Omelia nella V domenica del Tempo Ordinario

San Marino Città (RSM), 7 febbraio 2021

Gb 7,1-4.6-7
Sal 146
1Cor 9,16-19.22-23
Mc 1,29-39

L’evangelista Marco, come un cronista, è all’inseguimento di Gesù. Si fa fatica a tenergli dietro… Avete notato quante volte c’è l’avverbio: «E subito…»?
Noi parliamo di Programma pastorale: Gesù ha stabilito che la sua linea programmatica preveda l’ingresso nella città e in questo si differenzia, per collocarci al tempo suo, da gruppi di spiritualità che abbandonavano Gerusalemme e le città per andare nel deserto: celebre era l’insediamento esseno sulle rive del mar Morto, a Qumran. Gli Esseni adottavano la strategia della fuga. Poi c’erano gli Zeloti (qualcuno del gruppo di Gesù ne faceva parte), che adottavano una strategia di assalto: si armavano per resistere agli odiati occupanti, che erano i Romani. Gesù si distanzia da una strategia e dall’altra e adotta una strategia di ingresso. Va sulle rive del lago di Gennesaret – lo chiamavano il mare di Galilea – e chiama pescatori al suo seguito. Entra in Cafarnao, va nella sinagoga, il luogo della preghiera e dell’ascolto della Parola di Dio. Qui compirà un gesto di guarigione del rapporto che la creatura ha con il suo Creatore. La guarigione del posseduto dallo spirito impuro, in fondo, ha questo significato: il Signore guarisce i nostri rapporti sbagliati con Dio, quando lo sentiamo come presenza incombente, che minaccia, giudica, che è sempre scontenta di noi. Gesù ha un’altra visione di Dio, lo annuncerà: Dio è papà, ci ama immensamente.

Oggi celebriamo la Giornata della Vita. C’è bisogno di pane per vivere, ma c’è bisogno di amore per avere un motivo per vivere. Noi l’abbiamo questo motivo: è l’amore infinito di Dio. Poi Gesù esce dalla sinagoga e va nella casa di Simone e Andrea. Mi sorprende la disinvoltura con la quale Gesù passa da un ambiente all’altro, starei per dire con la stessa sacralità. Nella casa di Simone e Andrea non si sentivano gli inni e non c’era profumo di incenso, ma si sentiva il rumore delle stoviglie di casa, il profumo delle vivande. Gesù va per un momento di amicizia, di intimità, forse anche di riposo, perché l’incalzare dei «subito» esigeva certamente anche momenti di sosta. Gesù va e gli parlano della suocera di Simone (Pietro). Non si fa pregare due volte e va nella stanza della febbre, dove c’è la donna ammalata. Non sappiamo i particolari. Gli esegeti si sbizzarriscono, qualcuno dice: «La suocera di Pietro ha somatizzato il suo disagio perché il genero non è più come prima: viene a casa dalla pesca con le reti vuote, anzi senza reti, a volte sparisce per due o tre giorni…». Si può immaginare il suo disappunto. Lei non sa ancora che Simone ha incontrato Gesù, che ormai si sta dando braccia, gambe e cuore alla causa del Vangelo. Quindi Gesù, entrando in quella casa, poteva avere anche qualche motivo di risentimento, ma va subito dalla suocera e fa un miracolo che non è eclatante, non ci sono gesti particolari, parole, formule. Tutto accade nella stanza della febbre: semplicemente Gesù si avvicina, prende per mano, solleva e quella donna è restituita alla fierezza di servire. Ognuno di noi ha la sua stanza della febbre dove c’è qualcosa di non chiarito, di sofferto, di non comunicato, che tiene per sé e in cui non si vogliono invadenze. Lasciamo che Gesù entri nella stanza della febbre, che risani, sollevi, prenda per mano. Cafarnao è una città in cui le case sono una a ridosso dell’altra (si vede dagli scavi) e la fama si diffonde presto: «Avete sentito?». Dopo la guarigione della suocera tutti vanno incontro a Gesù e lui guarisce, risana, ma poi “taglia corto”, non vuol esser preso per un guaritore e neanche per un medico che vuole fondare una clinica. No. Gesù va nella preghiera, si ritira e, quando lo vanno a chiamare, dirà: «Andiamocene altrove, perché dobbiamo raggiungere tanti altri villaggi». La strategia di Gesù, come si vede, è ben diversa da quella degli Esseni che vanno nel deserto e fuggono da un mondo in cui, secondo loro, non c’è più niente da fare, ma Gesù si distanzia anche da quella degli Zeloti, che attaccano. Lascia la sinagoga e va per le città e i villaggi. È stata la scelta anche dei primi cristiani che hanno lasciato le sinagoghe per radunarsi nelle case e poi andare in tutto il mondo. E il Vangelo è arrivato sino a noi. Usciamo dalla prigionia e dal chiuso di noi stessi per sollevare, servire, amare. Così sia.

Giornata diocesana unitaria per la Quaresima

Omelia nella festa di Sant’Agata

Sant’Agata Feltria (RN), 5 febbraio 2021

2 Cor 10,17-11,2
Sal 123
Mt 10,28-33

1.
Voi siete qui! Così si legge nelle topografie turistiche.
Qui è tempo di epidemia: desolati, impauriti, ansiosi, in difesa, distanziati per salvare le relazioni… Quando la normalità?
È crisi sanitaria, ma anche economica, sociale ed educativa. Sul conto va aggiunta la tensione politica, l’attesa di un nuovo governo…
L’epidemia, al suo inizio, può essere raffigurata nella scena iniziale del film Chernobyl: tutti addossati sul parapetto di un ponte a guardare in lontananza l’esplosione della centrale nucleare. Uno spettacolo simile ad una serata di fuochi artificiali. Ma gli spettatori già respirano le particelle radioattive. È iniziata così: la prima fase fu la spettacolarizzazione dell’epidemia, finché ci si è resi conto che toccava tutti noi: è arrivata in casa nostra. Il treno, o la barca per dirla con Papa Francesco, sul quale viaggiavamo tranquilli e sicuri si è fermato: c’è un guasto. Non c’è differenza fra prima e seconda classe. Tutti giù ad aspettare la ripartenza: ma quando?
La sosta forzata ha fatto prendere coscienza ai viaggiatori – siamo noi – della propria costitutiva fragilità, della vulnerabilità dei sistemi, ma anche l’interdipendenza: tutti sulla stessa barca, nessuno escluso. Con quali risorse ci si è messi ad affrontare la crisi? Da subito almeno tre: intelligenza (ricerche della biologia e della medicina, organizzazione sociale, regolamenti); cuore (famiglia, volontariato, impegno degli addetti ai lavori: infermieri, medici e personale sanitario in genere…); mani giunte (preghiera con l’effetto immediato di infondere speranza, di farci sentire “fratelli tutti” e di guardare al nostro destino ultimo).
«Peggio di questa crisi è solo il dramma di sprecarla» (Papa Francesco).
Mi spiego portandomi con la mente ed il cuore al cammino, mesto e fuggitivo, di due discepoli di Gesù, all’indomani della sua crocifissione. Hanno il volto triste, sono in fuga da Gerusalemme, vanno verso un villaggio nel quale rifugiarsi… Emmaus. Uno sconosciuto si affianca a loro. Inizia un dialogo. I due gli confidano la loro disperazione: «Noi speravamo…». Lo sconosciuto è Gesù Risorto, che si è messo accanto a loro per ascoltarli. Sorprende quando prende la parola, perché non si attarda nella commiserazione, nella lamentazione… Ma lì, subito, sulla strada si mette a ripercorrere la storia della salvezza spaziando da Mosè ai profeti… E scuote i due viandanti: «Stolti e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti!». Gesù allarga l’orizzonte e li tira fuori dalla loro tristezza.
Gesù non fa programmi, né progetti, ma avvia e incoraggia processi. Non detta l’agenda ai due di Emmaus, ma fatto sta, che dopo la sosta nella locanda, “quei due” invertono il cammino, tornano a Gerusalemme, rientrano nel gruppo che avevano lasciato, relazionano sull’incontro avuto, ascoltano il racconto degli altri e si rendono disponibili alla grande avventura dell’evangelizzazione che da Gerusalemme interesserà tutto il mondo…

2.
Voi siete qui!
Questo è il senso del nostro radunarci come popolo qui in chiesa, nel giorno in cui ricordiamo la coraggiosa fanciulla siciliana, sant’Agata. Ma c’è di più. Ci chiediamo: «Quando torneremo alla normalità?». Ci sarà – ce lo auguriamo – ma dobbiamo considerare “normale” per chi abbraccia il Regno di Dio affrontare “prove e persecuzioni”. Nessuna esenzione: neppure per chi è fervoroso nella preghiera, per chi fa del bene, per chi è ineccepibile come cristiano… Del resto la nostra patrona Sant’Agata non ha scansato la persecuzione e la morte.
Un vero cristiano impara presto che la sua fede lo attrezza ad affrontare la crisi, a trovare “normale” gestire con forza, con fede, l’anormalità. Chiediamo le guarigioni per noi e per gli altri. E facciamo bene. Ma non perdiamo di vista il nostro destino ultimo, non dimentichiamo il paradiso. È frequente nei Vangeli (nei racconti di miracoli fatti da Gesù) il rincorrersi di due verbi, due verbi diversissimi, anche se noi li prendiamo come sinonimi: “guarire” e “salvare”. Quando Gesù ha guarito i dieci lebbrosi, soltanto uno è tornato indietro a ringraziare, a riconoscere Gesù Signore e Gesù gli ha detto: «La tua fede ti ha salvato». Dieci guariti, uno salvato. Così, quando Gesù guarisce la donna che perdeva sangue, colei che di nascosto gli aveva sfiorato le frange del mantello. Gesù la riconosce e le dice: «Donna sei guarita, la tua fede ti ha salvato».  Le guarigioni erano soltanto un segno… Lazzaro è tornato a morire, la dodicenne figlia di Giairo è tornata a morire, il lebbroso è tornato a morire. Quello che Gesù vuol dare è qualcosa di più grande: la salvezza per sempre. È bene che abbiamo buona salute, anche per avere la fierezza di servire e aiutare gli altri, ma non dimentichiamo la meta.

3.
Voi siete qui!
La comunità da qualche mese ha vissuto l’avvicendamento nella guida della parrocchia. Ogni cambiamento comporta nuovi assetti, variazioni sia nel cuore che nelle cose pratiche, uscite, rientri. Come vivere il cambiamento? Come vivere i cambiamenti in generale? Anzitutto guardare all’essenziale e l’essenziale non è il minimale, ma ciò che resta con tutta la sua vitalità e forza: siamo discepoli del Signore Gesù, Lui è presente, è al centro dei nostri cuori. In tutti noi brilla la perla del Battesimo e il tesoro che nessuno può rapirci!
E poi prendere coscienza che la parrocchia fa parte di una realtà più grande che è la Diocesi, dove le persone si alternano nel servizio, perché di servizio si tratta. I ruoli sono diversi come le forme di responsabilità, ma tutti concorrono al bene di tutti (da chi sanifica la chiesa a chi fa lo sforzo di trattenere un giudizio). Una considerazione particolare la Chiesa ha verso il laicato; vede la necessità di promuoverne il protagonismo; incoraggia le forme di aggregazione, soprattutto l’Azione Cattolica; vuole l’esercizio della sinodalità, che si lavori insieme e che ci siano i Consigli parrocchiali pastorale e degli affari economici; sente l’urgenza della formazione: fossero anche piccoli gruppi, ma assidui nella lectio divina.

Voi siete qui!
È l’anno centenario della morte di padre Agostino da Montefeltro. È in programma un grande convegno. La causa di canonizzazione sta andando avanti, mentre avete la gioia di avere tra voi le sue figlie spirituali.
Voi siete qui! Ognuno sa quello che ha in cuore (preoccupazioni, timori, fallimenti, gioie, ecc.). Qui è a casa sua, qui la possibilità di un nuovo incontro personale e comunitario con il Signore Gesù!

Omelia nella festa di San Biagio

Piandimeleto (PU), 3 febbraio 2021

Eb 12,1-4
Sal
Mc 5,21-43

Se dovessi dare un titolo all’omelia metterei questo: l’incontro che salva. La situazione che stiamo vivendo da mesi ci porta ad implorare aiuto al Signore. L’epidemia ha segnato e segna tante famiglie. Pesano i distacchi, soprattutto quelli delle persone care; angoscia la prospettiva dei vuoti con i quali dobbiamo fare i conti. Si può dire, in ognuno che ci lascia, che è tutto un mondo che scivola via. Anche la partenza di una persona anziana, soprattutto se è cara, lascia rimpianti, nostalgie, ricordi. Si prega, si chiedono preghiere, e ci si accontenterebbe anche che il Signore rinviasse di una settimana, un mese, un anno, la partenza di uno dei nostri cari.
Poi vengono domande di altro genere: «Serve pregare?», e domande più radicali: «Che è questa vita a cui siamo irresistibilmente attaccati, se poi è destinata a finire, tante volte sul più bello?». Ci fosse anche una guarigione, non sarebbe per sempre. Ci saranno altri distacchi, altre partenze.

Nella pagina di Vangelo appena proclamata incontriamo Giairo che sa del potere taumaturgico di Gesù: in Galilea si è sparsa la voce che fa miracoli. Allora Giairo prega il Maestro di mettere il suo potere a beneficio della sua figliola, che è in fin di vita (non ne sappiamo il motivo). Giairo non ha ancora la fede in Gesù, ma ha fiducia nel potere di guarigione del Maestro. Quello che conta è aver incontrato Gesù, poter riporre in lui la più assoluta fiducia. Gesù non gli chiede nient’altro, gli dice: «Non temere, continua soltanto a fidarti». Lo invita a non lasciarsi accasciare dalla realtà della morte di sua figlia, così come gli è stata crudelmente comunicata attraverso una staffetta di persone che gli vanno incontro mentre rientra a casa. Gesù gli dice anche di non aver paura di apparire sciocco continuando ad aver fiducia in lui, di non far caso neppure a quello che dicono i suoi discepoli che lo allontanano per non fargli perdere tempo e nemmeno all’ironia dei presenti nel cortile. La fede non si esaurisce nella fiducia in una grazia materiale, ma può partire da questa per arrivare a capire in profondità che la vera fede è credere a Gesù come salvatore. La fede si innesta sul vivo delle speranze umane e la grazia divina erompe sull’umano.

Il seguito del racconto è permeato da tanti motivi pasquali, che sono qui anticipati. Per esempio, il pianto e la tristezza di fronte alla tragedia della morte, la parola di Gesù che interpreta quella morte come un dormire. I primi cristiani, mossi dalla fede pasquale nella risurrezione, hanno cambiato il nome della necropoli (etimologicamente “necropoli” significa “città dei morti”) in “cimitero” (che vuol dire “dormitorio”). Poi c’è il comando di Gesù: «Ragazza, in piedi (Talità kum in aramaico)!»; kum è l’equivalente dei verbi tipici della risurrezione: alzarsi e risvegliarsi. Qui il miracolo è la rianimazione di un cadavere, ma è da intendersi come un’anticipazione della risurrezione pasquale; infatti, la ragazza, restituita alla vita terrena, di nuovo è votata alla morte. Il miracolo è segno del potere che Gesù ha sulla morte. In questo racconto la parola di Gesù ha la stessa forza, lo stesso potere, della Parola di Dio, come nella creazione. «Dio disse e tutto fu fatto» (cfr. Sal 148,5): quindi la parola di Gesù è una parola efficace, che trasforma le realtà a cui è indirizzata. La parola di Gesù fa dello sconsolato Giairo un credente e della ragazza morta una vivente. Ahimè, si può anche resistere, non avere fiducia in quella parola di Gesù. Succede. Vedi l’ottusità dei discepoli, l’ironia della gente attorno a casa, il terrore degli astanti. La parola di Gesù non toglie il dolore, non è un anestetico. Però le parole di Gesù infondono speranza. Voglio fidarmi. Spero sia così anche per voi.

Faccio un breve accenno al “miracolo dentro al miracolo”: mentre Gesù va con Giairo a casa sua incontra una donna che soffre di perdite di sangue. Aveva speso tutti i suoi averi per trovare un rimedio. Anche lei ha avuto la fortuna di incontrare Gesù e di passare dalla stima di Lui alla fede in Lui. L’evangelista Marco indugia nel racconto di alcuni particolari: il caos della folla che stringe Gesù da tutte le parti, la donna che si allunga quasi strisciando per terra per toccare un lembo della sua veste… La donna viveva in situazione di morte, è una morta vivente (per gli antichi il sangue “dentro” è vita, il sangue che scorre “fuori” è morte) e si vorrebbe quasi lasciar morire dato che tutte le cure non sono efficaci. Ormai è buio nel suo cuore, ma in un impeto di stima per Gesù tocca la frangia del suo mantello e guarisce immediatamente. Gesù, nella sua misteriosa sensibilità spirituale, avverte che il suo potere salvifico è entrato in opera, ma non ne è irritato, anche se alza lo sguardo dicendo: «Chi mi ha toccato?». I discepoli, però, sorridono perché non capiscono come possa fare quella domanda visto che è pigiato da tutte le parti. Gesù vuole insegnare – e questo vale per me e per voi – che il semplice contatto fisico non basta, per questo volge lo sguardo tutt’attorno e cerca chi lo ha toccato. Cerca un incontro personale che superi la superstizione, il gesto magico, e consenta l’irruzione della grazia e della fede. È quello che accade. La donna non può resistere allo sguardo di Gesù, perché Gesù sa cavar fuori le fibre più nascoste dell’anima e proprio dalla stima per Gesù, dal gesto un po’ superstizioso, dalle sue paure, dalla sua nudità davanti a lui e alla gente irrompe la fede, la grazia. Gesù le dice: «La tua fede ti ha salvato. Va’ in pace e sii guarita». Da notare i due verbi: il verbo “salvare” e il verbo “guarire”. Sono due cose diverse: uno può guarire, temporaneamente, per cent’anni, ma la salvezza è una cosa più grande, più profonda. La salvezza è essere in comunione sempre con il Signore Gesù.
Dico a noi cristiani: dobbiamo guardare il paradiso! Non valgono tanto le prove scientifiche, ma la fede: «Gesù credo sulla tua Parola».
Una volta alla Certosa della mia città ebbi un’esperienza di grande buio spirituale. Era il mese di luglio e il sole picchiava forte; ero stato chiamato per un rito funebre. C’era un necroforo che stava riesumando i resti di una persona e con una cazzuola da muratore tirava via la terra dal teschio. Mi fermai un attimo a guardare. Dissi a Gesù: «Credo sulla tua Parola, perché tante volte ho fatto esperienza che la tua Parola è vera». Se Gesù dice che dobbiamo guardare il paradiso, che saremo con Lui, possiamo fidarci. Chiediamo di essere guariti, ma chiediamo soprattutto la salvezza eterna. Abbiamo una eternità smisurata di gioia e di vita davanti a noi. Così sia.

Omelia nella Festa della Presentazione del Signore

Pennabilli (RN), Cattedrale

Ml 3,1-4
Sal 23
Eb 2,14-18
Lc 2,22-40

1.

Celebriamo con gioia e gratitudine, nella Festa della Presentazione del Signore, la Giornata della Vita Consacrata. Gioia per i rapporti sempre nuovi tra di noi. Gratitudine per i «doni gerarchici e carismatici» (cfr. LG 4) che il Signore dona alla sua Chiesa per costituirla, per dirigerla e per arricchirla. Diocesani e religiosi sono uniti nella diversità: viviamo gli uni per gli altri. Nessuno qui è ospite. Tutti pellegrini. Tutti famiglia. Tutti protesi a costruire il “noi”, come ci ricorda spesso papa Francesco. Tutti consacrati nelle acque del Battesimo e nell’unzione con il santo crisma.

2.

Guidati dalla Parola di Dio e dai testi liturgici non possiamo che parlare di Lui, il nostro Sposo, il Tutto della nostra vita: il Signore Gesù! Non siamo qui per parlare di noi o dei nostri problemi, che sono smisurati in questo tempo. Siamo qui per mettere Lui al centro. Contempliamo e godiamo di Gesù Lumen gentium. La meraviglia che subito suscita in cuore e abbaglia è il mistero della luce: Gesù, Mistero di Luce!
Una luce che spunta da lontano, da quel primo “fiat”: «Sia la luce. E la luce fu. Dio vide che la luce era cosa buona» (Gn 1,3). Una luce che avanza nei secoli dell’Antico Testamento, incendiando e avvolgendo ogni cosa (non sono divagazioni, è lectio divina): il roveto ardente (cfr. Es 3,2); il Sinai in fiamme (cfr. Es 19,24-40); il fulgore sul volto di Mosè (cfr. Es 34,28-35); la grande luce profetizzata da Isaia: «Un popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce…» (Is 9,1ss) e la profezia del “Terzo Isaia”: «Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te» (Is 60,1); il ritorno della gloria di Dio vista da Ezechiele: «La gloria del Signore entrò nel tempio per la porta che guarda a oriente» (Ez 43,4); l’angelo dell’Alleanza del profeta Malachia e il fuoco del fonditore (cfr. Ml 3,1ss), di cui abbiamo sentito nella Prima Lettura.

3.

Una luce che irrompe e divampa nel Nuovo Testamento con Gesù, il “tutto luce”! «Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo» (Gv 1,9). «Io sono la luce del mondo – dirà Gesù –; chi segue me non cammina nelle tenebre, ma avrà la luce della vita (Gv 8,12). «Finché sono nel mondo – dice – la luce risplende» (Gv 9,5).
È la luce che, alla fine, sarà totale e totalizzante. Così lo squarcio dell’Apocalisse: «La città non ha bisogno né della luce del sole, né della luce della luna, perché la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l’Agnello» (Ap 21,23). «Non vi sarà più notte e non vi sarà più bisogno di luce di lampada, né di luce di sole perché Dio li illuminerà e regneranno nei secoli dei secoli» (Ap 22,5).

4.

La luce – abbiamo sentito – illumina, accarezza, avvolge ogni cosa e la fa diventare luce, la trasforma in luce, luce riflessa, fosforescenza.
Nella processione abbiamo trasportato le nostre luci. Raffigurano la luce affidataci da colui che seguiamo: «Cristo luce» (cfr. Gv 9,5). Attingiamo a Lui nostra luce e camminiamo nel mondo come un fiume di luce. San Leone Magno vedeva i suoi cristiani che tornavano dai santi misteri come dei leoni “ignem spirantes” (leoni che emettevano fuoco, luce). Gesù stesso l’ha detto: «Voi siete la luce del mondo… Risplenda la vostra luce davanti agli uomini» (Mt 5,16). Tutti luminosi ci vuole il Signore, come lucerna che illumina col suo bagliore quelli che sono nella casa (cfr. Lc 11,36).
Oggi si legge nella liturgia un’antifona che allude alla luce, ma soprattutto all’incontro fra Cristo sposo con la sua sposa: «Adorna, o Sion, la stanza delle nozze. Accogli Cristo tuo Signore. Abbraccia Maria che è la porta del Cielo e porta il Signore della gloria. Ella, la Vergine, si ferma presentando nelle sue mani il Figlio nato prima della stella del mattino…». Questa antifona nell’ufficiatura della liturgia precede e segue il Salmo 44, il Salmo delle nozze del re. La luce: il dono che il Signore fa alla sua sposa… Il cero pasquale!
La luce, quale è tratteggiata nella sua storia (Antico e Nuovo Testamento), prefigura il Mistero dei Misteri: il Mistero pasquale. È il vecchio Simeone a profetizzarlo nel suo cantico. Il Bambino presentato da Maria e da Giuseppe sarà «segno di contraddizione… Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele».

5.

Nella presentazione di Gesù, accanto a Maria e a Giuseppe ci sono Simeone e Anna, due persone consacrate al Signore, dimoranti nelle strutture del Tempio, ciascuna con una grande attesa nel cuore, ciascuna con la necessità irrefrenabile di divulgare, col dono divino loro concesso, l’adempimento della salvezza per tutti.
I religiosi e le religiose qui presenti (insieme a quelli connessi online) continuano la missione incominciata da Anna e da Simeone, con una giovinezza inossidabile, che perdura anche nell’avanzare dell’età. Essi hanno avuto la salvezza e hanno avuto la chiamata ad annunciarla con la loro vocazione e missione. Sono stati chiamati dal Signore e consacrati per svelare la vita che ci aspetta dopo questa vita (quest’anno abbiamo avuto tante volte presente la realtà della morte, del passaggio «all’altra riva» (cfr. Mc 8,13). Essi operano nella Chiesa con una vita improntata ad una vita futura, quella del Regno: castità, povertà, obbedienza.
Un grazie per la loro testimonianza missionaria, per il lavoro che compiono accanto a noi e compiono per noi, oltre che per tutti gli uomini. E col grazie una preghiera, perché siano sempre più quello che devono essere: anzitutto segno del Regno di Dio.

6.

Oggi è festa di tutti. Nella Chiesa c’è diversità di carismi e ministeri, ma unità di missione (cfr. AA 2).
La festa di Cristo Luce, dunque, è per tutti. La festa dell’incontro, della comunione con la luce, è per tutti. La festa delle nozze, splendenti di luce, è per tutti! La festa della Pasqua – Passione e Risurrezione – per la quale e nella quale si diventa luce, è per tutti! Anche la festa della radicalità evangelica e dei suoi consigli e della loro realizzazione è per tutti!
La festa di oggi richiama al dovere della quotidiana conquista della dedizione al Signore. Convertirsi è tendere a Lui che ci attende: non è un gioco di parole. Convertirsi è una necessità per la nostra azione pastorale; abbiamo bisogno di ritrovare slancio, coraggio, audacia. In uscita. Dal centro alle periferie. Una conversione personale, umile, ma irrinunciabile: una luce, anche se piccola, si vede da lontano; e una conversione comunitaria: una Chiesa inquieta perché protesa a tutti, nella costante ricerca del dialogo, come una madre che non si dà pace per i suoi figli, che cerca senza sosta, che sa mettersi in discussione, che fa fatica, ma ricomincia sempre.
Alla fine del nostro incontro verrà dato a tutti i religiosi e le religiose un piccolo dono: un quaderno, sul quale ognuno potrà, di tanto in tanto, segnare un’esperienza di missionarietà, una parola che gli richiama il dovere di espansione della luce. La luce non si mette sotto il moggio, ma sul candelabro! Ci sono tanti modi di irradiazione. In occasione dell’Assemblea diocesana del 22 maggio 2021 anche voi sarete collegati con la restituzione di questo quaderno. Sarà bellissimo riceverlo. Allora capiremo che non è stata la Diocesi che ha fatto un dono a voi, ma voi alla vostra Diocesi: uno scambio di doni, amore che va e amore che viene! Così sia.