggere il racconto secondo Luca. Anche Matteo ha riscritto la Natività, in un’altra forma. È bello mettere a confronto il racconto dei due evangelisti: i due racconti si completano. Sono diversi, ma complementari. Ad esempio, Luca sceglie di mettere in luce, fra i tanti contenuti, la povertà di Gesù, «deposto in una mangiatoia perché non c’era posto nell’alloggio», onorato soltanto da alcuni pastori che vegliano di notte, facendo la guardia al loro gregge. L’evangelista Matteo, invece, sembra preferire gli aspetti drammatici. Quel bambino fa paura ad Erode, che vorrebbe ucciderlo e cerca con un trucco di convincere i magi, questi misteriosi personaggi venuti da oriente seguendo una stella, ad indicargli il luogo dove si trova il neonato. Così, per mettere in salvo il figlio, Maria e Giuseppe devono fuggire profughi in Egitto, in terra straniera. Ecco Gesù, poverissimo eppure temuto, adorato dai ricchi sapienti che gli portano doni preziosi, come l’oro, l’incenso e gli aromi pregiati, e tuttavia mancante di una semplice culla. Chi è davvero questo bambino? Povertà e grandezza, poesia degli uni e cattiveria di un potente: sono le stesse condizioni che poi questo Gesù, divenuto adulto, conoscerà durante tutta la sua vita. Luca e Matteo hanno incontrato Gesù risorto e l’hanno riconosciuto come Messia, il Signore atteso dalle genti e annunciato dai profeti. Chi lo accoglie, come hanno fatto loro, sperimenta una luce e una forza sorprendenti. Quando leggiamo pagine di profezia trionfalistiche, grandiose, ricordiamoci che la chiave ermeneutica è Gesù Crocifisso: è proprio lui il Signore! Non dimentichiamolo. Impariamo a riconoscerlo nella fede. Anche per noi il segno della grande gioia, del Salvatore annunciato dall’angelo è «un bambino avvolto in fasce che giace in una mangiatoia». Buon Natale!