Ad ogni voltar di pagina una sorpresa!

È stato pubblicato il catalogo delle opere esposte alla mostra itinerante dedicata ai “Volti di San Giuseppe nella Diocesi di San Marino-Montefeltro”.
Il volume illustrato – una cinquantina di pagine – riporta, con le immagini, i testi curati da suor Maria Gloria Riva. È introdotto da una presentazione di S.E. Mons. Andrea Turazzi. Molto curato e piacevole l’impianto grafico: ad ogni voltar di pagina, una sorpresa!
La mostra – ancora disponibile su roll-up facilmente trasportabile – si propone di valorizzare il patrimonio artistico della Diocesi proprio in ciò che riguarda il padre putativo di Gesù e traccia così un itinerario alla scoperta del volto di san Giuseppe: nella sua vita, così come l’arte ce lo rappresenta; nella devozione popolare; nell’iconografia delle Sacre Conversazioni.

Ufficio Diocesano Comunicazioni Sociali
Diocesi di San Marino-Montefeltro

Solenne chiusura dell’Anno giubilare dedicato al beato Domenico Spadafora

Martedì 21 dicembre si chiude l’Anno giubilare dedicato al beato Domenico Spadafora: giorno che ricorda la sua nascita al Cielo 500 anni fa.
La solenne liturgia sarà presieduta dal vescovo Andrea Turazzi nel Santuario di Santa Maria in Reclauso (Monte Cerignone PU) e animata dalla pregiata corale di Monte Cerignone.
Il beato Domenico è figura importante per il Montefeltro, dove è particolarmente amato e venerato non solo dalle persone del piccolo centro, ma anche dalle province circostanti. Stupisce il fervore ancora ininterrotto dopo cinque secoli.
Il beato Domenico è nato nel 1450. Si è formato nell’Ordine domenicano conseguendo il titolo di maestro di teologia. È arrivato a Monte Cerignone (PU) nel 1491 per fondare un convento e una chiesa dedicata alla Madonna delle Grazie, in località Fontebuona. Per 30 anni si è dedicato all’evangelizzazione e alla cura dei poveri. Uomo di grande austerità e preghiera.
Il Santuario della chiesa di Santa Maria in Reclauso, dove è custodito il suo corpo incorrotto, è costante meta di pellegrinaggi. Il beato Domenico è una figura di straordinaria attualità per il suo modo di interpretare la missione come vicinanza al popolo e alle sue vicende.
L’Anno centenario ha goduto del privilegio giubilare dell’Indulgenza concessa dalla Santa Sede. La pandemia ha costretto alla limitazione delle tante iniziative previste.
Un plauso particolare va alla parrocchia di Monte Cerignone che custodisce la memoria del Beato. Un riconoscimento grato va a don Jhon Blandon che in questi anni ha curato, oltre all’assetto materiale del Santuario, la pastorale e l’animazione spirituale. Accanto al Santuario ha attrezzato un ampio spazio per l’accoglienza dei pellegrini e dei gruppi. Ha voluto la riedizione in lingua corrente della più antica biografia del Beato, scritta da Gian Battista Contarini nel 1744. Auguri di buon lavoro pastorale al nuovo rettore, don Stefan Mirt, di recente nomina.
La chiusura del Centenario non pone fine alla devozione, tutt’altro. Ci si augura sia approfondito il profilo storico del Beato e del suo tempo, come la “ricerca della sua anima”.

Ufficio Comunicazioni Sociali
Diocesi di San Marino-Montefeltro

Omelia nella IV domenica di Avvento

Pennabilli (RN), Cappella del Vescovado, 19 dicembre 2021

Mi 5,1-4
Sal 79
Eb 10,5-10
Lc 1,39-45

Il racconto evangelico della Visitazione è brevissimo, ma denso di significati. Li suddivido in quattro “grappoli” di pensieri e osservazioni.
Il primo “grappolo” è dedicato alla struttura letteraria del brano e, più in generale, di tutto il Vangelo dell’infanzia secondo Luca. L’evangelista adopera il metodo del confronto, un metodo in voga al suo tempo (cfr. le opere classiche intitolate “Vite parallele”). Qui siamo davanti a “vite parallele”: anzitutto ci sono due vocazioni, la vocazione di Zaccaria, il cui racconto è precedente alla pericope odierna, e la vocazione di Maria. La prima, quella di Zaccaria, accade nel tempio. Zaccaria, da quell’esperienza esce muto, perché non crede alle parole dell’angelo. Maria, invece, riceve l’annunciazione in una casa, la casa di Nazaret, e ne esce proclamata «piena di grazia» (Lc 1,30). Elisabetta riconoscerà in lei la beatitudine di chi crede alla Parola del Signore (cfr. Lc 1,45). Poi incontriamo il confronto fra le due mamme, ambedue senza maternità: Elisabetta perché ormai avanzata in età e la fanciulla di Nazaret perché è vergine, giovanissima. Tutt’e due si trovano miracolosamente incinte mediante una gravidanza “impossibile”. Infine, c’è il parallelo tra i due nascituri, i due bimbi, nel grembo rispettivamente di Elisabetta e di Maria. Questi confronti, queste vite parallele, sono state pensate da Luca per evidenziare l’identità di Gesù. L’incontro delle due mamme assomiglia tanto all’incontro di due zolle di terra che, scontrandosi, si innalzano e accade uno scoppio di gioia, di luce, di benedizione. L’una canta davanti all’altra e insieme magnificano il Signore.

Il secondo “grappolo” consiste nelle considerazioni che solitamente vengono fatte dalla devozione, con la gioia nel vedere il clima spirituale che vi è nella casa dove le due mamme si incontrano. Lì c’è la premura di Maria, che fa un lungo viaggio in un terreno montuoso, e c’è l’accoglienza festosa di Elisabetta. C’è tanta cortesia, ma soprattutto si praticano le virtù. C’è la reciprocità, perché l’una e l’altra insieme condividono quello che Dio sta facendo in loro: davvero il Signore è all’opera! Poi, quella casa è inondata di Spirito Santo, quasi un anticipo della Pentecoste.

Dobbiamo leggere questo brano di Vangelo ad altre profondità, è il terzo “grappolo” di considerazioni. Siamo di fronte ad una rivelazione altissima, e cioè ad un evento che sconfina, che va oltre il tempo, oltre lo spazio, un evento cosmico; eppure, paradossalmente accade puntuale, in un preciso luogo, in una realtà minuscola della terra. Il “miliardario di stelle” tra due umili creature. È la visita di Dio al suo popolo: una visitazione non per interposta persona – direbbe l’autore della Lettera agli Ebrei – ma proprio nel suo Verbo che si fa cucciolo d’uomo (cfr. Ebr 1,2). Tutto questo in un clima di gioia, di esultanza. Luca adopera un linguaggio mutuato dall’Antico Testamento. Ad esempio, di Maria si dice «benedetta tu fra tutte le donne»: espressione usata nell’Antico Testamento per due eroine di Israele, precisamente per Giaele (cfr. Gdc 5,24), la guerriera, e per Giuditta (cfr. Gdt 13,10), colei che verrà chiamata la tota pulchra, appellativo che la liturgia applica a Maria. L’esultanza di Giovanni nel grembo, che viene paragonata ad una danza, è un rimando abbastanza esplicito alla danza del giovane Davide quando trasporta l’Arca dell’Alleanza a Gerusalemme. «Davanti a Jahvè io danzo», dirà Davide a sua moglie che lo vede così entusiasta, così fuori dal protocollo. Giovanni Battista danza perché sente arrivare l’Arca della nuova Alleanza, Maria, che custodisce nel suo grembo il Verbo incarnato.

Un quarto “grappolo” di pensieri sono perlopiù suggestioni che propongo per vivere meglio il Tempo di Natale. La prima suggestione: che sia un Natale spirituale, un Natale attento alla presenza dello Spirito Santo che, come fu nella casa di Ain Karim (la casa di Zaccaria ed Elisabetta), come fu nella casa di Nazaret, come fu fra i pastori invitati ad andare alla grotta, allo stesso modo aleggia su di noi. Se crediamo alla sua presenza su di noi, è perché il Cielo si è aperto su di noi. L’amore del Padre per il Figlio, del Verbo per il Padre, si è calato su di noi, siamo tuffati dentro e coinvolti nella vita trinitaria, benché non ne siamo sempre consapevoli: il Natale di Gesù è il Natale nostro, perché anche noi nasciamo a questa vita straordinaria.
Seconda suggestione: che sappiamo fare nostra la spiritualità della visitazione. Il tema della visitazione attraversa tutta la Sacra Scrittura, ma quello che forse interessa più a noi è che raggiunge la nostra vita: ci sentiamo visitati dal Signore. Quando non lo sentiamo presente, avvertiamo una profonda nostalgia di lui; lo percepiamo come un grande mistero che ci inquieta, ci turba, come è successo all’Innominato nei Promessi sposi, quando nel dialogo con il cardinale Federigo Borromeo, esclama: «O Dio, se lo vedessi, se lo sentissi». E il Cardinale risponde: «Ma chi più di te! Questa inquietudine, questo mistero è lui, ha un volto, questo mistero è un “io” che si comunica a te» (cfr. A. Manzoni, I promessi sposi, cap. XXIII).
Terza suggestione: che facciamo nostra la spiritualità del viaggio. Guardando Maria pellegrina ci mettiamo in cammino con i più poveri. Discorso impegnativo: accostarci al dolore altrui costa fatica. Abbiamo già tante fragilità, dolori, sofferenze personali… Il Natale ci fa compagni di viaggio in questa recrudescenza della pandemia: «tutti sulla stessa barca», disposti ad andare oltre le contrapposizioni di questi giorni. Formiamo tutti una carovana alla ricerca di Dio: c’è chi fa fatica a credere, chi crede di credere e chi tiene accesa una luce. Buon Natale!

Meditazione teologica all’Istituto Superiore di Scienze Religiose “A. Marvelli”

Rimini (RN), Sala Manzoni, 16 dicembre 2021

Provo molta gioia nel trovarmi insieme a voi. Sono qui soprattutto per esprimere la mia gratitudine al professor Natalino Valentini. Colgo l’occasione per esprimere la considerazione e la stima che ho per l’Istituto Superiore di Scienze Religiose “A. Marvelli”. Porto questa gratitudine e questa considerazione a nome della Diocesi di San Marino-Montefeltro che è parte integrante dell’Istituto stesso.
Vorrei esservi di aiuto per vivere questo momento di raccoglimento in preparazione al Natale, in atteggiamento sinodale.
Sento il desiderio di camminare con i poveri; penso alle persone in difficoltà economica, ma anche alle povertà delle persone che soffrono, che sono alla ricerca di Dio e della verità: mi sento uno di loro. Mi piace pensare che Gesù, ad un certo punto, avrebbe potuto andare verso il deserto di Qumran, dove c’erano i puri e i duri che aspettavano la venuta del Messia, gli Esseni, e invece è sceso al fiume Giordano facendo la fila con peccatori, piccoli, cercatori di Dio: c’erano pubblicani, esattori delle imposte, gente comune, soldati…

La meditazione di questa sera è sulla Parola di Dio. Partirò dal racconto della Natività secondo Luca (cfr. Lc 2,1-14), poi farò una breve incursione nel Prologo di Giovanni (cfr. Gv 1,1-18), infine citerò un breve testo dal Libro delle Consolazioni di Isaia (cfr. Is 40-55).

1.

Attorno all’albero di Natale – consentitemi la metafora – sono spuntati tanti altri cespugli. Succede come di fronte ad una pianta del giardino: ci si ferma a gustare il profumo di un fiore, o a stupirsi dei colori del foliage (in autunno), o a raccogliere un frutto… Dettagli. E si ignora completamente la profondità delle radici, la robustezza del tronco, l’abbraccio della chioma.
A Natale succede ogni anno qualcosa del genere, ma si deve pur dire la verità sul Natale, tutta la verità; e dirla con schiettezza. Allora siamo dolcemente invitati a riaprire i conti col mistero di Dio e col mistero dell’uomo: Dio e uomo sono profondamente in sintonia. “Dolcemente” – dico – perché tutto è accaduto e accade con lo stile del Dio della Bibbia: «Il suo accadere non ha apparenza né bellezza da attirare sguardi» (cfr. Is 53,2); «mentre un profondo silenzio avvolge ogni cosa» (cfr. Sap 18,14); con «l’umiltà della sua ancella» (cfr. Lc 1,48).
Di solito – giustamente – si dà molto spazio alle scienze dell’uomo, all’economia, ai destini del pianeta… Ci sta. Tuttavia, abbiamo vissuto momenti, soprattutto nel corso di questa pandemia, nei quali siamo stati messi con le spalle al muro, costretti nuovamente ad una riflessione sulla dimensione più profonda di noi stessi, il nostro mistero, su Dio, sull’anima. Filosofi, monaci e poeti non hanno mai smesso di scrutare queste profondità. Ma l’uomo pragmatico spesso se ne disinteressa, preso com’è dall’organizzazione sociale, dalle dinamiche della finanza, dalle scadenze della sua agenda, ecc. Anche il Natale dei buoni sentimenti, delle tradizioni popolari, delle riunioni familiari, delle dispute su come salvarlo non deve farci perdere la sua dimensione di mistero.

2.

Siamo di fronte al mistero di Dio e ci rendiamo conto che è un mistero mai pienamente posseduto. Mi chiedo: «Dio che non si rivela pienamente ci toglie forse qualcosa con questo suo silenzio?». Direi di no. Anche il senso del mistero è una forma di conoscenza, comunque apre un vasto campo di ricerca. Blaise Pascal ci ha lasciato pagine struggenti sull’argomento: «Quando considero la breve durata della mia vita, sommersa nell’eternità che la precede e la segue, il piccolo spazio che occupo e financo che vedo, inabissato nell’infinita immensità degli spazi che ignoro e che m’ignorano, io mi spavento e stupisco di trovarmi qui piuttosto che là, non essendoci nessuna ragione perché sia qui piuttosto che là, oggi piuttosto che domani. Chi mi ci ha messo? Per ordine e per opera di chi questo luogo e questo tempo furon destinati a me?» (Pensieri, 220).
Siamo immersi in un mistero e il mistero è essenziale per la dignità umana. Dire che siamo avvolti in un mistero non è affermare un handicap, ma è riconoscere che siamo aperti sull’infinito. Quando ci meravigliamo ancora, quando siamo capaci di stupirci, allora siamo veramente uomini.
Ma il fatto più eclatante è che questo mistero si rivolge a noi. Il mistero parla. Il mistero ci interpella. Il mistero ha un “io”. «E quando si scruta l’abisso – scriveva Nietzsche – anche l’abisso ci scruta» (questa frase è contenuta in Al di là del bene e del male, un saggio filosofico in cui Nietzsche anticipa i temi del suo pensiero, IV parte, 1886).

3.

Il mistero si è rivelato nel modo più inatteso e coerente con se stesso: «“Vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo…”. I pastori dicevano l’un l’altro: “Andiamo dunque fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento”. Andarono senza indugio, e trovarono Maria, Giuseppe e il bambino adagiato nella mangiatoia»: questo il segno! Il Natale è il mistero che prende un volto, è Dio che si fa cucciolo di uomo.
Il Natale è l’invadenza del Cielo. Impossibile sottrarsi! Bisogna, in qualche modo, misurarsi con questo mistero.

4.

Continuo la riflessione sul Vangelo di Luca. C’è un racconto che sottostà a tutti i racconti della nostra vita e che tutte le vicende presuppone: è il racconto della nostra nascita, un racconto che ci viene dato da coloro che ci hanno accolti, chiamati per nome e coperti di baci. Di tale racconto abbiamo bisogno per conoscere la nostra identità, tant’è vero che, chi non l’ha avuto, ne soffre; chi non sa nulla dei propri genitori li cerca instancabilmente, avvertendo la necessità di sentirsi persona, fin dall’inizio, chiamata per nome.
Questo racconto fondante, su cui si costruiranno gli altri eventi dell’esistenza, ci è trasmesso implicitamente perlopiù nella festa di compleanno: festa che ci richiama, appunto, all’origine, a chi ci ha generato fisicamente, riconoscendoci come persone, e accogliendoci con affetto.
Anche di Gesù abbiamo il racconto della nascita in un giorno preciso della storia. Pur non potendo determinarlo con esattezza cronologica, sappiamo che duemila anni fa è stato generato, accolto, amato, ha ricevuto il nome da Maria e da Giuseppe.
Nel Natale noi celebriamo, anzitutto, l’origine storica della vicenda di Gesù Cristo: tutto ciò che sarebbe avvenuto di Gesù negli anni successivi ha avuto inizio a Betlemme nella cornice insolita del presepio, cioè di una mangiatoia per gli animali. Ha avuto inizio in un modo sostanzialmente uguale a quello con cui comincia, o dovrebbe cominciare, ogni esistenza umana: una piccola e fragile creatura, accolta con gioia e chiamata con amore per nome.

5.

Tuttavia, il brano evangelico di Giovanni – il Prologo – parla di un’altra origine che si riferisce allo stesso Bambino («E il Verbo si è fatto carne»), che riporta assolutamente “al principio”. “Al principio” colui che prenderà carne e sarà Gesù, già era da sempre presso Dio ed era Dio. Giovanni offre il racconto delle origini che spiega ogni cosa e dà “la ragione” ultima di tutto ciò che esiste: «In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio, il Verbo era Dio. […] Tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste». La gioia per un bimbo che nasce a Betlemme richiama in Giovanni la gioia e lo stupore per ciò che nasce e che è nato all’origine del mondo, per tutto quanto è sulla terra e nei cieli.
Questa pagina suscita gratitudine perché ogni essere, ciascuno di noi, è dono, trae vita dall’Eterno. «In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini. […] E la luce splende nelle tenebre».
Potremmo dire che, se il Natale di Betlemme fa vivere il compleanno di Gesù, il Prologo di Giovanni presenta il compleanno del mondo, la sua natura di mondo “sensato”, perché quello di cui stiamo parlando, il Bambino di Betlemme, è il Logos, il Verbo di Dio (Logos significa “senso”).
Dunque, il Prologo di Giovanni pone in relazione l’origine di tutte le cose con la venuta di Gesù nel mondo, così da permetterci di intuire come il nostro povero tempo caduco sia salvato mediante la nascita del Figlio di Dio. Il nostro tempo può essere salvato partendo da lui. Un testo di sant’Ireneo dice più o meno così: «Cosa fa il Verbo? Viene nel mondo per prendere ciò che è suo (tutto è stato fatto per mezzo di lui!)» (cfr. Sant’Ireneo, Lettera da Cochabamba, prefazione al libro V). Il Verbo, Gesù Cristo, si riappropria di ciò che gli appartiene e lo redime.

6.

Il messaggio del Natale è pieno di speranza per il nostro piccolo cuore di persone provate, stanche, impaurite e talvolta deluse dalla vita. Il messaggio del Natale dice che, se partiamo da lui, dal Verbo incarnato, Gesù Figlio di Dio, le vicende umane non sono più né piccole né inutili, i nostri affanni non sono un sospiro vano, dal momento che Gesù se ne è fatto carico nascendo a Betlemme. Colui che è da sempre e nelle cui mani è stato posto il nostro destino, colui che per bocca dei nostri genitori ci ha chiamato con amore per nome, fin da quando siamo nati, ha voluto legarci alla sua storia, perché non ci sentissimo più soli a lottare in questa oscurità, ma avessimo la certezza che la luce vince le tenebre e che sempre da lui possiamo ripartire.

Non possiamo accontentarci delle luci che illuminano le strade… In ciascuno di noi vi è una nostalgia inappagata che ci sospinge verso una luce più splendente, l’unica in grado di squarciare il buio che c’è in noi. Ogni domenica, nel Credo, preghiamo così: «Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo».

7.

L’ultimo testo che propongo è tratto dal Libro delle Consolazioni del profeta Isaia. C’è qualcosa che aumenta la gioia del Natale: il continuare a venire di Dio nel mondo. Dio non è reso attuale solo nella celebrazione del Natale, Gesù si fa presente ad ogni istante della nostra concreta realtà quotidiana, con lo stile di cui dicevo all’inizio, quello del Dio della Bibbia. La sua venuta nella storia si verifica ancora adesso: il Signore viene e sta sempre di nuovo per venire in chi lo attende e lo accoglie. Perciò il Natale, oltre ad essere un compleanno storico, oltre a richiamare un evento cosmico, è insieme incomparabilmente intimo e personale.
Mentre leggevo questo testo di Isaia era appena capitata la sciagura di Ravanusa, in Sicilia e avevo davanti agli occhi quella montagna di macerie.
Alla luce del Vangelo di Giovanni ricomprendiamo meglio l’invito alla gioia: «Prorompete insieme in canti di gioia, rovine di Gerusalemme, perché il Signore ha consolato il suo popolo, ha riscattato Gerusalemme» (Is 52,9). Come mai il profeta pensa che le rovine possano prorompere di gioia, quelle rovine che vediamo in noi e attorno a noi, le rovine che umiliano, le rovine del senso della vita che molte persone hanno perduto e non ritrovano, le rovine interiori dell’angoscia, della paura, della diffidenza, della tristezza, di questa pandemia che non finisce mai? Il profeta sa con certezza che il Signore viene, viene a prendere ciò che è suo per farlo nuovo! La luce del Natale ricostruisce le nostre rovine! Gloria al Padre, al Figlio, allo Spirito Santo.

Pellegrinaggio a Lourdes 2022

Omelia nella III domenica di Avvento

Pennabilli (RN), Cappella del Vescovado, 12 dicembre 2021

Sof 3,14-18
Is 12
Fil 4,4-7
Lc 3,10-18

«Attingerete acqua con gioia alle sorgenti della salvezza». Mettiamoci anche noi in coda con le persone che vanno al fiume Giordano dal Battista. Siamo, talvolta, molto presi dalle molte cose da fare, dai tanti impegni. Il fiume Giordano non ha finito di lambire, da allora ad oggi, le nostre grettezze, le nostre mediocrità, la nostra indifferenza. E Giovanni scuote. Giovanni, il profeta rude che prepara la via al Signore, annuncia: «Ecco, il Messia è alle porte!». Allora bisogna destarsi, lasciarsi coinvolgere. Gesù un giorno rimprovererà Marta, tutta presa dal suo daffare, dalle sue occupazioni e preoccupazioni. Gesù le dirà: «Marta, Marta, tu ti preoccupi di troppe cose. Fa’ come tua sorella Maria che ha saputo stare seduta ai miei piedi per ascoltare la Parola» (cfr. Lc 10,41). Gesù, ad un certo punto della sua predicazione, dirà: «A chi paragonerò mai questa generazione?». La paragona a quei ragazzi che suonano il flauto sulla piazza e i loro amici non danzano, intonano un lamento e nessuno reagisce… (cfr. Mt 11,16-17). Noi invece vogliamo lasciarci coinvolgere. Interessante vedere come l’evangelista Luca presenti le categorie di persone che vanno da Giovanni. C’è la folla, la gente comune, ci sono i doganieri – quelli che il Vangelo chiama i pubblicani – e ci sono anche i soldati. Tutte persone alle quali Gesù un giorno darà molto ascolto, molta attenzione. La folla veniva criticata perché volubile e ignorante; i doganieri, perché collaborazionisti dei Romani, riscuotevano le tasse e vi facevano anche la cresta: avevano una pessima fama; i soldati, perché a disposizione, come i mercenari, dei signori della guerra. E Giovanni Battista cosa chiede a quelli che vanno al fiume Giordano? Alla gente chiede di essere generosa, di condividere quello che ha, soprattutto con i più poveri. Ai doganieri chiede di essere onesti e rigorosi nella loro professione. Ai soldati domanda di non estorcere nulla a nessuno. In pratica, la conversione che Giovanni Battista propone non è quella di fare chissà quali stravaganze, di elaborare chissà quali propositi inattuabili. Non propone di salvarsi dalla storia, ma di salvarsi nella storia. Così sono valorizzati il nostro quotidiano, la nostra professionalità e il nostro impegno responsabile. I bambini, quando giocano, amano imitare i mestieri dei grandi e lo fanno con gioia. Noi adulti potremmo imitare evangelicamente i bambini facendo dei nostri lavori un gioco, ovvero un gioco d’amore e dedizione.
Con questi pensieri cominciamo a costruire il presepio – i personaggi che vanno alla capanna ci rappresentano – o l’albero di Natale – albero della luce – segni che portano nelle famiglie la presenza di Gesù: Gesù è venuto, verrà e viene nel momento presente della nostra vita.

Catalogo mostra su San Giuseppe

Incontro formatori dei giovani

Chiusura Anno Domenicano

Omelia nella Solennità dell’Immacolata Concezione

Pennabilli (RN), 8 dicembre 2021

Gen 3,9-15.20
Sal 97
Ef 1,3-6.11-12
Lc 1,26-38

Si dice: «De Maria nunquam satis (di Maria non si dice mai abbastanza)». È una frase di san Bernardo. Eppure, candidamente confesso che, nell’accingermi a preparare la meditazione di questo giorno dell’Immacolata, mi è venuto il timore della ripetizione. Poi, mi sono posto attentamente in ascolto della Parola di Dio, come si deve fare nei casi in cui l’anima è opaca e tiepida. Meditando la Parola di Dio ecco una sorpresa: la Parola di Dio oggi mette a confronto due donne, Eva e Maria; di Eva si parla nella Prima Lettura, di Maria nel Vangelo. Propongo anche a voi una lettura sinottica dei due testi. Una lettura rimanda all’altra e il cuore non resta estraneo a questo confronto. Eva dice di sé: «Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato». Adamo dirà: «La donna che tu mi hai posto accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato». Eva ha ascoltato chi metteva nel suo cuore il sospetto terribile che Dio fosse nemico, rivale dell’uomo. Ha ascoltato e obbedito alla parola del serpente traditore. La sua disobbedienza al Signore ha trascinato nella maledizione divina non solo se stessa, ma anche l’uomo al quale era stata data come aiuto simile a lui e in lui ha trascinato tutta la discendenza umana. La sua scelta – perché di scelta si trattò – ha distrutto l’interiore bellezza e bontà di tutta la creazione. È opportuno questo sguardo allargato su tutta la creazione, sottoposta alla corruzione del peccato. San Paolo dirà che la creazione grida perché sottoposta a questa caducità (cfr. Rom 8, 19). Ce ne ha parlato anche papa Francesco nell’enciclica Laudato si’.
La ricostruzione di tutta la creazione riparte ancora da una donna, dalla scelta e decisione di una donna, Maria di Nazaret. In senso uguale e contrario Maria, nuova Eva, ascoltando la parola dell’Angelo che le parla, obbedendo a quella parola, credendo pienamente al Signore, procura una benedizione per se stessa: «Benedetta tu fra le donne», le dirà Elisabetta; per il nuovo e vero Adamo, Gesù, di cui è madre si dirà: «Benedetto il frutto del tuo grembo»; e poi per tutta la discendenza dei figli che nasceranno a Dio ed anche per il mondo stesso che verrà redento. La sua scelta di fede: «Avvenga in me secondo la tua parola» ricostruisce l’interiore bellezza e bontà di tutta la creazione. In lei la grazia, la benedizione, vengono di nuovo ad abitare fra noi. Nella sua fede la caduta in cui il mondo era precipitato a causa di Eva è superata, è vinta dalla redenzione resa possibile dal suo “sì”.
La pagina del Vangelo di Luca ci suggerisce che questa obbedienza di Maria è di una straordinaria profondità. Nel dialogo con l’Angelo Maria ha avvertito la presenza e la potenza dello Spirito Santo; forse non sapeva nulla di lui, non era ancora stato liberato pienamente e già sentiva questa presenza e il mistero di Dio che chiedeva di entrare nella sua vita, di prendere possesso della sua persona, interamente. «Lo Spirito scenderà su di te, su di te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo».
Anche Eva, per tornare al parallelo, ha sentito la presenza di Dio e la potenza del mistero di Dio vicino a sé, venuto per dialogare nell’anima e nell’amore con lei. Dirà Adamo, parlando anche a nome di Eva: «Ho udito il tuo passo nel giardino». Maria però non si è ritirata, non si è nascosta, non ha avuto paura. Ha risposto dicendo: «Sono l’ancella del Signore», regalando a lui tutta la sua persona, santificata fin dal suo concepimento. Eva, invece, si è nascosta dalla presenza di Dio. Ha avuto paura e ha rifiutato il suo “sì” al Signore. In Maria, mediante l’eccomi, il progetto di Dio di cui parla san Paolo nella Seconda Lettura diventa possibile, può realizzarsi. Comincia la storia della salvezza. Poiché Maria ha accolto la Parola e ha detto il suo “sì”, diviene in senso vero e proprio la madre dei viventi in Cristo.
Consideriamo nel “sì” di Maria anche il nostro “sì” che rinnoviamo adesso insieme, anche a nome di tanti famigliari e amici che non sono qui presenti. Ridiciamo il “sì” di Maria che permette a Dio di farsi presente e fa di noi strumenti della sua grazia, missionari. È il tema della Diocesi per questo biennio. Essere missionari non è tanto fare attività missionarie, ma è una modalità del nostro essere che, per la forza della grazia, produce frutti e frutti. Un “sì”, quello di Maria, che la porta a lodare con sorpresa quanto Dio ha fatto di grande in lei: «L’anima mia magnifica il Signore». Fatte le debite proporzioni tutto questo è vero anche per noi. Ogni “sì” a Dio, alla sua Parola, ogni “sì” che pronunciamo per amore del fratello porta Dio e porta la sua gioia in noi e negli altri. Anche noi oggi ripetiamo – e dobbiamo farlo sempre – il Magnificat di Maria: «L’anima mia magnifica il Signore, ha fatto in me cose grandi, lui che è potente».