Omelia nell’ordinazione presbiterale di don Larry Johan Jaramillo Londono

Pennabilli (RN), Cattedrale, 1° ottobre 2022

Ab 1,2-3; 2,2-4
Sal 94
2Tm 1,6-8.13-14
Lc 17,5-10

1.
Ecco, oggi un giovane è eletto al ministero presbiterale, in un tempo di grande prova. La liturgia ci ha fatto ascoltare il grido del profeta Abacuc, un grido che viene da lontano, non ancora spento; viene da cuori che soffrono e gridano: «“Violenza!” e non salvi, Signore?».
Abacuc è testimone degli eccessi commessi dagli invasori che hanno devastato Gerusalemme e massacrato popolazioni (siamo intorno al 600 a.C.). Le immagini delle guerre di oggi ci fanno ben comprendere l’imprecazione e il pianto del profeta. Allo stesso modo profeti e Salmi hanno alzato grida di dolore e richieste d’aiuto. Anche Gesù ha gridato al Padre il suo abbandono durante la Passione. L’eco di queste implorazioni ci insegna come anche noi possiamo riversare davanti a Dio l’onda delle nostre angosce, delle nostre paure e persino delle nostre proteste: «Fino a quando, Signore, implorerò aiuto e non ascolti?».
Ma Dio risponde con caratteri indelebili scolpiti sulla pietra. Egli invita ad una fiduciosa e paziente attesa. Manda suoi messaggeri a rincuorare, a fasciare piaghe, ad asciugare lacrime, ad essere accanto ai fratelli nella prova. Questi sono vivi e resistono per la loro fede!
Caro Larry, il Signore ti manda per un ministero di consolazione. Ispirati al “buon samaritano”. Sii uomo di fede.

2.
«Ravviva il dono di Dio che è in te mediante l’imposizione delle mie mani», sono le parole di Paolo a Timoteo. Tra i riti dell’Ordine sacro il gesto principale è l’imposizione delle mani, accompagnato da una preghiera che ne indica la portata.
Questo gesto sul capo di Larry sarà compiuto dal vescovo e da tutti i presbiteri presenti, i suoi nuovi fratelli. La preghiera consacratoria è costituita da una solenne invocazione allo Spirito Santo – una epiclesi – proprio come nella preghiera eucaristica sul pane e sul vino che diventano Corpo e Sangue di Gesù per la vita del mondo. Allo stesso modo sul nulla di Larry si china la potenza dell’Altissimo e Larry sarà trasfigurato. Ma non verrà allontanato dai suoi fratelli, al contrario, è per loro questa sua santificazione. Ricordate le parole di Gesù: «Io per loro santifico me stesso» (Gv 17,19).
Il neoconsacrato non viene innalzato, ma è il Signore che si abbassa su di lui. La sacralità di cui viene rivestito sta tutta nell’essere dono che genera vita. Gesù gli domanda di renderlo visibile per essere sua parola viva per chi è smarrito, suo cuore perché possa manifestare a tutti il suo amore, per essere i suoi piedi per camminare tra i fratelli e le sorelle a cui dare speranza.
Quando Larry tornerà dalla cattedrale, dallo splendore di questa santa assemblea, ne percepiremo il “cambiamento”. Accadde anche agli ebrei quando videro Mosè scendere dal Sinai, ma non dobbiamo vivere questa percezione come disagio.
Se il Signore trasforma non è per staccare, ma per unire. Se il Signore prende e avvolge una persona è per renderla più vicina, più amica, più… Lui!
Se il Signore chiama qualcuno – è il mistero dell’elezione divina – è per risvegliare in tutti la dimensione vocazionale.
Torno alla Seconda Lettura. Timoteo rappresenta i pastori succeduti agli apostoli. Questa successiva generazione di responsabili di comunità non ha conosciuto Gesù prima della risurrezione. Di conseguenza la loro fede si fonda sulla testimonianza degli apostoli, che è “l’insegnamento solido”, il “deposito del Vangelo”.
Caro Larry, è su questa tradizione di fede che dovrai formulare il tuo insegnamento. Per far ciò non sei scoperto e disarmato, perché lo Spirito Santo abita in te! In ogni incontro – anche casuale – lascia un seme di Vangelo. Non esitare per l’aridità del terreno. Non vergognarti di dare testimonianza al Signore. «Custodisci il bene prezioso che ti è stato affidato».

3.
«Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso sradicati e vai a piantarti nel mare».
Le Scritture ci parlano di legni sul mare che hanno reso un servizio veramente utile grazie alla fede. Lo furono, ad esempio, l’arca di Noè, la barca di Gesù e dei discepoli e, soprattutto, lo fu il legno della croce, sì piantato in terra, ma innalzato su un oceano di odio e di peccato. La fede di Gesù nel Padre ha capovolto la situazione. La fede è la forza che Gesù assicura ai discepoli sbigottiti davanti alla missione e agli ideali che propone loro. Loro ne chiedono “di più”: «Aumenta la nostra fede», ma la fede non si acquista “a pacchi”! È questione di qualità piuttosto che di quantità. Ne basta quanto un granello di senape: un seme piccolissimo che rende capaci di cose grandi. Prova decisiva della fede sono le opere del servizio. Attenzione: per Gesù il servizio non è un titolo di credito davanti a Dio. Il vero discepolo non cerca vantaggi per sé, non ha secondi fini. Le opere che nascono dalla fede sono soltanto amore, amore gratuito. Servire, voce del verbo amare.
Nella conclusione della parabola ci stupisce l’espressione usata da Gesù: «Siamo servi inutili, servi qualunque». In verità, Gesù sa che ciascuno di noi è unico agli occhi di Dio. «Inutili» perché non indispensabili. Dio potrebbe fare a meno degli uomini. Ma non lo fa! Dio ci chiama come suoi collaboratori e messaggeri. Per di più non ci chiama come servi, ma come amici (cfr. Gv 15,15). Fa esattamente al contrario del padrone della parabola perché lui stesso in persona ci fa sedere alla sua mensa, quella dell’Eucaristia, e passa a servirci!
Secondo alcuni autori la traduzione italiana del testo evangelico non rende bene l’idea di Gesù e non fa un buon servizio alla comprensione del testo. Nessuno è inutile per il Signore che ha detto per mezzo del profeta: «Tu sei prezioso ai miei occhi, perché sei degno ti stima e io ti amo» (Is 43,4).

Caro Larry, ripeto anche a te: «Quando cominci pensi al “per sempre”». Ho scritto queste parole aprendo le Sacre Scritture alla prima pagina: «Bereshît bara’ Elohîm (All’inzio Dio creò)» (Gn 1,1). Ogni opera di Dio è eterna, fedele, salvifica. La Parola di Dio ci fa conoscere infiniti eventi di creazione, di liberazione, di salvezza. Lo fa per educarci a comprendere come Dio è sempre all’opera nella nostra vita e come ogni inizio è sotto la sua volontà di benedizione. Il “per sempre” è perché lui ha iniziato in te. Ogni chiamata, ogni giorno, ogni ora, partecipa di quell’inizio: «Tu sei fedele, perché lui è fedele!».
La piccola Teresa di Lisieux, di cui oggi facciamo memoria, ti accompagni e ti sia guida nella “piccola via” della confidenza e dell’amore.
Ricordati di tutti noi, in particolare della tua famiglia, e anche di me, all’Altare del Signore.

Omelia nella S. Messa di Insediamento degli Ecc.mi Capitani Reggenti

San Marino Città (RSM), Basilica del Santo Marino, 1° ottobre 2022

Sap 9,1-6.9-11
Sal 126
Mt 7,24-27

Eccellenze,
Signori Ambasciatori, Autorità, e amici che siete presenti a questa celebrazione, un saluto cordiale.
Nel Primo Libro dei Re si legge che il Signore Dio apparve in sogno durante la notte a Salomone, il grande re d’Israele. Gli disse: «Chiedimi ciò che io devo concederti». Salomone non chiese né una lunga vita, né la ricchezza e neppure la morte dei suoi nemici; desiderava e chiedeva la sapienza. Il Signore Dio gli disse: «Ecco, siccome non hai chiesto nessuna di queste cose, ma un cuore docile e che sa ascoltare, ti concedo sapienza e intelligenza» (cfr. 1Re 3,4-14).
“Sapienza” viene da “sapere”, nei due significati: il significato transitivo, “sapere” qualcosa e il significato intransitivo “sapere di” qualcosa, dunque un sapere che ha sapore.
La Prima Lettura che è stata proclamata si basa sulla preghiera di Salomone. L’autore sa che la sapienza è un dono di Dio, per questo diviene l’oggetto della sua supplica. Due sono i motivi per cui invocare con fiducia questo dono: da un lato il Creatore vuole che l’uomo governi il mondo con intraprendenza e con giustizia (sapienza in riferimento alle decisioni) e dall’altra l’uomo non sembra essere in grado, per la sua debolezza, di realizzare un compito così difficile senza l’aiuto della sapienza (qui la sapienza è avvedutezza).
Il Dio della Bibbia vuole l’uomo come suo impresario e collaboratore; ne ha stima, «l’ha fatto poco meno di un dio» (cfr. Sal 8,6), può contare su di lui, gli affida la creazione e la sua famiglia. Questa la responsabilità dell’uomo: da una parte rispondere a chi lo chiama, dall’altra rispondere di quanto gli è stato affidato. Solo con la sapienza è possibile compiere questa missione.
La sapienza è la risorsa più necessaria, più utile e più desiderabile. Ecco alcune caratteristiche della sapienza secondo il testo sacro.
La sapienza siede accanto al trono di Dio: è famigliarità con Dio. Conosce le opere di Dio: sa vedere il suo disegno d’amore e discernere ciò che gli è conforme. Il testo sacro dice che la sapienza era presente e ordinava la sinfonia della creazione: la sapienza dà gusto e sapore, come il sale, a ciò che l’uomo è chiamato a fare. Ahimè, la sapienza è un valore poco apprezzato nel mondo: siamo frettolosi, sbadati e continuamente scavalcati dagli avvenimenti, pertanto in affanno; siamo condizionati da ciò che è più appariscente, che ci conviene e ci gratifica, insomma siamo tentati dall’egoismo.
Non resta che, come Salomone, invocare la sapienza: «Dammi la sapienza, che siede in trono accanto a te. Le parole con cui il testo sacro descrive la sapienza nel Nuovo Testamento sono riprese e rilette come rivelazione di colui che è il Verbo, il Figlio di Dio, Gesù Cristo: Lui è la Sapienza. Allora ascoltiamolo.
Nella pagina evangelica abbiamo ascoltato come Gesù tracci il profilo di due architetti. Ambedue sono abili costruttori. Hanno a disposizione in egual misura progetti e materiali. A nessuno dei due vengono risparmiate verifiche esigenti: nubifragi, alluvioni, tempeste… Non è così anche nella vita? Non è così anche nella società?
La differenza tra i due sta nell’accortezza e nella sapienza del porre fondamenta. Il primo architetto è sapiente perché costruisce sulla roccia dei valori trascendenti della carità e della verità. Il secondo architetto è stolto: costruisce castelli di sabbia, cioè costruisce sull’immanenza senza spiritualità.
La solidità del cantiere si vede nei tempi duri, ad esempio questi. Allora una società costruita e governata sapientemente reggerà l’urto degli eventi. Per quanto riguarda i “castelli di sabbia” è sufficiente una mareggiata per distruggere tutto!
Ben a ragione abbiamo proclamato nel Salmo: «Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori» (Sal 126,1).
«Nel nostro servizio non contano i risultati – diceva madre Teresa di Calcutta – ma quanto amore metti in ciò che fai». Chi non costruisce le relazioni sull’amore non avrà, per questo, una vita più facile o una società senza problemi: «Strariperanno fiumi, soffieranno venti» per gli uni e per gli altri. Il saggio non avrà una vita semplificata, ma un’esistenza nella consistenza, con più gioia, con radici salde che combaciano con la roccia.
«O Signore, dammi la sapienza che siede in trono accanto a te»!