14 maggio – Quarta tappa della Via Mariae: Maria offre Gesù

So di cristiani, uomini e donne, che si dispiacciono di non sentire particolarmente presente al loro spirito la Madonna. Qualcosa di simile è accaduto anche ai primi secoli della storia del cristianesimo… Maria – si potrebbe dire – ha lasciato tutto il posto a Gesù, che il mondo doveva riconoscere come il Figlio di Dio. E così succede nelle nostre piccole storie personali. Maria è amata e venerata, ma senza conoscere molto di più di lei e, soprattutto, senza avere instaurato con lei un profondo e intimo rapporto. Ma accade però che nel progresso della vita cristiana Maria appaia con una evidenza nuova. Questo può accadere quando la prendiamo e la vediamo come modello. Allora si comincia a contemplarla come “perfetto cristiano”. Ad esempio, se Gesù è la Parola incarnata, lei ci appare, per la sua fedeltà alla Parola, “Parola vissuta”. Dice il Vangelo che Maria conservava tutte le cose di Dio nel suo cuore, meditandole (cfr, Lc 2,19). Maria, grembo del Verbo, è diventata tutta volontà di Dio vissuta.

Fatta questa precisazione riprendiamo i temi della nostra meditazione. Nella tradizione spirituale cristiana ci sono stati dei maestri che hanno rappresentato l’itinerario spirituale come una scala (San Romualdo, fondatore dei Camaldolesi), o come la salita ad un monte (Giovanni della Croce nella “Salita al Monte Carmelo”) oppure come un grande castello con tante stanze una dopo l’altra (Santa Teresa d’Avila nel “Castello interiore”). Effettivamente la nostra spiritualità conosce diverse “tappe”; tappe obbligatorie, anche se ognuno le vive a modo suo. In queste tappe si ravvisa una sintonia con la Madonna. Per questo abbiamo “infilato”, per così dire, alcuni episodi della vita della Madonna e li abbiamo applicati a noi. Nelle scorse sere abbiamo parlato di Annunciazione. Il Signore ha aperto anche a ciascuno di noi una strada, una possibilità unica di vivere pienamente la nostra vocazione: è il momento del “fiat”, del “sì”. Poi la Visitazione. Maria ha trovato in Elisabetta un’anima aperta, amica, e, facendo unità con lei, le è venuto di dare voce al canto del “Magnificat”, lode a Dio per tutte le cose grandi che faceva in lei. È il momento della testimonianza in cui il cristiano si dichiara coraggiosamente, perché dà atto di tutto quello che il Signore fa nella sua vita. Nella famiglia ci sono tante occasioni per raccontare il proprio cammino spirituale: comunicare la vita! Da Maria nasce Gesù. Quando si vive insieme ad altri la fede – in famiglia, in comunità, in parrocchia – si prende coscienza d’essere grembo che genera Gesù: è il momento nel quale si apprezza l’unità superando l’individualismo.

Questa sera accenniamo ad un’altra tappa, un altro gradino per progredire nella vita cristiana. Maria, insieme a Giuseppe, porta il bambino al Tempio per offrirlo al Signore. È il momento di un certo distacco (ma Dio, se chiede, è per dare!). Quel bambino appartiene al Padre Celeste. È stato dato non per essere possesso di quella santa coppia! Maria e Giuseppe devono imparare a cedere “i loro diritti”. Quel bambino non è loro proprietà. Su di lui Dio ha un progetto ben preciso, un progetto a vantaggio di tutti. Per mamma e papà questa è una tappa molto impegnativa. Ma il tema dell’offerta va oltre alle dinamiche famigliari. Il cristiano fa di tutta la sua vita un’offerta. Sa che non deve trattenere per sé quello che gli è stato dato in dono. «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10,8). Chi arriva a questo gradino della vita cristiana fa un’esperienza di libertà. Il Signore, poi, «ama chi dona con gioia» (2 Cor 9,7). È proprio vero: «C’è più gioia a dare che a ricevere» (At 20,35).

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Nella giornata di domani proviamo a vivere l’atteggiamento di offerta, anche nelle cose piccole, nel fare un servizio, nell’alzarsi in piedi per primi…
Continuiamo il gioco del “prediletto” della Madonna nella nostra famiglia.

Settimana Laudato Si’ 2020

“Oggi comincia la Settimana Laudato si’, che finirà domenica prossima, nella quale si ricorda il quinto anniversario della pubblicazione dell’Enciclica. In questi tempi di pandemia, nei quali siamo più consapevoli dell’importanza della cura della nostra casa comune, auguro che tutta la riflessione e l’impegno comune aiutino a creare e fortificare atteggiamenti costruttivi per la cura del creato.”

Papa Francesco,  17 maggio 2020

 

Carissimi sacerdoti,
stiamo per celebrare il quinto anniversario della Laudato Si’, l’enciclica di Papa Francesco sulla cura della nostra casa comune firmata il 24 maggio 2015 che ci incoraggia a riflettere sui valori che condividiamo e a creare un futuro più giusto e sostenibile.
Durante la Settimana Laudato Si’ i cattolici di tutto il mondo si uniscono spiritualmente attraverso la preghiera per riconoscere che “tutto è connesso”: il modo in cui trattiamo Dio, la natura e gli uni gli altri.
In questo momento, segnato da una crisi che passerà alla storia, ispirati dallo Spirito Santo è necessario riflettere e prepararsi per costruire un mondo migliore.

Alleghiamo il video invito di Papa Francesco: https://youtu.be/X4NZPfZLQUY

Papa Francesco ti invita a celebrare il 5° anniversario della sua Enciclica Laudato Si’! Unisciti a migliaia di cattolici di tutto il mondo per proteggere l…
 

Certi della vostra sensibilità, affidiamo alla preghiera vostra e della vostra comunità questa intenzione nella Settimana Laudato Si’.
Un caro saluto

Commissione diocesana Pastorale Sociale e Lavoro

Omelia nella VI domenica del Tempo di Pasqua

San Marino Città (RSM), chiesa di San Francesco, 17 maggio 2020

At 8,5-8.14-17
Sal 65
1Pt 3,15-18
Gv 14,15-21

Come ci è stato ricordato all’inizio della celebrazione eucaristica, oggi il Vangelo ci mette nell’atmosfera dell’Ultima Cena. Gesù è consapevole di quello che sta per succedere, gli Apostoli un po’ meno… ma sono gravati da un certo clima di mestizia. Gesù conforta, consola gli Apostoli. Qualcuno potrebbe farsi una domanda: «Come si fa a consolare mettendo avanti la necessità di osservare i comandamenti?». Non si consola segnalando i doveri, semmai offrendo compagnia. In verità, Gesù non raccomanda l’osservanza di comandamenti; inizia questa parte del discorso semplicemente con una constatazione: «Se mi amate, osservate i miei comandamenti» (cfr. Gv 14,15). Nel contesto è tutt’altro che una ingiunzione o un ricatto, è un’affermazione: «Se mi amate, entrate in questa dinamica che io vi propongo… ». La parola “amore” è un po’ consumata, a volte abusata. Fino a questo punto del Vangelo Gesù non ha chiesto amore verso di sé; anzi, ha chiesto ai discepoli che si amino tra loro come lui ama. Ha chiesto e ha indicato l’amore del Padre, ma non per sé. Adesso lo chiede. «Se farete questo passo, se entrerete in questa logica – dice – vi troverete dentro ad un “ambiente divino”, ad una esperienza nuova». A tutti noi è capitato, quando ci siamo messi ad amare, di far risplendere il sole nelle nostre anime; tutto si è caricato di luce, di calore, di gioia. È un’esperienza possibile a tutti, perché chi ama è in Dio. Penso alle nostre giornate; ci capita di vivere momenti di buio, di oscurità, per tanti motivi. Se riusciamo ad uscire da noi stessi, dal guscio del nostro ripiegamento, troviamo la via d’uscita, quella che non pensavamo. Altre volte siamo sotto il peso della nostra inadeguatezza; ad esempio sei una mamma o un papà, un insegnante o un sacerdote e ti senti impari rispetto a quello che ti è chiesto. Ama. Su questo puoi contare, di amare sei capace, siamo fatti per amare. Così anche quando sentiamo le conseguenze di un errore, di uno sbaglio che abbiamo fatto, in quel momento se ci mettiamo subito fuori da noi stessi per amare, possiamo ricominciare. Ricominciare sempre. Quando Gesù parla dei comandamenti non si riferisce tanto ai comandamenti di Mosè; quelli sono universali e sono sempre da osservare. Gesù parla della sua logica, della sua mentalità. Parla di sé in fondo. In un altro punto dirà: il comandamento “mio” e “nuovo” (cfr. Gv 13,33). Il comandamento è lui, la sua persona: «Io sono la via, la verità e la vita. Se mi amate, vivrete come me, vivete in me, vivete me» (cfr. Gv 14,6). Possiamo vivere Gesù. Una frase di sant’Agostino che spesso viene citata è: «Ama e fa’ ciò che vuoi». Va capita bene, mettendola nel contesto. Sant’Agostino, in quella pagina, riferisce delle nostre incertezze, delle nostre scelte, dei bivi davanti ai quali tante volte ci troviamo: «Devo parlare o è meglio tacere? Devo andare o è meglio restare?». Sant’Agostino dice: «Tu hai il criterio fondamentale del discernimento. Se ami, se veramente nella tua coscienza senti che sei “fuori di te”… fa’ quello che vuoi, perché se ami veramente non puoi fare del male».
Poi, Gesù parla di un intrecciarsi di relazioni, quasi un “avvitamento”. Sembra un gioco di specchi: noi in lui, lui in noi, il Padre in lui e in noi, noi e Gesù nel Padre. C’è una spirale e tutti siamo dentro, immersi, uniti: un circuito d’amore. Gesù sta per fare una grande rivelazione: osa l’avventura dell’amicizia. L’amico dice tutto. Molti ammirano Gesù come Maestro, molti ne hanno una grande considerazione per il patrimonio che ha lasciato all’umanità. C’è chi lo adora ed è giusto. Ma tanti restano al di qua. Guardano Gesù come si guarda un esempio, ma non si lasciano catturare dalle sue parole, che invitano ad entrare nella relazione trinitaria. Qui Gesù rivela che Dio è Trinità d’amore: Padre, Figlio e Spirito Santo. Tante volte pronunciamo questi nomi: ogni volta in cui facciamo “il segno della croce”, il segno che ci unisce come cristiani. Nominiamo il Padre toccando la fronte, nominiamo il Figlio quando la mano scende sul petto e lo Spirito Santo quando tocchiamo le spalle. Gesù rivela la presenza dello Spirito Santo, lo chiama Paraclito, avvocato. Talvolta in parrocchia parlavo della Trinità e un amico ogni volta mi diceva: «Sono concetti troppo teologici…» e intendeva astratti. Ma la nostra fede è tutta racchiusa qui: essere ammessi a partecipare alla vita di “quei tre” e avere anche un rapporto differenziato con loro. È lo stesso Dio, un solo Dio ma in tre Persone. Le rende una cosa sola l’amore, un amore infinito, un amore “da Dio”. Ognuno è perduto nell’altro. Questa non è pura contemplazione astratta, misticismo, perché ha delle conseguenze formidabili. Anche noi siamo stati pensati, costruiti, creati con questo criterio. Anche per noi la vita è piena quando è vita di relazione, quando ci superiamo per uscire da noi stessi ed amare. Se uno studia un po’ di teologia spirituale si imbatte nella testimonianza dei grandi mistici. I grandi mistici sono stati dei grandi imprenditori, dei grandi costruttori. Teresa d’Avila vede la vita cristiana come un castello meraviglioso. La settima stanza, l’ultima, è quella dell’intimità gioiosa con lo Sposo, il Signore. E conclude dicendo: «È il momento in cui la persona che è arrivata lì compie opere ed opere». Domani ricorderemo i cento anni della nascita di san Giovanni Paolo II. Quando venne nella mia città restammo sorpresi di come pregava e come trascinava tutti noi nella preghiera, ed era un uomo sicuramente non fuori dal mondo, non campato in aria.
Vi auguro una buona settimana. In Italia sarà la prima della fase 2, mentre a San Marino la stiamo già vivendo. Fase rischiosissima, ma noi per la carità e l’amore reciproco cercheremo di osservare tutte le precauzioni. La distanza tra noi è per essere più uniti, è un atto d’amore concreto, un servizio che facciamo alla nostra comunità.

Omelia nel Trigesimo della morte di S.E. Mons. Mariano De Nicolò

Pennabilli (RN), Cattedrale di Pennabilli, 14 maggio 2020

At 1,15-17.20-26
Sal 112
Gv 15,9-17

1.

Gesù è nostro amico! Ciascuno di noi è l’amico di Gesù. Abbiamo consapevolezza della enormità di questa affermazione?
La parola “amico” è di una portata unica. Abbiamo centinaia di amici nelle relazioni sociali. Abbiamo colleghi o collaboratori che chiamiamo amici. Ma un vero amico è raro e infinitamente prezioso. Con lui si condivide tutto con la parola e col silenzio. L’amico non giudica. C’è. È fedele. Che tesoro e che fortuna avere un amico (cfr. Sir 6,14)!
E Gesù si rivela proprio come amico. Osa, con l’uomo, osa proprio con me, l’avventura dell’amicizia. Lui arriverà sino a confidare ciò che ha di più intimo del suo essere: la relazione d’amore e di vita col Padre e con lo Spirito, un circuito soprannaturale d’amore al quale ci invita. «Non vi chiamo più servi, ma amici» (Gv 15,15). «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi» (Gv 15,16). Si capisce come gli apostoli, mossi dallo slancio missionario, hanno portato la rivelazione di Dio Amore fino agli estremi confini del mondo.

2.

Oggi la Chiesa festeggia uno di loro: l’apostolo Mattia. Non era originariamente del gruppo dei Dodici. Ma è stato chiamato perché divenisse testimone della risurrezione. Era tra i discepoli che avevano seguito Gesù dal Battesimo di Giovanni fino al giorno in cui Gesù fu assunto in Cielo. Fu chiamato dagli apostoli al posto di Giuda il traditore, perché fosse associato fra i Dodici e divenisse partecipe della loro missione e della loro prerogativa. Nella Chiesa questa chiamata ad essere testimone della risurrezione accade ogni volta che un fratello viene chiamato all’episcopato. Una responsabilità per lui, un dono per il popolo di Dio.

3.

Questo, per esempio, è accaduto tra noi con l’invio, da parte di san Giovanni Paolo II, di mons. Mariano De Nicolò a presiedere, guidare e santificare la Diocesi di San Marino-Montefeltro. Il suo nome è inciso nella grande lapide nel protiro del Vescovado. Ma il suo nome è impresso soprattutto nella memoria e nel cuore di tanti di noi. Del suo slancio apostolico, del suo indirizzo pastorale, delle sue cure e della sua preghiera dal Cielo gode ancora la nostra Chiesa. Così raccomanda l’autore della Lettera agli Ebrei: «Ricordatevi dei vostri capi, i quali vi hanno annunziato la parola di Dio; considerando attentamente l’esito del loro tenore di vita, imitatene la fede» (Ebr 13,7).
Tra le tante mansioni a cui monsignor Mariano si è dedicato nella “casa del Signore” – alcune prestigiose – brilla il suo ministero episcopale a Rimini. Tante le iniziative pastorali. Tanta la creatività. Tante le opere. Noi vogliamo ricordarlo per la più bella: aver frequentato (da vescovo di Rimini) con lo stesso entusiasmo e la stessa intraprendenza la “periferia” del Montefeltro.
Lo ricordiamo per la sua personalità grandemente intelligente e fortemente impegnata, non solo nella cura pastorale, ma anche nelle discipline canoniche. Lo ricordiamo, dicevo, per la sua immancabile presenza a Pennabilli e per la sua dedizione. Sue caratteristiche: temperamento austero e paterno insieme, presenza imponente ma cordiale, deciso ma di grande equilibrio. Comprensivo e incoraggiante, raccoglieva stima e trasmetteva sicurezza.
Gli ho fatto visita più volte ricevendo sempre una ospitalità cortese e persino festosa. Ricordava ogni volta il tempo del suo servizio pastorale in terra di Montefeltro. Più di me dovrebbero scrivere e parlare i sacerdoti e i fedeli che l’hanno conosciuto da vicino.

4.

L’11 aprile ha suonato la campana grande della cattedrale di Pennabilli: suona solo alla elezione e alla morte di un suo vescovo. Annunciava la morte di un “testimone della risurrezione”, di mons. Mariano De Nicolò.
È sorprendente, forse è un privilegio, che il passaggio del vescovo Mariano da questa terra al Cielo sia accaduto il Sabato Santo.
Gli ultimi anni della sua vita possiamo considerarli come il suo Venerdì Santo. Anni di purificazione, ma soprattutto di conformazione, sempre più profonda, al Cristo sacerdote e vittima, sofferenze che impreziosiscono il vivere di ogni cristiano e accomunano pastore e fedeli, eliminando differenze e mettendo in luce l’intimo di ogni cuore nell’amore più autentico e nella cooperazione generosa alla missione redentrice del Signore.
Ai rintocchi della grande campana la Diocesi si è messa in preghiera ringraziando del bene che il Signore ha concesso al vescovo Mariano e ringraziando del bene che gli ha concesso di svolgere nella Chiesa di San Marino-Montefeltro come suo pastore. Non ci fu possibile partecipare al suo funerale. Lo ricordiamo oggi nel Trigesimo. Lo ricorderemo insieme ai nostri cari che non abbiamo potuto salutare come meritava e come desiderava il nostro cuore. Accogli, Signore, la nostra preghiera per tutti i defunti. Aumenta la nostra fede per continuare a spenderci e a donarci per i nostri fratelli. Tutti fratelli. Ce lo ricordava ancora una volta papa Francesco proprio questa mattina aprendo questa Giornata, dedicata con tutti i credenti, al digiuno ed alla preghiera per scongiurare la fine di questa pandemia e dei tanti altri “virus” che affliggono l’umanità. Affidiamo la nostra preghiera all’intercessione di Maria, la Madre di Gesù. Così sia.

12 maggio – Terza tappa della Via Mariae: la Natività

La terza tappa della strada che percorre Maria è quella del gaudio per la nascita del suo bimbo Gesù. Maria, nel momento del parto, consegna all’umanità il Figlio di Dio. Questo donare Gesù al mondo da parte di Maria è l’esperienza tipica della Chiesa che si ripete nei secoli: portare il Signore, offrire la sua presenza. È ciò che il mondo attende ed è ciò che la Chiesa può dare veramente, perché la Chiesa è sacramento dell’incontro con Cristo. La vita cristiana è vivere la Chiesa così.
La fede ci spinge a costruire rapporti fra di noi in cui abita Gesù stesso. Quando dico “Chiesa” intendo la nostra parrocchia, le nostre comunità, la nostra famiglia; esse sono un grembo che ha questa vocazione: donare Gesù oggi. Questa è l’urgenza più importante che la Chiesa ha: dare la testimonianza, una testimonianza che vale più di tutto, più dei muri delle chiese e più di qualsiasi altra opera.
Come il cristallo in ogni suo frammento ha la stessa struttura molecolare, così la comunione ecclesiale sussiste in ogni comunità. Ogni comunità è grembo che genera Gesù nel mondo. Vale la pena fare il possibile per creare luoghi di fraternità, che siano significativi per la presenza di Gesù.

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Propongo per la giornata di domani di ricordare il dovere della testimonianza. La prima forma della testimonianza è l’amore reciproco: «Da questo conosceranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,35).
Come ogni sera, ripetiamo il gesto di scegliere un biglietto per vedere chi è il “prediletto” della Madonna nella giornata di domani. Il gioco continua…

11 maggio – Seconda tappa della Via Mariae: la Visitazione

Abbiamo detto che la nostra vita cristiana ha delle tappe – speriamo sempre in crescita – che possiamo rintracciare nella vita della Madonna. La vita della Madonna diventa lo specchio del nostro itinerario. Ieri abbiamo parlato dell’Annunciazione; anche noi abbiamo, nella nostra esperienza cristiana, dei momenti che configuriamo come “annunciazione”; ad esempio il nostro incontro personale con Gesù, o il momento della riscoperta della nostra fede, in cui il “sì” è divenuto veramente consapevole. L’inizio ha sempre una grazia speciale. Oggi vediamo una seconda tappa nella vita cristiana; la ravvisiamo nel racconto evangelico della Visitazione di Maria ad Elisabetta. La fede, infatti, si manifesta nella dimensione della reciprocità. L’incontro fra le due madri è ricco di suggestioni: Dio fa visita al suo popolo attraverso il bimbo che Maria porta in grembo. È la Visitazione di Maria ad Elisabetta, ma è anche la Visitazione di Dio al suo popolo. Giovanni, non ancora nato, danza davanti al Messia nascituro. Il clima di quell’incontro sembra riportarci alla gioia del re Davide e di Gerusalemme quando viene accolta l’arca dell’Alleanza. Le due mamme ci ricordano come anche noi viviamo della fede degli altri. Non sarei credente se non avessi avuto una famiglia, una comunità, delle persone che mi hanno trasmesso la fede. Maria ed Elisabetta fanno a gara a cogliere l’una nell’altra l’azione di Dio. Allo stesso modo la presenza dei fratelli accanto al nostro cammino di fede ci fa attenti a non chiuderci nel rischio del soggettivismo e dell’individualismo. Il noi della fede è la casa della fede personale. Non per niente la prima parte del Catechismo della Chiesa Cattolica inizia con l’espressione: «Io credo, noi crediamo».

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Quale potrebbe essere una prospettiva per noi? Essere consapevoli della dimensione comunitaria della fede. La fede la si vive insieme. In concreto, propongo che in famiglia non solo si preghi insieme qualche volta, ma che ci si dichiari il patto dell’amore reciproco oppure si ricordi il brano di Vangelo della domenica precedente, facendone oggetto di una reciproca intesa.
Continuiamo il “gioco del prediletto della Madonna”.

10 maggio – Prima tappa della Via Mariae: l’Annunciazione

Imitare non è copiare: ciò che va cercato non sono né la cultura, né lo stile di un’epoca. Né bisogna confondere l’immagine di Maria e i suoi valori permanenti con le sue raffigurazioni culturali o i cliché delle varie epoche storiche. Quando si hanno stima e amore per una persona si tende ad essere e a fare come lei.

Possiamo ritrovare nella vita di Maria le tappe che caratterizzano il cammino di fede di ogni discepolo, uomo o donna, giovane o adulto, laico o consacrato.

C’è un momento nella vita di ogni cristiano, nel quale si sente l’irruzione di Dio; è il momento dell’incontro decisivo, che segna una svolta o chiede una scelta. Quel momento assomiglia all’Annunciazione. Messi davanti a Dio, si intuisce una chiamata. Si sente il peso della responsabilità, si avverte l’inadeguatezza, prende il timore di non potercela fare. È una situazione che talvolta si protrae nel tempo. Altre volte è l’inatteso che balena nel cuore. Rompendo ogni indugio, nella fiducia in Dio, con la compagnia di chi sta accanto, come Maria si dice «sì».

Allora si sperimenta con Maria che la chiamata del Signore è una creazione: al timore subentra la gioia, all’incertezza l’intraprendenza, al ripiegamento su di sé l’apertura coraggiosa all’altro e al mondo. La grazia della vocazione va custodita, è una risorsa per i momenti difficili, soprattutto va corrisposta ogni giorno. La grazia dell’inizio non è altro che la fedeltà di Dio, che non viene mai meno e dà gioia.

Alla luce delle Scritture un’intuizione spirituale vede la storia segnata da tre fiat (“si faccia”): il fiat della creazione, il fiat di Gesù nel Getsemani, il fiat di Maria. Ma la storia è segnata anche dai nostri piccoli e grandi fiat. Aiuta pensare che la nostra vita, le nostre imprese, il nostro lavoro, il nostro matrimonio, la nostra consacrazione al Signore, le nostre responsabilità sono vocazione, risposta ad una chiamata, collaborazioni al progetto di Dio. E Dio è fedele e non fa mancare tutti gli aiuti necessari. Questo è quello che chiediamo nella preghiera quotidiana del Padre Nostro: «Fiat voluntas tua».

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Stasera propongo una piccola iniziativa. Prendiamo una ciotola e mettiamovi dentro tanti biglietti quanti sono i componenti della nostra famiglia. Ogni biglietto contiene un nome. Stasera peschiamo un biglietto: la persona sorteggiata sarà la “prediletta” della Madonna nella giornata di domani. Un piccolo gioco per ricordarci di pregare gli uni per gli altri.

 

9 maggio – Nazaret: Preghiera e silenzio

Maria e Giuseppe prendono poco a poco coscienza che il loro figlio ha una paternità misteriosa ed una missione da compiere. Lo accompagnano con discrezione verso la piena autonomia. È proprio dell’amore vero fare spazio ai figli perché possano realizzarsi pienamente trafficando i loro talenti.

Nella casa di Nazaret si prega. Maria ha la visione di un angelo, ma sarà per una volta sola. Luca, che ci riferisce l’episodio, annota che dopo l’annunciazione «l’angelo partì da lei» (Lc 1,38). Non ci saranno su quella casa svolazzi di angeli, ma tutto trascorrerà nella più grande normalità.

La famiglia di Nazaret ci parla delle piccole e grandi cose della vita, con le sue complessità, le sue gioie e i suoi dolori, che costituiscono la trama del vivere quotidiano. Nazaret ci dà una lezione su Dio: Dio è colui che appare nella semplicità, che si fa vicino alle nostre vite che non hanno nulla di sensazionale e non fanno storia.

Talvolta Nazaret viene dipinta come ideale di vita umile e nascosta, e, per Gesù, come tempo di preparazione alla missione. In realtà, a Nazaret risplende in tutta la sua meraviglia la verità dell’incarnazione. Il Figlio di Dio, il Verbo incarnato, vive le nostre giornate. Nazaret, dove Gesù sta con Maria e Giuseppe, è già missione redentrice in atto. Nazaret proclama, con un silenzio assordante, che il Regno di Dio è già presente. Se si togliesse Nazaret dai Vangeli l’enfasi della rivelazione sarebbe tutta sui gesti miracolosi e sui grandi discorsi. Perderemmo parole di Gesù su famiglia, lavoro e relazioni.

«Gesù intanto cresceva in sapienza, età e grazia, presso Dio e presso gli uomini» (Lc 2,52).

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Quella che stiamo vivendo in questo momento è una circostanza in cui la famiglia prega riunita insieme. Momento significativo, preziosissimo, educativo…
Così avveniva ai primi tempi del cristianesimo: osservate i racconti del libro degli Atti degli Apostoli.
Proviamo a valorizzare qualche altro momento di preghiera in famiglia, anche quando finirà il mese di maggio, ad esempio la sera, prima dei pasti, mentre andiamo al lavoro, ecc. Potrebbero essere i più piccoli a intonare la preghiera, proprio come nella casa di Nazaret in cui il più piccolo è il più importante.

8 maggio – Maria-Giuseppe-Gesù: i rapporti

Entriamo ora nella casa della Santa Famiglia. Osserviamo anzitutto i rapporti fra le persone che vi abitano: Giuseppe, Maria, Gesù. Il più grande – Gesù – è obbediente al più piccolo – Giuseppe. Maria, la mamma, osserva e custodisce ogni avvenimento nel cuore. Giuseppe è premuroso custode di tutti. Maria e Giuseppe sono sposi a tutti gli effetti. Vivono nel rispetto reciproco, ma nella più piena unità. I loro giorni e i loro destini si intrecciano. Matteo racconta l’annunciazione a Giuseppe, Luca a Maria. Non c’è contraddizione: Dio parla alla coppia.

L’indirizzo che Maria e Giuseppe danno alla loro famiglia la rende aperta, ricca di relazioni. Partecipano ai pellegrinaggi e alle feste di paese. Salgono al tempio di Gerusalemme. Condividono le vicende di famiglia con i parenti e i conoscenti: si fidano, pensano Gesù dodicenne al sicuro tra loro. Nel rimprovero che Maria rivolge a Gesù c’è tanta considerazione per il ruolo di Giuseppe: «Tuo padre ed io ti cercavamo…» (Lc 2,48). Maria e Giuseppe – come abbiamo già visto – sanno affrontare le prove con coraggio e determinazione nell’amore e nella stima reciproca: dalla imbarazzante maternità al parto in condizioni difficili, dall’inseguimento della gendarmeria di Erode alla fuga in Egitto, dal rientro nella povertà di Nazaret al lavoro che procura sudore e calli alle mani.

Dagli accenni dei Vangeli possiamo, dunque, ricostruire anche il profilo umano di Maria. La sua impronta è ben visibile nell’umanità stessa del figlio Gesù. Quanta premura e quanta finezza educativa! Significative le sfumature che si intravvedono nei rapporti che si vivono in quella casa. Quel ragazzo dodicenne, a differenza del giovane Samuele, non resta al tempio. Deve occuparsi delle «cose del Padre suo», ma va a Nazaret, sottomesso a Giuseppe e a Maria. Per Gesù neppure un giorno di Seminario; il suo Seminario è la casa di Nazaret!

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Per rendere sempre più belle le relazioni in famiglia ci riproponiamo le tre parole che papa Francesco ci ha ricordato più volte: «Permesso, grazie, scusa».

7 maggio – Maria accanto a Gesù

Negli anni della vita pubblica di Gesù, Maria compare fugacemente, silenziosa come una discepola discreta. «Chi è mia madre?» (Mc 3,33), dirà un giorno Gesù allorché gli riferiscono la sua presenza tra la folla. La risposta è il più bell’elogio fatto a Maria: è sua madre perché ascolta la Parola e la vive.

La troveremo, poi, ai piedi della croce, momento straziante della sua esperienza di madre. Ce ne dà notizia l’evangelista Giovanni. Non fu facile credere che il bimbo uscito da lei era Figlio di Dio. Che pensare, poi, davanti al Figlio inchiodato sulla croce? Dalla croce Gesù affida Maria al discepolo e il discepolo alla Madre. Quel discepolo – quello che Gesù amava – ci rappresenta tutti. Dice il Vangelo: «La prese nella sua casa» (Gv 20,27). Maria sarà con Giovanni e poi con gli altri discepoli e con le donne nel Cenacolo dopo la risurrezione di Gesù.

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Vi invito a scrivere su un foglio la parola più bella, quella a noi più cara, pronunciata da Gesù. Mettiamola in evidenza nelle nostre case. Potrebbe essere una frase presa dalla liturgia del nostro matrimonio o una frase proclamata nella Messa di domenica scorsa… I bambini potrebbero disegnarla e anche ornarla. Ma quello che è più importante è credere che è vera e accettare la sfida: viverla. Ecco, l’impegno per la giornata di domani: essere “mariani”, come Maria vivere le parole di Gesù. Allora ci sentiremo dire dal Maestro: «Mi sei madre, mi sei fratello, mi sei sorella» (Mc 3,35).