Pomeriggio unitario di spiritualità

Catechesi per catechisti ed educatori

Omelia nella S.Messa in suffragio dei Vescovi e dei Sacerdoti defunti

Pennabilli (RN), Cattedrale, 5 novembre 2021

2Tm 2,8-13 p. 855
Sal 24 p. 856
Gv 17,24-26 p. 892

Anzitutto grazie perché avete voluto dedicare quest’ora alla preghiera per i vescovi e i sacerdoti defunti, che hanno servito la nostra Chiesa e ci hanno assicurato la trasmissione della fede. Noi sacerdoti contiamo molto sulla solidarietà dei figli spirituali.
Nel raccoglierci questa sera a pregare per i vescovi, i canonici e i sacerdoti defunti della nostra Chiesa di San Marino-Montefeltro sono impressionato dalle parole che san Paolo scrive a Timoteo. Anzitutto belle le parole del saluto iniziale che abbiamo omesso e sono presupposte. Un saluto che torna in tantissime lettere di Paolo e gira attorno a tre parole: grazia, pace, misericordia (cfr. 2Tm 1,2). Si direbbe che l’Apostolo pensi quanto un sacerdote abbia più bisogno di altri dell’indulgenza, della misericordia e del perdono di Dio. Noi sacerdoti, noi vescovi, abbiamo ancora più bisogno di altri dell’indulgenza, della misericordia e del perdono di Dio. Penso che i miei sacerdoti siano persuasi, come me, della pertinenza della mia affermazione. Siamo uomini che possono sbagliare e peccare; siamo uomini circondati di infermità, come scrive l’autore della Lettera agli Ebrei (cfr. Eb 5,2), dell’infermità degli altri e la nostra, che ci viene da dentro; siamo uomini che devono offrire sacrifici per sé e per le proprie colpe (cfr. Eb 7,27). Siamo, però, uomini scelti da Dio e rivestiti del Sacro Ministero col Sacramento dell’Ordine, favoriti di particolari grazie e straordinari poteri; uomini in obbligo di cantare sempre, aiutati dalla fede, la gratitudine a Dio per i suoi doni; ma proprio per tutto questo siamo più responsabili di errori, mancanze, debolezze e possiamo incorrere in più severi giudizi del Signore (cfr. Sap 6,7). A chi è stato dato molto – diceva Gesù – verrà chiesto molto (cfr. Lc 12,48). Vescovi e sacerdoti defunti hanno, pertanto, necessità di ampi suffragi e preghiere (se non li ricordiamo in questa circostanza, chi si ricorderebbe di loro?). Possono essere stati sviati, nella vita presente, e abbagliati dal loro ruolo; possono aver concepito il loro ufficio non come un servizio, ma come un’occasione di potere (cfr. Mc 10,42-45); possono essere stati tentati e illusi dalla coreografia della loro autorità, dei loro titoli, dal desiderio e dal compiacimento di una effimera e vana gloria; possono essersi lasciati ingannare come mercenari (cfr. Gv 10,9ss) dall’attrattiva dell’interesse, dal guadagno del denaro (cfr. 1Pt 5,2-3); possono non avere imitato, fortiter et suaviter (cfr. Sap 8,1), come sarebbe stato doveroso, il modello del Buon Pastore (cfr. Gv 10); possono non aver saputo leggere i segni dei tempi, non adeguando la pastorale alle loro comunità; possono aver trascurato lo slancio missionario, accontentandosi dell’abitudinario e della routine pastorale; possono aver commesso omissioni che hanno scandalizzato i fedeli; possono aver ceduto umanamente, per debolezza, alle lusinghe del male; possono non aver atteso, da subito, alla correzione e alla modifica del loro temperamento, trascurando via via la loro formazione fino a non saper mostrare un’umanità vera, invitante, attraente, bella. Era bella l’umanità di Gesù! Quante incongruenze. Quante mancanze. Quante fragilità. Signore, abbi pietà!
Tuttavia, mi piace applicare ad ogni vescovo e ad ogni sacerdote le parole che san Paolo rivolge a Timoteo. Lo chiama: «figlio mio». Timoteo era, per così dire, l’Ausiliare di Paolo. L’ha fortemente voluto accanto a sé. Paolo conosceva di Timoteo molti particolari, sapeva il nome della nonna, il nome della mamma e tante altre notizie…
Paolo, in questa sua Lettera, gli dedica qualche frammento di un inno battesimale sul Cristo Risorto in cui viene ricordata l’origine davidica di Gesù. Al di là dei limiti, delle catene della mediocrità e del peccato – anche un vescovo e un sacerdote possono sentirne il peso – la Parola di Dio che vescovi e sacerdoti proclamano non è incatenata. Noi siamo incatenati, ma la Parola no! A Timoteo, Paolo scrive: «Se moriamo con lui (con Gesù Figlio di Davide), con lui anche vivremo; se perseveriamo, con lui anche regneremo; se lo rinneghiamo, lui pure ci rinnegherà; se siamo infedeli, lui rimane fedele, perché non può rinnegare se stesso». Gesù e il suo Vangelo sono più grandi delle nostre incongruenze.
C’è nella Lettera anche un messaggio per noi che ora lavoriamo nella vigna del Signore. Chi vive ciò che medita e medita sul mistero di Cristo Gesù, rispecchia poco a poco nella sua vita Gesù: «Se leggi il Vangelo e lo vivi ti trasforma in un altro Gesù». Timoteo – e ognuno di noi può vedersi in lui – dovrà essere un “memoriale vivo”, cioè un ricordo vivente della Risurrezione del Signore. Quanti lo vedranno vivere e agire capiranno che Gesù Risorto trasforma l’esistenza del cristiano, del vescovo, del sacerdote e la colma di luce, di pace e di gioia. Così tutti possiamo raggiungere la salvezza che il Signore ci offre. L’esortazione di Paolo non potrebbe proporre a noi – vescovo, presbiteri, diaconi e fedeli – un programma più affascinante.
Concludo con la preghiera audace di Gesù al termine dell’Ultima Cena: «Alzati gli occhi al cielo, Gesù pregò dicendo: “Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano anch’essi con me dove sono io”» (Gv 17,24). Sono rincuorato da questo imperativo. Ci insegna ad essere, a nostra volta, audaci nella preghiera. Pieni di fede e di speranza. Così sia.

Omelia nella Festa di Tutti i Santi

Pennabilli (RN), Cattedrale, 1° novembre 2021

Ap 7,2-4.9-14
Sal 23
1Gv 3,1-3
Mt 5,1-12

  1. Tutti chiamati alla santità

Domenica 26 ottobre si è celebrata la beatificazione di una giovane ragazza di Rimini: Sandra Sabattini. Qualcuno di voi probabilmente l’ha conosciuta e incontrata.
Vorrei darvi testimonianza di quello che ho vissuto partecipando alla celebrazione. Siamo in sagrestia e cominciano ad arrivare le autorità a fare omaggio al cardinale Marcello Semeraro, delegato del Papa: il prefetto, il sindaco, il questore e tanti miei confratelli: l’arcivescovo di Pesaro, il vescovo di Urbino, il vescovo di Forlì, ecc. Appena usciti dalla sagrestia ci rendiamo conto che c’è una folla immensa. Si passa nel cortile di fianco alla Cattedrale, si arriva nella piazza piena di gente e mi viene spontaneo dire al vescovo di Rimini, mons. Francesco Lambiasi (siamo molto amici): «Guarda, qui c’è una ragazzina che ci sta mettendo tutti in fila!». Così siamo entrati in Cattedrale. Ho pensato: «Questa è la rivincita dei giovani!». Rimini ha tanti santi e beati giovani del nostro tempo, oltre a Sandra: Alberto Marvelli, Carla Ronci… Siamo tutti chiamati alla santità. La santità è una necessità per il cristiano.

  1. Santità: opera della grazia

Il Vescovo di Rimini legge la richiesta formale a papa Francesco perché «Sandra sia scritta nel numero dei beati». Ad accogliere la richiesta è il cardinale Marcello Semeraro, rappresentante del Papa come prefetto della Congregazione per la Cause dei Santi. Intanto che il cardinale pronuncia in latino la formula di beatificazione, allargo lo sguardo sulla folla presente in Cattedrale e mi commuovo: «Chissà quante Sandre sono qui tra noi». L’eroismo nel quotidiano. Ma è meglio non chiamare la santità eroismo, perché potrebbe mettere soggezione a tanti di noi: è un frutto della grazia!

In questi giorni sono molto preso dal Programma pastorale: voglio viverlo io per primo, non si tratta di un’organizzazione. Penso alla relazione tra il Padre e il Figlio. L’amore del Padre è infinito, eterno dono, che addirittura “non è”, perché tutto fuori di sé. Il Figlio è suprema accoglienza dall’eternità, da sempre. È grande amare, ma è altrettanto grande lasciarsi amare. In questa relazione d’amore c’è l’effusione dello Spirito, la terza Divina Persona. È emozionante pensare che ci è stato dato lo Spirito Santo, che cioè siamo collocati dentro a questo circuito di luce, di vita, di amore. Dunque, la santità è opera della grazia.

Mi piace sfogliare il diario di Sandra. La prima battuta è: «Sono piena di niente». Ed è per essere piena di Tutto.

  1. Ritmo, regola, rito

Intanto il postulatore legge una sintesi della biografia di Sandra; è breve, perché la vita di Sandra è stata breve – Sandra è morta in un incidente stradale all’età di 22 anni –, ma si capisce che è stata intensissima e normale: studio, sport, canto, amicizie, Associazione Papa Giovanni XXIII, preghiera e silenzio davanti all’Eucaristia, fidanzato, università, servizio… La volontà di Dio sempre, subito, con gioia. Le tre erre: ritmo, regola, rito! Il programma che possiamo fare nostro.

  1. Vita piena e possibile

Ci viene regalata una biografia di Sandra. Guardo le foto. La più bella in assoluto è quella scattatagli dal fidanzato in un momento di gioia: è la foto scelta per lo stendardo (il manifesto ufficiale) e per la stola data a noi sacerdoti. Vi si coglie bellezza, sorriso, luce negli occhi, persino movimento. C’è anche la foto di Sandra al mare in costume. Ci sono le foto da bambina che gioca con un Pinocchio di legno; da ragazzina sul podio dopo una gara sportiva (corsa di velocità); da universitaria, quando trova il tempo di aiutare un’amica disabile, e tante altre… Testimonianze di una vita intensa, animata da grandi e sostenibili, perchè possibili, ideali.

  1. Un unico amore

Un’altra foto mi colpisce in modo particolare: Sandra col suo kway in piazza con un pacco di giornali sul braccio da distribuire. Si intravvede il titolo di prima pagina: “Handicappati e lavoro” (si diceva così negli anni ‘70), segno della sua dedizione agli altri, ai meno fortunati, testimonianza dell’unico precetto che racchiude insieme amore a Dio e amore al prossimo. Alla scuola di don Oreste Benzi: carità che non si ferma all’elemosina, ma che diventa ascolto, apertura al sociale, impegno. A dieci anni aveva chiesto al Signore: «Ti prego, fa’ che io possa aiutare persone più bisognose di me» (Diario 15.1.1975).

  1. Il segreto

Anche di altri santi “moderni” esistono raccolte di fotografie (celebre la raccolta di santa Teresa di Lisieux, la prima ad avere un servizio fotografico suo, anche lei disinvolta, c’è persino una foto in cui partecipa ad una recita vestita da santa Giovanna d’Arco…). Le foto di Sandra descrivono una santità possibile, attraente, espressione del nostro tempo, bella! La santità è qualcosa di desiderabile: bellezza, gioia, pienezza di vita.
Sono tornato da Rimini commosso e pieno di desideri di santità. Forse solo suggestione? Detto così sembra facile, ma bisogna andare oltre alle fotografie, oltre alle cerimonie per vedere il segreto della santità. Qual è il segreto della santità di Sandra? Le foto colgono un attimo (un fotogramma), ma che cosa c’è sotto?
Consiglio di leggere il diario di Sandra per coglierne il segreto. Ecco qualche riga.
«Potremmo dire – scrive il 20 febbraio 1983 – che siamo ciò che preghiamo (per dire che la preghiera non è essere fuori dalla realtà). Mi sento come colui al quale, stolto, vengono date delle perle. La vita è un continuo morire giorno dopo giorno, ma è anche un continuo rinascere alla vita vera. Siamo intransigenti sul dovere di amare, non cediamo, non veniamo a compromessi, ridiamo di coloro che ci parleranno di prudenza, di convenienza, di giusto equilibrio e soprattutto crediamo nella bontà dell’uomo, perché nel cuore di ciascuno ci sono tesori d’amore. La più grande disgrazia che ci possa capitare è di non essere utili a nessuno e che la nostra vita non serva a niente. Vivere è saper amare».
Queste le ultime righe del diario, scritte due giorni prima di morire: «Non è mia questa vita che sta evolvendosi ritmata da un regolare respiro che non è mio, allietata da una serena giornata che non è mia; non c’è nulla a questo mondo che sia tuo. Sandra, renditene conto. È tutto un dono su cui il donatore può intervenire quando e come vuole. Abbi cura del regalo fattoti, rendilo più bello e pieno per quando sarà ora».
Sia lodato Gesù Cristo.