Rimini (RN), Sala Manzoni, 16 dicembre 2021
Provo molta gioia nel trovarmi insieme a voi. Sono qui soprattutto per esprimere la mia gratitudine al professor Natalino Valentini. Colgo l’occasione per esprimere la considerazione e la stima che ho per l’Istituto Superiore di Scienze Religiose “A. Marvelli”. Porto questa gratitudine e questa considerazione a nome della Diocesi di San Marino-Montefeltro che è parte integrante dell’Istituto stesso.
Vorrei esservi di aiuto per vivere questo momento di raccoglimento in preparazione al Natale, in atteggiamento sinodale.
Sento il desiderio di camminare con i poveri; penso alle persone in difficoltà economica, ma anche alle povertà delle persone che soffrono, che sono alla ricerca di Dio e della verità: mi sento uno di loro. Mi piace pensare che Gesù, ad un certo punto, avrebbe potuto andare verso il deserto di Qumran, dove c’erano i puri e i duri che aspettavano la venuta del Messia, gli Esseni, e invece è sceso al fiume Giordano facendo la fila con peccatori, piccoli, cercatori di Dio: c’erano pubblicani, esattori delle imposte, gente comune, soldati…
La meditazione di questa sera è sulla Parola di Dio. Partirò dal racconto della Natività secondo Luca (cfr. Lc 2,1-14), poi farò una breve incursione nel Prologo di Giovanni (cfr. Gv 1,1-18), infine citerò un breve testo dal Libro delle Consolazioni di Isaia (cfr. Is 40-55).
1.
Attorno all’albero di Natale – consentitemi la metafora – sono spuntati tanti altri cespugli. Succede come di fronte ad una pianta del giardino: ci si ferma a gustare il profumo di un fiore, o a stupirsi dei colori del foliage (in autunno), o a raccogliere un frutto… Dettagli. E si ignora completamente la profondità delle radici, la robustezza del tronco, l’abbraccio della chioma.
A Natale succede ogni anno qualcosa del genere, ma si deve pur dire la verità sul Natale, tutta la verità; e dirla con schiettezza. Allora siamo dolcemente invitati a riaprire i conti col mistero di Dio e col mistero dell’uomo: Dio e uomo sono profondamente in sintonia. “Dolcemente” – dico – perché tutto è accaduto e accade con lo stile del Dio della Bibbia: «Il suo accadere non ha apparenza né bellezza da attirare sguardi» (cfr. Is 53,2); «mentre un profondo silenzio avvolge ogni cosa» (cfr. Sap 18,14); con «l’umiltà della sua ancella» (cfr. Lc 1,48).
Di solito – giustamente – si dà molto spazio alle scienze dell’uomo, all’economia, ai destini del pianeta… Ci sta. Tuttavia, abbiamo vissuto momenti, soprattutto nel corso di questa pandemia, nei quali siamo stati messi con le spalle al muro, costretti nuovamente ad una riflessione sulla dimensione più profonda di noi stessi, il nostro mistero, su Dio, sull’anima. Filosofi, monaci e poeti non hanno mai smesso di scrutare queste profondità. Ma l’uomo pragmatico spesso se ne disinteressa, preso com’è dall’organizzazione sociale, dalle dinamiche della finanza, dalle scadenze della sua agenda, ecc. Anche il Natale dei buoni sentimenti, delle tradizioni popolari, delle riunioni familiari, delle dispute su come salvarlo non deve farci perdere la sua dimensione di mistero.
2.
Siamo di fronte al mistero di Dio e ci rendiamo conto che è un mistero mai pienamente posseduto. Mi chiedo: «Dio che non si rivela pienamente ci toglie forse qualcosa con questo suo silenzio?». Direi di no. Anche il senso del mistero è una forma di conoscenza, comunque apre un vasto campo di ricerca. Blaise Pascal ci ha lasciato pagine struggenti sull’argomento: «Quando considero la breve durata della mia vita, sommersa nell’eternità che la precede e la segue, il piccolo spazio che occupo e financo che vedo, inabissato nell’infinita immensità degli spazi che ignoro e che m’ignorano, io mi spavento e stupisco di trovarmi qui piuttosto che là, non essendoci nessuna ragione perché sia qui piuttosto che là, oggi piuttosto che domani. Chi mi ci ha messo? Per ordine e per opera di chi questo luogo e questo tempo furon destinati a me?» (Pensieri, 220).
Siamo immersi in un mistero e il mistero è essenziale per la dignità umana. Dire che siamo avvolti in un mistero non è affermare un handicap, ma è riconoscere che siamo aperti sull’infinito. Quando ci meravigliamo ancora, quando siamo capaci di stupirci, allora siamo veramente uomini.
Ma il fatto più eclatante è che questo mistero si rivolge a noi. Il mistero parla. Il mistero ci interpella. Il mistero ha un “io”. «E quando si scruta l’abisso – scriveva Nietzsche – anche l’abisso ci scruta» (questa frase è contenuta in Al di là del bene e del male, un saggio filosofico in cui Nietzsche anticipa i temi del suo pensiero, IV parte, 1886).
3.
Il mistero si è rivelato nel modo più inatteso e coerente con se stesso: «“Vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo…”. I pastori dicevano l’un l’altro: “Andiamo dunque fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento”. Andarono senza indugio, e trovarono Maria, Giuseppe e il bambino adagiato nella mangiatoia»: questo il segno! Il Natale è il mistero che prende un volto, è Dio che si fa cucciolo di uomo.
Il Natale è l’invadenza del Cielo. Impossibile sottrarsi! Bisogna, in qualche modo, misurarsi con questo mistero.
4.
Continuo la riflessione sul Vangelo di Luca. C’è un racconto che sottostà a tutti i racconti della nostra vita e che tutte le vicende presuppone: è il racconto della nostra nascita, un racconto che ci viene dato da coloro che ci hanno accolti, chiamati per nome e coperti di baci. Di tale racconto abbiamo bisogno per conoscere la nostra identità, tant’è vero che, chi non l’ha avuto, ne soffre; chi non sa nulla dei propri genitori li cerca instancabilmente, avvertendo la necessità di sentirsi persona, fin dall’inizio, chiamata per nome.
Questo racconto fondante, su cui si costruiranno gli altri eventi dell’esistenza, ci è trasmesso implicitamente perlopiù nella festa di compleanno: festa che ci richiama, appunto, all’origine, a chi ci ha generato fisicamente, riconoscendoci come persone, e accogliendoci con affetto.
Anche di Gesù abbiamo il racconto della nascita in un giorno preciso della storia. Pur non potendo determinarlo con esattezza cronologica, sappiamo che duemila anni fa è stato generato, accolto, amato, ha ricevuto il nome da Maria e da Giuseppe.
Nel Natale noi celebriamo, anzitutto, l’origine storica della vicenda di Gesù Cristo: tutto ciò che sarebbe avvenuto di Gesù negli anni successivi ha avuto inizio a Betlemme nella cornice insolita del presepio, cioè di una mangiatoia per gli animali. Ha avuto inizio in un modo sostanzialmente uguale a quello con cui comincia, o dovrebbe cominciare, ogni esistenza umana: una piccola e fragile creatura, accolta con gioia e chiamata con amore per nome.
5.
Tuttavia, il brano evangelico di Giovanni – il Prologo – parla di un’altra origine che si riferisce allo stesso Bambino («E il Verbo si è fatto carne»), che riporta assolutamente “al principio”. “Al principio” colui che prenderà carne e sarà Gesù, già era da sempre presso Dio ed era Dio. Giovanni offre il racconto delle origini che spiega ogni cosa e dà “la ragione” ultima di tutto ciò che esiste: «In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio, il Verbo era Dio. […] Tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste». La gioia per un bimbo che nasce a Betlemme richiama in Giovanni la gioia e lo stupore per ciò che nasce e che è nato all’origine del mondo, per tutto quanto è sulla terra e nei cieli.
Questa pagina suscita gratitudine perché ogni essere, ciascuno di noi, è dono, trae vita dall’Eterno. «In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini. […] E la luce splende nelle tenebre».
Potremmo dire che, se il Natale di Betlemme fa vivere il compleanno di Gesù, il Prologo di Giovanni presenta il compleanno del mondo, la sua natura di mondo “sensato”, perché quello di cui stiamo parlando, il Bambino di Betlemme, è il Logos, il Verbo di Dio (Logos significa “senso”).
Dunque, il Prologo di Giovanni pone in relazione l’origine di tutte le cose con la venuta di Gesù nel mondo, così da permetterci di intuire come il nostro povero tempo caduco sia salvato mediante la nascita del Figlio di Dio. Il nostro tempo può essere salvato partendo da lui. Un testo di sant’Ireneo dice più o meno così: «Cosa fa il Verbo? Viene nel mondo per prendere ciò che è suo (tutto è stato fatto per mezzo di lui!)» (cfr. Sant’Ireneo, Lettera da Cochabamba, prefazione al libro V). Il Verbo, Gesù Cristo, si riappropria di ciò che gli appartiene e lo redime.
6.
Il messaggio del Natale è pieno di speranza per il nostro piccolo cuore di persone provate, stanche, impaurite e talvolta deluse dalla vita. Il messaggio del Natale dice che, se partiamo da lui, dal Verbo incarnato, Gesù Figlio di Dio, le vicende umane non sono più né piccole né inutili, i nostri affanni non sono un sospiro vano, dal momento che Gesù se ne è fatto carico nascendo a Betlemme. Colui che è da sempre e nelle cui mani è stato posto il nostro destino, colui che per bocca dei nostri genitori ci ha chiamato con amore per nome, fin da quando siamo nati, ha voluto legarci alla sua storia, perché non ci sentissimo più soli a lottare in questa oscurità, ma avessimo la certezza che la luce vince le tenebre e che sempre da lui possiamo ripartire.
Non possiamo accontentarci delle luci che illuminano le strade… In ciascuno di noi vi è una nostalgia inappagata che ci sospinge verso una luce più splendente, l’unica in grado di squarciare il buio che c’è in noi. Ogni domenica, nel Credo, preghiamo così: «Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo».
7.
L’ultimo testo che propongo è tratto dal Libro delle Consolazioni del profeta Isaia. C’è qualcosa che aumenta la gioia del Natale: il continuare a venire di Dio nel mondo. Dio non è reso attuale solo nella celebrazione del Natale, Gesù si fa presente ad ogni istante della nostra concreta realtà quotidiana, con lo stile di cui dicevo all’inizio, quello del Dio della Bibbia. La sua venuta nella storia si verifica ancora adesso: il Signore viene e sta sempre di nuovo per venire in chi lo attende e lo accoglie. Perciò il Natale, oltre ad essere un compleanno storico, oltre a richiamare un evento cosmico, è insieme incomparabilmente intimo e personale.
Mentre leggevo questo testo di Isaia era appena capitata la sciagura di Ravanusa, in Sicilia e avevo davanti agli occhi quella montagna di macerie.
Alla luce del Vangelo di Giovanni ricomprendiamo meglio l’invito alla gioia: «Prorompete insieme in canti di gioia, rovine di Gerusalemme, perché il Signore ha consolato il suo popolo, ha riscattato Gerusalemme» (Is 52,9). Come mai il profeta pensa che le rovine possano prorompere di gioia, quelle rovine che vediamo in noi e attorno a noi, le rovine che umiliano, le rovine del senso della vita che molte persone hanno perduto e non ritrovano, le rovine interiori dell’angoscia, della paura, della diffidenza, della tristezza, di questa pandemia che non finisce mai? Il profeta sa con certezza che il Signore viene, viene a prendere ciò che è suo per farlo nuovo! La luce del Natale ricostruisce le nostre rovine! Gloria al Padre, al Figlio, allo Spirito Santo.