6 maggio – Le parole di Maria

Dopo i racconti dell’infanzia c’è un grande silenzio negli anni della vita quotidiana di Nazaret di Maria, Giuseppe e Gesù. Eppure, sono anni che parlano al nostro quotidiano che, come quello della famiglia di Nazaret, è fatto di lavoro, di relazioni, di affetti.

Ritroviamo Maria, per esempio, ad una festa di nozze; ce lo racconta l’evangelista Giovanni: una festa di paese, con tanti invitati. A Cana viene proclamato il Vangelo dell’amore sponsale: Maria è sposa! È attenta a quello che accade attorno a lei. Spicca il suo senso pratico: previene l’imbarazzo degli sposi novelli. Anche qui c’è ancora una parola della madre verso il figlio Gesù: «Non hanno più vino» (Gv 2,3). Sa che nella vita di ognuno, al di là del fatto di cronaca di quel matrimonio, l’amore può venir meno come il vino delle nozze. L’amore sulla terra è a rischio. La diminuzione, il venir meno, il tramontare sembrano quasi una costante per le esperienze umane. Maria, a Cana, non si rassegna e sente che le cose possono andare diversamente: dal meno al più, dal poco al tanto, dall’acqua al vino. Gesù, infine, interviene. Sarà il suo primo segno. Ma c’è una parola della Madre anche per i servi indaffarati tra i tavoli degli invitati al ricevimento: «Fate tutto quello che lui vi dirà» (Gv 2,5). Nel racconto è prefigurata la vocazione di Maria ad una maternità universale: parlerà al suo figlio Gesù di noi e parlerà al nostro cuore di Lui.

I Vangeli non registrano altre parole di Maria. Se facciamo eccezione per il cantico del Magnificat, le parole registrate nei Vangeli pronunciate da Maria sono in tutto trentanove, articoli compresi!

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C’è un Salmo che contiene un’immagine molto bella e originale: «Metti, Signore, una sentinella sulla mia bocca (pone, Domine, custodiam ori meo)» (Sal 141,3). Proponiamoci nella giornata di domani di fare attenzione alle parole che escono dalla nostra bocca!

5 maggio – Nazaret

All’inizio l’attenzione del narratore evangelico è tutta sul bambino: Gesù; della mamma appena una pennellata, ma sufficiente a tracciarne il profilo interiore: «Serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19). Del resto, la maturità di questa ragazza traspare dal colloquio che intrattiene con l’Angelo, secondo quanto Luca ci riferisce. Maria ascolta, risponde, fa domande, si mostra edotta su ciò che accade ad una donna, ragiona, e poi crede. È forte, intraprendente, agile: raggiunge in fretta, per una strada di montagna, la cugina Elisabetta, anche lei in gravidanza. Rimane in quella casa per circa tre mesi. A servizio!

La vita è piuttosto dura nella casa di Giuseppe, Maria e Gesù: povertà, lavoro, nascondimento. Matteo riferisce di un periodo da sfollati, profughi in terra lontana, dove ci sono lingua, usi e costumi diversi. È la terra d’Egitto, diventata in quegli anni provincia romana.

La mamma del piccolo Gesù pratica la fede e le tradizioni del suo popolo. Fa circoncidere il bambino, che versa le prime gocce di sangue. Lo porta al tempio per offrirlo al Signore, secondo le prescrizioni mosaiche. Qui Maria sente parole inattese che la riempiono di stupore; riguardano il futuro del bambino, ma anche il suo di mamma: una spada le trafiggerà l’anima.

Al tempio di Gerusalemme Maria tornerà insieme a Giuseppe quando Gesù ha dodici anni. Questa volta è l’evangelista Luca a registrare uno scambio di parole, piuttosto serrate, tra madre e figlio. Maria protesta il suo dolore per l’allontanamento di Gesù che, per tutta risposta, dichiara di doversi occupare «delle cose del Padre suo» (Lc 2,49). Parole che rendono Maria pensosa.

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Come possiamo fare per ricordarci che la nostra casa è una “Nazaret”? Lascio alla vostra immaginazione come creare questa continuità. Può essere un’immagine, una piccola luce che si accende… ma la cosa principale è che si vivano le virtù di Nazaret.

 

4 maggio – Chi è la Madonna?

Chi è la Madonna? Che posto occupa nella nostra esperienza? Iniziamo col considerare il suo nome. I genitori l’hanno chiamata Miriam. Il Cielo, attraverso l’angelo la chiama la piena di grazia. Il nome che lei si dà è: ancella del Signore. Noi, generalmente, la chiamiamo Madonna (Mia Signora). Non si conosce quasi nulla della sua infanzia e della sua adolescenza. Difficile tracciarne la biografia. I dati che ci forniscono i Vangeli sono abbastanza scarni.

Nel Nuovo Testamento la Madonna spunta improvvisamente, ultimo anello della genealogia di Gesù secondo il Vangelo di    Matteo. In essa Giuseppe viene qualificato come «lo sposo di Maria», e a lui, destinato ad essere padre senza essere genitore, sono dedicate le prime pagine del Vangelo. Matteo racconta del suo turbamento dinanzi alla gravidanza di Maria, delle sue perplessità, del sogno che lo incoraggia a prenderla come sposa e, infine, del suo arrendersi al disegno di Dio. L’evangelista Luca è più ricco di informazioni su Maria. Le ha attinte probabilmente da lei stessa o dai primi testimoni delle vicende riguardanti l’infanzia di Gesù. Tutto viene narrato con estrema semplicità, con un linguaggio carico di risonanze bibliche.

Vorremmo saperne di più; vorremmo sapere dell’angelo che reca l’annuncio, dei mesi della gravidanza, dei commenti della gente, del rocambolesco viaggio a Betlemme e poi della nascita del bambino, della visita dei pastori e dei magi.

Vorremmo sapere di più sulla vita di Maria a Nazaret, con lo sposo e con il bambino che cresce e diventa uomo. E poi della manifestazione pubblica del suo Gesù, della sua missione, della partecipazione della Madonna agli eventi pasquali (morte e risurrezione).

Noi moderni abbiamo difficoltà a situarci di fronte a racconti come questi. Gli eventi non sono di quelli verificabili con gli strumenti della storiografia scientifica: evocano, infatti, il processo di nascita del Verbo di Dio nella condizione umana e ciò implica la fede. Qui non interessano tanto le modalità, ma la sostanza del messaggio. La conversazione dell’Angelo con Maria, ad esempio, è più un rammendo di citazioni bibliche che un reportage. Ed è ciò che fa prendere coscienza a Maria del suo destino eccezionale e, a noi, dell’identità del nascituro. Colui che la fanciulla di Nazaret sta per concepire è il Messia. Non sapremo mai com’è avvenuto il concepimento, ma questo non è essenziale: si deve rispettare l’intimità di una donna.

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Una proposta: nei momenti di stanchezza e di difficoltà guardiamo alla Madonna e chiamiamola per nome… Quale? Tocca a voi decidere! Nella storia della Chiesa sono infiniti i nomi attribuiti alla Madonna. Possiamo chiamarla con il nome che la lega di più alle situazioni che stiamo vivendo…

3 maggio – Immersi nell’atmosfera della Pasqua

Siamo immersi nell’atmosfera della Pasqua, a dispetto del virus che ci fa arrabbiare… Inizia la IV settimana del Tempo pasquale. La liturgia ci fa gustare la presenza di Gesù Risorto come “Buon Pastore”. Il Tempo pasquale ha, nel ciclo dell’Anno liturgico, un posto centrale: la Pasqua del Signore, infatti, è il centro della nostra fede.

È necessaria una precisazione. Secondo un’idea assai diffusa, la risurrezione è un epilogo. Il Mistero si svolgerebbe tutto sul Calvario all’Ora nona del Venerdì Santo. La Pasqua ci informerebbe sulle vicende di Gesù dopo la sua grande avventura: consumato il suo sacrificio, era necessario che tornasse in vita. Ma la Parola di Dio non concepisce così la risurrezione di Gesù. La risurrezione di Gesù non è solo la dimostrazione che Dio Padre ha gradito il suo sacrificio, che le sue parole hanno avuto riscontro, mentre gli avversari sono stati smentiti. C’è molto di più. Nella risurrezione Gesù è diventato il vivente dal quale promana la vita nuova per tutto il creato, per tutta l’umanità redenta. La risurrezione lavora dentro ciascuno di noi e ci prepara ad una eternità di gioia, di luce, di vita senza fine. Ogni sera la Madonna – mamma di Gesù e mamma di ognuno di noi – ci dà appuntamento. Ci incoraggia per il cammino non facile che dobbiamo percorrere. Molti dimenticano la meta che ci attende. Qualcuno persino pensa: «Troppo bello per essere vero». Qualcun altro teme che, guardando incantati il traguardo, si diventi sognatori e si dimentichi l’impegno concreto: «Bisogna tenere i piedi ben piantati per terra». Ma è pensando alla pienezza di vita, che è la risurrezione, che è il paradiso, che possiamo essere più coraggiosi, più entusiasti, più disposti al sacrificio, più capaci di smaltire i fallimenti.

Maria di Nazaret, la mamma di Gesù, è la donna più completa che ci sia: «Sede della Sapienza e donna di casa»!

Per ricordare il legame di amicizia che ci lega tra noi e con la Madonna, procuriamoci la corona del Rosario e, se possibile, portiamola con noi: ci unisce a Maria e ci unisce tra noi.

2 maggio – Una rete di famiglie

Iniziamo questa “staffetta” affettuosa e semplice che abbraccia le famiglie e le mette idealmente in cammino le une verso le altre. La famiglia è la realtà che più ha subito i contraccolpi di questa pandemia, nei suoi membri più fragili, nelle relazioni più intime, nelle restrizioni sofferte specialmente dai nostri bambini e ragazzi e, in tanti casi, con i lutti. Ma la famiglia, nello stesso tempo, si è dimostrata una grande risorsa sociale, una riserva di valori, di coraggio e di speranza, di reciproco aiuto fra i suoi membri e, attraverso i social o il telefono, con parenti e amici.

Davanti a noi brilla una bellissima pagina di Vangelo: la Visitazione. Maria, gravida di Gesù, va dalla cugina Elisabetta, anche lei in attesa di un bimbo. Le due mamme si incontrano e vanno a gara nel raccontarsi quello che il Signore ha fatto nella loro vita. C’è tanta luce in questa scena. Posso immaginare vi siano coinvolti tutti quelli di casa e misteriosamente partecipi i bimbi dal grembo materno. Dice il Vangelo che, all’arrivo di Gesù, Giovanni Battista “danza” nel grembo di sua mamma. Ma sbaglieremmo a considerare la scena semplicemente come un acquerello famigliare e paesano. Dai verbi e dalle parole adoperate dall’evangelista Luca è evidente il richiamo ad una grande pagina dell’Antico Testamento: l’ingresso dell’Arca dell’Alleanza a Gerusalemme. Il racconto – riportato nel Libro di Samuele (cfr. Sam 6,9-12) – preannuncia e offre immagini e parole all’evangelista Luca per cantare Maria, nuova Arca dell’Alleanza e il venire tra noi del Verbo incarnato. Ma la Visitazione parla a ciascuna delle nostre famiglie: «La famiglia è grembo che nutre e fa crescere». Le nostre famiglie insieme sono grembo che custodisce la presenza di Gesù.

Iniziamo il mese di maggio con questo impegno: sentirci uniti in questa rete di cuori e pregare per tutte le famiglie, quelle unite con noi e quelle che non possono o non vogliono unirsi.

Omelia nella Veglia diocesana per le Vocazioni

Valdragone (RSM), Santuario del Cuore Immacolato, 13 maggio 2020

At 15,1-6
Sal 121
Gv 15,1-8

Mi indispettisco con me stesso quando non riesco a farmi capire sul concetto di “vita di fede”. Evidentemente sono io che non mi spiego bene. Parlo di vita, ma si capisce “pratica religiosa”. È importante la pratica religiosa, ma quando parlo di “vita” intendo qualcosa di molto più coinvolgente e più ampio. Poi, parlo dei “frutti” della vita di fede e si pensa alla “morale”, cioè si pensa ai comportamenti, alle buone azioni. I buoni comportamenti e le buone azioni sono cosa ottima, ma i “frutti” di cui vorrei parlare sono un’altra cosa. Parlo della dimensione “spirituale” della vita, ma l’aggettivo “spirituale” viene equivocato. Lo “Spirituale” sarebbe qualcosa di evanescente, disincarnato e astratto. “Spirituale” è ciò che ha a che fare con lo Spirito Santo. Allora preferisco usare l’espressione “vita di grazia”, intendendo il dono che ci viene dato, che è la vita stessa di Gesù travasata in noi. In ciascuno di noi, in me, piccola creatura, ultimo dei discepoli, viene riversata gratuitamente la vita stessa di Gesù, la vita che Gesù vive con il Padre e con lo Spirito Santo. Allora capisco la bellezza dell’allegoria della vite e dei tralci. Vite e tralci che sono l’uno nell’altro in reciproca immanenza. In questi giorni pasquali ci è stato ripetuto che Gesù vuol vivere con noi e in noi l’infinita sete d’amore che solo il Padre sa colmare. «Le parole che il Padre dice a me, le dico a voi»: parole arcane che sbocciano nelle Sacre Scritture e che d’ora in poi affiorano nella nostra interiorità. «Come il Padre ha mandato me, io mando voi»: così ci consegna il dinamismo, espansione della sua missione. La condizione per il tralcio, se vuol essere fruttifero, è quella di restare unito alla vite. Gesù, commentando questa allegoria, dice: «Rimanete in me e io rimarrò in voi» (Gv 15,4). Ma, a sua volta, la vite ha bisogno dei tralci. Dal momento in cui ha voluto creare il mondo, ha voluto che io fossi un suo discepolo e mi ha unito a sé, Dio ha bisogno di me, di ciascuno di noi. Ci crea e ci fa crescere come sua presenza. Qui è racchiusa la bellezza di ogni vocazione e più ancora la bellezza che ogni vita è vocazione. «Prima che tu nascessi ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato» (Ger 1,5). Questa sera il Centro Diocesano Vocazioni ci ha convocato per una preghiera corale per le vocazioni, soprattutto per quelle di speciale consacrazione. Preghiamo perché tanti giovani rispondano con generosità a Gesù che li chiama ad essere una sua presenza. Li chiama; li unisce a sé; li manda come il Padre ha mandato lui. Ma questo è vero per ogni cristiano. È necessario abitare in Lui, rimanere in Lui. Lui rimarrà sempre in noi, perché è fedele. C’è solamente una eventualità che può interrompere questa comunicazione vitale: il peccato. Il peccato non toglie il proposito di Dio di farsi dono nella mia vita, ma sono io che posso sottrarmi. I frutti che noi portiamo non sono tanto le preghiere, le opere della virtù di religione, ma siamo noi stessi divenuti «opera sua» (cfr. Ef 2,10). Tutta la nostra vita pervasa dalla vita di Gesù produce frutti. Le azioni più semplici come le più importanti e impegnative diventano – per così dire – azione sua, azione redentrice, frutto della “vite”. Mi sorge a mo’ di esempio un raffronto con il mito antico del re Mida: tutto quello che toccava diventava oro. Tutto quello che un cristiano fa quando è unito a Gesù viene elevato a livello soprannaturale, è un frutto del tralcio unito alla vite, un frutto della linfa divina! Tutta la nostra giornata, tutto quello che la volontà di Dio ci chiede, tutto può essere fatto in Lui, con Lui, per Lui.
«Rimanete in me e io rimarrò in voi». Grazie, Signore, per il dono di questa “rivelazione” siamo “opera tua”, un frutto della tua redenzione.

GMG diocesana

Omelia nella V domenica di Pasqua

San Marino Città (RSM), 10 maggio 2020

At 6,1-7
Sal 32
1Pt 2,4-9
Gv 14,1-12

«Non sia turbato il vostro cuore» (Gv 14,1). Esordisce così il Vangelo che abbiamo letto questa domenica. C’era tristezza quella sera; un velo di melanconia aleggiava durante l’Ultima Cena, perché Gesù aveva detto che stava scoccando l’ora della sua partenza. Alludeva esplicitamente alla croce. Un’altra partenza che darà tristezza ai discepoli sarà l’Ascensione. Ma la partenza di Gesù, la sua separazione non deve spaventare i discepoli. È vero, parte per la croce, però quello sarà il momento della massima manifestazione della sua gloria: «Innalzato da terra – aveva detto – attirerò tutti a me» (Gv 12,32). La croce è il momento della gravitazione universale nel Cristo. L’evangelista Giovanni vede nella crocifissione il momento dell’esaltazione e della gloria. Momento dell’Ascensione e, insieme, momento dell’Effusione dello Spirito, che uscirà da quella ferita aperta sul costato da cui si vedono scaturire acqua e sangue (cfr. Gv 19,34). Allora l’Ascensione, in croce e in gloria, sarà la garanzia della piena unione dei discepoli con il Padre, perché anch’essi ascenderanno con lui, Gesù. Importante è imboccare la strada giusta.
Gesù continua raccontando qualcosa del suo rapporto con il Padre, un rapporto intimo, profondo, nel quale lui vive la fiducia, l’abbandono, la tenerezza. Quante volte Gesù si è appartato sul monte per intrattenersi col Padre! I discepoli, vedendolo pregare, gli hanno chiesto di entrare nella sua preghiera, che è rapporto d’amore con il Padre. E del Padre, Gesù parlerà tante volte nei Vangeli. Basti pensare al “discorso della montagna”, in cui dice che è un Padre «che vede nel segreto» (Mt 6,6), ma non perché è uno spione; «vede nel segreto», perché si interessa di te, perché è piegato su di te, si prende cura di te; si prende cura persino degli uccellini, dei fiori del campo… (cfr. Mt 6,28). Come potrà non prendersi cura di ciascuno dei discepoli?
Mentre Gesù parla – è quasi un monologo – Tommaso l’interrompe dicendo: «Dove vai? Qual è la strada?». Gesù risponde: «Da tanto tempo sono con voi – lo dice in particolare a Filippo – e voi non avete capito che io sono nel Padre e il Padre è in me? Chi vede me, vede il Padre» (Gv 14,9). A questo proposito è interessante notare come anche noi cerchiamo la strada per andare a Dio. Molte volte vogliamo essere noi a tracciare la strada, quasi dipendesse da noi fare il programma e fissare la tabella di marcia, salvo poi constatare che non siamo capaci di percorrerla. Abbiamo grandi aspettative su noi stessi; da qui nascono fallimenti, delusioni e soprattutto il sentimento di sentirsi giudicati ed essere trovati insufficienti. Piano piano viene fuori l’idea che ci siamo fatti di Dio in senso peggiorativo. Siamo stati creati ad immagine di Dio, ma a volte siamo noi che ci creiamo una immagine di Dio, che non è la sua. In questi giorni, spiegando il Vangelo in altri contesti, più confidenziali, ho fatto un paragone… Passatemelo. È il racconto di quel giovanotto che aveva bisogno di una bicicletta; gli è venuto in mente che la suocera ne aveva una molto bella. È andato verso casa sua, un centinaio di metri più avanti, ma già durante il viaggio ha cominciato a dire tra sé: «Adesso arrivo là, le chiedo la bicicletta, lei mi dirà di stare attento perché è nuova; poi aggiungerà: “C’è la pedivella che ha un difetto, mi raccomando non calcare troppo”. Poi dirà: “Fai attenzione alle buche che ci sono sulle strade…”». Per il ragazzo quei cento metri sono stati tutti un costruirsi una precisa immagine della suocera e, quando è arrivato davanti a lei, gli è venuto da dire: «Tieniti la tua bicicletta e fatti benedire!».
A volte noi facciamo così: ci costruiamo un’idea di Dio e lo immaginiamo come il nostro “ego” ipertrofico, lo sentiamo come esaminatore e giudice. Allora finiamo per averne paura. Svapora l’immagine così bella del Padre che ha tracciato Gesù.
Ecco perché Gesù dice a Filippo: «Da tanto tempo sono con voi e non avete capito… Chi vede me, vede il Padre. Io sono la manifestazione del Padre». Pensiamo al rapporto che Gesù aveva con le persone: è il rapporto che Gesù vuole avere con ciascuno di noi.
Vorrei concludere con un altro sviluppo di questo pensiero. La prossima settimana – il 18 maggio – sarà il Centenario della nascita di san Giovanni Paolo II. Ricordo – ero ancora studente – che studiavamo con passione la sua prima Enciclica, Redemptor Hominis. Giovanni Paolo II scriveva: «L’uomo è la via della Chiesa». Ogni persona è una via per noi. Santa Teresa di Lisieux parlava della “piccola via”. La via è Gesù, ma Teresa aveva capito che si doveva fare ogni cosa per amore, essere nell’amore in ogni azione, in ogni momento: cose piccole, ma che nell’amore diventavano grandi. Quando era ammalata non riusciva più a fare le scale e ogni respiro diventava un affanno, lo donava, lo viveva in questa prospettiva di amore. «Fare tutto per amore». Gesù dice: «Voi farete cose più grandi di me» (Gv 14,12). Noi possiamo fare le cose di Gesù, perché siamo in Gesù e lui è in noi. Lui opera per mezzo nostro: quando noi agiamo è come se Gesù agisse in noi. Allora ogni cosa si trasforma, ogni azione diventa importante, non ci sono le persone di serie A e di serie B. Siamo davanti a Dio, altri Gesù: «Voi farete cose più grandi di me». Signore Gesù, grazie della fiducia che ci dai, grazie perché la nostra ricerca di Dio non è uno spreco di energie nel vuoto: Tu sei il volto del Padre.

Comunicato stampa per la ripresa delle celebrazioni con presenza di fedeli

Si dispone che da lunedì 11 maggio nella Repubblica di San Marino e da lunedì 18 maggio nei Vicariati italiani della Diocesi di San Marino-Montefeltro si riprendano le celebrazioni liturgiche con la presenza dei fedeli, sia pure in numero contingentato.
Come in precedenti comunicazioni, si raccomanda l’osservanza del Protocollo preparato d’intesa con le Autorità civili e il Comitato Tecnico-Scientifico italiano (cfr. Allegato).
Si insiste sulla necessità di un’accoglienza adeguata e prudente dei fedeli, mentre si raccomanda la sanificazione dell’ambiente dopo ogni celebrazione.
La Comunità cristiana persevera unanime nella preghiera con Maria, in questo mese di maggio, in attesa della Pentecoste, ricordando in particolare gli ammalati e tutti coloro che in questo si impegnano per gli altri. Vi sono tante iniziative di preghiera tra i giovani, le famiglie e gli adulti attraverso i mezzi di comunicazione, con tanti frutti spirituali.
Si ricorda che permane la dispensa dal precetto festivo per motivi di età e di salute.
Si allega un box con le indicazioni igienico-sanitarie e liturgiche più essenziali.

Ufficio Comunicazioni Sociali
Diocesi San Marino-Montefeltro

Omelia nella IV domenica di Pasqua

San Marino Città (RSM), chiesa di San Francesco, 3 maggio 2020

At 2,14.36-41
Sal 22
1Pt 2,20-25
Gv 10,1-10

«Eravate erranti come pecore – dice l’apostolo Pietro nella sua Prima Lettera –, ma ora siete stati ricondotti al pastore e custode delle vostre anime» (1Pt 2,25). Sono parole dolcissime, parole di serenità, pace, tenerezza.
«Eravate erranti come pecore», adesso siete stati ricondotti al pastore, siete tutti sulle sue spalle: tutti siete chiamati dal pastore. Anche nell’omelia della Pentecoste, Pietro dirà: «Per voi, infatti, è la promessa e per i vostri figli e per tutti quelli che sono lontani, quanti ne chiamerà il Signore nostro Dio».
Oggi il tema e l’esperienza dell’essere chiamati è centrale.
Abbiamo letto la bellissima pagina dal capitolo 10 di san Giovanni con l’allegoria del pastore. Non possiamo ignorare il contesto un po’ polemico. Questo scritto è come una bellissima rosa, ma ha le sue “spine”, perché l’allegoria che Gesù adopera è indirizzata ai pastori d’Israele che non compiono la loro missione. Gesù ha in mente il capitolo 34 del profeta Ezechiele, che veniva letto proprio in quel giorno – era la festa della Dedicazione – nella sinagoga e al tempio. Gesù, di fronte ai farisei che non accolgono e non si piegano neppure davanti al prodigio della guarigione del cieco nato, dice: «Siete ciechi. Siete briganti e ladri». La connotazione polemica viene subito temperata da immagini di grande tenerezza, che raccontano la qualità del rapporto che il pastore buono (o bello, come si potrebbe tradurre dal greco) ha con le sue pecorelle, con il suo gregge. La prima immagine che vorrei sottolineare è la voce. Le pecore si sentono chiamare per nome con quella voce riconoscibile fra mille e mille. Torna alla mente quella prima voce, che fu grido, all’inizio della creazione, quando Dio creò l’uomo: «Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza» (Gen 1,26). Soltanto che entriamo nel silenzio della nostra unicità, sentiremo l’eco di quella voce.
Ecco, il pastore chiama le sue pecore per nome. Così l’oracolo del profeta Isaia: «Il Signore dice: ti ho chiamato per nome, tu sei prezioso ai miei occhi» cfr. Is 43,4). Il Salmo 22 che abbiamo sentito cantare poco fa è tutto un inno alla premura che il pastore ha per la sua pecorella: «Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla». Il Signore conosce ciascuna delle sue pecore, se ne prende cura. La vita cristiana si radica nella consapevolezza di essere amati, conosciuti, pensati, voluti dal Signore. Questa mattina il Santo Padre ha esordito dicendo: «Questa è una domenica di serenità, di tenerezza, di pace, proprio nel bel mezzo delle sofferenze che stiamo vivendo». Accanto alla voce del pastore si alzano altre voci che ingannano e seducono. Ulisse si fa legare al palo dei suoi desideri, perché vuol sentire quelle voci.
Il Signore, facendo sentire la sua voce, ci invita a seguirlo. Non posso non ricordare pecore e pastori che venivano, in alcune stagioni, nel mio piccolo paese di campagna. Quando scendevano le greggi c’era tanta festa: era una novità per la cronaca paesana. Noi bambini rimanevamo incantati davanti a questa pacifica invasione. Per gli adulti era anche una benedizione, per il concime che le pecore lasciavano nei campi. Le groppe lanute delle pecore assomigliavano tanto alle onde del Po. Il pastore era inseparabile dalle sue pecore, sempre in piedi, un po’ selvatico, inimitabile nei suoi fischi (che noi tentavamo di imparare). Rovistando tra questi ricordi, mi verrebbe da qualificare l’atteggiamento del pastore con un sentimento che può essere visto negativamente, ma anche positivamente: la gelosia. Il pastore ci appariva così, sempre attento alle sue pecore, sempre all’erta. Anche il buon Pastore ha questo atteggiamento: sa cosa c’è nel nostro cuore e ci sta sempre appresso. Ci conosce, sa il nome di ciascuno di noi, ci tiene uniti. Non c’è sapone che può togliergli di dosso il nostro odore. Non sopporta indiscreti visitatori. Addirittura, finisce per identificarsi con la porta dell’ovile, anzi è l’ovile stesso, nel quale le pecore possono trovare riposo. Le chiama per nome una ad una e «la sua bontà le fa crescere» (Sal 18,36).