Inizio anno accademico 2018/19

Riparte l’attività di formazione e ricerca dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose “A. Marvelli” (istituzione accademica delle diocesi di Rimini e di San Marino-Montefeltro, collegata alla Facoltà Teologica dell’Emilia Romagna – Bologna). Presso l’ISSR, sito nell’antica dimora monastica sul colle Covignano di Rimini, è possibile intraprendere diversi percorsi di riscoperta dei preziosi tesori della sapienza e della tradizione spirituale cristiana. L’ISSR costituisce un unicum sul nostro territorio per ampiezza delle proposte, sistematicità di approccio, qualità scientifico-didattica e completezza di sguardo sui diversi versanti della cultura religiosa.

L’offerta formativa comprende 4 proposte: un ciclo Triennale di I livello (che consente il conseguimento di una Laurea triennale in Scienze Religiose); un biennio di Specializzazione, nell’indirizzo Pedagogico-Didattico (Laurea Magistrale in Scienze religiose ); un Master universitario di I livello in “Valorizzazione dell’Arte Sacra e del Turismo religioso”; un Corso di Alta Formazione in “Dialogo Interreligioso e Relazioni Internazionali” (che sarà attivato da quest’anno accademico 2018-2019 in collaborazione con l’Università degli Studi di San Marino).

Nell’attuale contesto culturale e sociale caratterizzato da un lato dalla crescente rilevanza pubblica del fenomeno religioso, e dall’altro, da una scarsa e confusa conoscenza religiosa e interreligiosa, l’Istituto offre l’opportunità di una conoscenza integrale, allargando gli spazi della razionalità, per riaprirla alle grandi questioni del vero, del bene e del bello, coniugando tra loro la teologia, la filosofia e le scienze, nel pieno rispetto dei loro metodi propri e della loro reciproca autonomia, ma anche nella consapevolezza dell’intrinseca unità che le tiene insieme.

Grazie anche alla preziosa collaborazione di qualificati docenti specialisti nelle varie aree disciplinari, i diversi percorsi formativi consentono di accedere a una conoscenza sistematica e scientifica della tradizione ebraico-cristiana e della teologia cattolica, a partire dai fondamenti storici, biblici, dottrinali, liturgici, etici e spirituali, nel confronto e nel dialogo con le altre tradizioni culturali e religiose. Accanto ai percorsi accademici si offrono durante l’anno anche corsi speciali di lingue bibliche (ebraico e greco) e diverse attività culturali integrative: seminari di studio, convegni, conferenze, coinvolgendo studiosi ed esperti di rilevanza nazionale e internazionale.

Alla luce delle crescenti sfide culturali ed educative alle quali siamo oggi chiamati, sollecitati anche dal rapido espandersi della società multietnica e multireligiosa, l’ISSR offre pertanto un suo specifico contributo di qualificazione culturale e professionale su versanti della formazione e della ricerca generalmente molto trascurati anche dalle Università italiane.

Coloro che non intendono conseguire il titolo accademico possono comunque frequentare (in qualità di studenti ospiti- uditori) anche singoli corsi del piano di studi, sulla base dei loro interessi e delle specifiche esigenze formative.

Le iscrizioni sono aperte dal 1 Settembre al 15 Ottobre 2018

Informazioni più dettagliate (discipline, docenti, orari, convegni e seminari, ecc.) sono sempre disponibili sul sito internet: www.issrmarvelli.it.

La Segreteria (aperta dal Lunedì al venerdì) è presso la sede dell’ISSR, via Covignano, n.265, 47923 Rimini; tel. (e Fax) 0541-751367 – email: segreteria@issrmarvelli.it.

Messaggio dei Vescovi al Popolo di Dio delle Chiese dell’Emilia Romagna

Carissimi parroci, cari fratelli e sorelle,
condividiamo la grande preoccupazione e il dolore espresso da Papa Francesco con la “Lettera al Popolo di Dio” — sofferto invito ad una conversione personale e comunitaria — che vi invitiamo a leggere e meditare, nelle parrocchie, nei consigli pastorali e nei gruppi di famiglie. Egli ci chiede di soffrire insieme a tutto il corpo per aiutarlo.
L’impegno a combattere gli abusi sui minori e sulle persone vulnerabili, sia di potere che sulla coscienza che sessuali, da parte di chierici o di laici nella Chiesa, nella società e nelle famiglie, ci deve vedere uniti. Uniti nella preghiera e nella penitenza, perché le sofferenze delle vittime, che non si cancelleranno, siano condivise e non si ripetano. Perché il male non sia più nascosto ma opportunamente denunciato. Perché il perdono e la guarigione dalle ferite, che pure invochiamo da Dio, con la riparazione del danno, non siano un alibi, ma stimolo a mettere in atto una conversione di tutta la comunità cristiana e della società civile, perché si prendano le misure educative e operative per una prevenzione ampia ed efficace.
Nessuno deve essere coperto o giustificato, qualsiasi ruolo svolga. Il bene dei minori e dei più deboli deve stare sopra a tutto. Molto dipenderà dai genitori, dagli educatori, dagli insegnanti, dai sacerdoti, dai catechisti: la cura, la protezione, la vigilanza, la formazione propria e dei ragazzi o degli adolescenti, deve creare ambienti e atteggiamenti di vera tutela e deve portare i minori a imparare a difendersi, a reagire, trovando adulti accoglienti e pronti ad ascoltarli e a intervenire.
Come Vescovi della Regione ecclesiastica, in linea con quanto sta preparando la Chiesa italiana, abbiamo già predisposto un percorso di formazione che permetterà di avere in ogni diocesi alcune persone (quasi tutti laici e laiche) che potranno essere referenti e promotori dei cammini diocesani di formazione e prevenzione per la tutela dei minori.
Invitiamo le comunità cristiane in questo inizio dell’anno pastorale a creare occasioni di preghiera e digiuno, di riflessione, di penitenza, per essere uniti al nostro Papa Francesco nel suo indiscusso impegno a fare verità e giustizia dentro e fuori la Chiesa. E rinnoviamo il pieno e filiale sostegno al suo servizio fondamentale alla comunione e all’evangelizzazione.

I Vescovi dell’Emilia Romagna

Discorso al termine della processione nella solennità di San Marino

Cari amici,
siamo reduci da un’estate segnata da tante disgrazie. Basti pensare all’esplosione in autostrada a Borgo Panigale (BO), al terribile crollo del ponte autostradale di Genova e, in questi giorni, al crollo, del tutto imprevedibile, del tetto di una chiesa nel centro di Roma. Pensiamo anche alle vittime di eventi naturali. Esprimiamo la nostra solidarietà ai famigliari delle vittime e sostegno a chi deve ricostruire. Preghiamo!
Un’estate segnata anche da tanti abusi. Gravi sempre, gravissimi quando vengono da chi è ministro del Signore. Pensiamo alle vittime, soprattutto bambini e adolescenti. Come membra di un solo corpo facciamo preghiere e penitenze per la conversione di tutti. Esprimiamo solidarietà e comunione piena al Santo Padre, papa Francesco; sentimenti che gli ho espresso in un telegramma a nome mio e della diocesi. Papa Francesco è per tutti noi il riferimento per purificare e rinnovare la Chiesa.

Omelia nella Solennità di San Marino

San Marino Città (RSM), 3 settembre 2018

Sir 14,20-15.4
Sal 47
At 2,42-48
Mt 5,13-16

(da registrazione)

Saluto gli Ecc.mi Capitani Reggenti e tutte le autorità civili e militari. Rivolgo un saluto particolarissimo alla Delegazione della città di Arbe qui convenuta per onorare san Marino, antico loro concittadino, e per ricordare i cinquant’anni del gemellaggio fra Arbe e la Repubblica di San Marino: benvenuti!

Avrete notato che il diacono, prima di aprire il libro delle Sacre Scritture, ha dovuto slegare i lacci che lo tengono chiuso. Slegare, aprire i sigilli è un’azione simbolica per indicare la preziosità della Parola di Dio: nessuna parola dovrebbe andare sprecata.
Mi limito a meditare insieme a voi appena una riga, quella che ha aperto la liturgia della Parola: «Beato l’uomo che medita sulla sapienza e ragiona con l’intelligenza e considera con il cuore» (Sir 14,20-21).

1.
San Marino, uomo di preghiera, ha saputo stare di fronte alla Sapienza; per lui la Sapienza era una persona, Gesù Cristo, e il suo Vangelo. Come Mosè sul monte fu tutto illuminato da quell’incontro (cfr. Es 33,34) e ne emanava il chiarore, così san Marino continua ad irradiare la grande luce del Vangelo: Dio è Padre, ci ama immensamente, ogni uomo mi è fratello!
Dalla tradizione sappiamo che Marino tradusse questa contemplazione in progetti di convivenza sociale concreti, intelligenti e saggi, fondamenti di quella che sarà la nostra amata Repubblica: fraternità, libertà, ospitalità.
I padri hanno visto in lui anche le “ragioni del cuore” realizzate: l’amicizia sociale, la ricerca del bene comune, la preziosità del sacrificio, la benevolenza.

2.
Noi amiamo la nostra Repubblica. Ed è l’amore che ci spinge a conoscerla più profondamente e a interpretare le diverse realtà in essa presenti e – se necessario – denunciarne le debolezze. Tutti siamo responsabilmente coinvolti e consapevoli che diritti e doveri sono i mattoni della comune cittadinanza.
Abbiamo problemi, ma possiamo affrontarli con azione concorde, coraggio e lungimiranza. Possiamo rendere l’animo dei sammarinesi sempre più fiducioso e dialogante. Ma non possiamo rinchiuderci nella nostra piccola realtà. Abbiamo presenti le questioni più delicate della nostra epoca, quelle legate alle migrazioni, al diritto per tutti ai beni della terra, alla subordinazione della finanza alla dignità della persona, alla permanente minaccia della guerra… Questioni che investono chi svolge l’alto servizio della politica, ma che toccano le nostre coscienze, questioni da affrontare guardando al domani con generosità e spirito di collaborazione.

3.
Ho parlato di qualche fragilità che ci caratterizza, fragilità che riguardano tutti, a partire da colui che vi sta parlando. Uno dei mali che mi sembra di ravvisare è l’invidia. La denuncio – senza accusare nessuno – come inevitabile tentazione in una comunità piccola, dove ci si conosce e si fanno confronti. L’invidia è un sentimento che può portare alla chiusura del cuore. Tutto nasce dal bene altrui visto come una minaccia o come una limitazione a se stessi e viene vissuto come timore per la propria presunta superiorità.
L’invidioso soffre terribilmente quando sente parlar bene del proprio “concorrente”. Altre volte l’invidia prende la forma di una strana contentezza: soddisfazione di vedere il prossimo in difficoltà. L’invidia, se non viene ridimensionata per tempo, può diventare sorgente di decisioni cattive. Spesso è sorgente di critica, di una irrefrenabile voglia di screditare l’altro (pensando di ricavarne vantaggio o per lo meno di consolarsi per la propria insufficienza). Oggi ci sono mezzi di comunicazione che possono diventare feroci tanto sono incontrollabili.
Molto simile all’invidia è la gelosia. Si differenzia in questo: l’invidia è il disagio di fronte al bene altrui, la gelosia è l’eccessiva preoccupazione per il proprio.
Nella vita, nella politica, nello sport può esserci una sana competizione, che può diventare una risorsa per impegnare nel bene ogni energia. San Paolo scriveva: «Gareggiate nello stimarvi a vicenda» (Rm 12,10), invitando ad una possibile competizione nel bene.
Come curare l’invidia? Non basta dire la difficoltà, ci sono possibilità di sconfiggere nel cuore questo sentimento. È un lavoro personale, ma anche un lavoro da fare insieme: convincersi che formiamo insieme un solo corpo e siamo membra gli uni degli altri. Ognuno ha doni, talenti e pensieri utili per il bene comune. Se un membro del corpo “fa bene”, ha buoni pensieri, è un vantaggio per tutti e per la causa che ci vede tutti schierati. In qualche modo posso dire che il bene altrui è “mio”: l’altro, infatti, è parte di me! Si cura, poi, l’invidia contemplando la benevolenza di Gesù che «da ricco che era si è fatto povero per arricchirci con la sua povertà» (cfr. 2Cor 8,9). Come san Marino, meditiamo sulla sapienza, la sapienza del cuore, ragioniamo con l’intelligenza, consideriamo con il cuore: apriamoci alla sapienza. Così sia.

Omelia in occasione della Veglia dei giovani per la festa di San Marino

San Marino Città, 2 settembre 2018

1Gv 2,12-15
Sal 47
At 2,42-48
Mt 5,13-16

(da registrazione)

Cari ragazzi,
per me è una grandissima gioia questa sera essere con voi. Provo una grande commozione a rivedervi dopo un’estate che, almeno in Italia, è stata molto tribolata. Penso all’incidente sull’autostrada di Bologna che ha creato una voragine a Borgo Panigale; penso al ponte di Genova e al crollo del tetto di una chiesa nel centro storico di Roma. Il nostro pensiero va a tutte le persone che hanno sofferto. In tutte quelle circostanze ho mandato un telegramma a nome mio e di tutta la comunità. A Genova vivono molti sammarinesi e molte persone originarie della Val Marecchia, che negli anni dell’emigrazione hanno trovato nella città casa e lavoro.
L’estate è stata anche stagione di campi scuola, di ritiri, di incontri. Sono stato in molti di questi, almeno per qualche ora.

1.
Come in una famiglia voglio mettervi a parte del cammino che la nostra Chiesa di San Marino-Montefeltro intende percorrere quest’anno. È un cammino iniziato da tanti anni (oggi la Repubblica ha compiuto 1718 anni!), ma mi riferisco soprattutto al cammino di questi ultimi anni.
Ed è un cammino che vogliamo fare ancora più uniti a papa Francesco. Oltre al suo ministero di vescovo di Roma e di Pontefice, penso abbia anche una personalità capace di rinnovare la Chiesa, capace di purificarla coraggiosamente. Al Papa ho scritto alcuni giorni fa per dire che i sammarinesi-feretrani sono in comunione con lui e lo ringraziano per quello che ha detto e ha fatto a Dublino, all’Incontro mondiale delle famiglie.

2.
Il Papa usa spesso una parola, che sentite sicuramente dire anche dai vostri parroci, antichissima e dal significato molto semplice: la parola sinodalità, cioè l’arte di camminare insieme (dal greco syn odos: fare cammino insieme): parrocchie e associazioni, laici e consacrati, adulti e giovani, tutti insieme! Per camminare insieme occorre un minimo di disponibilità, poi l’amicizia e l’amore crescono cammin facendo. Se ci si tira fuori dal cammino non si farà mai amicizia vera. Perché camminare tutti insieme?
Insieme, perché si è più incisivi sulla realtà.
Insieme, perché siamo un solo popolo che ha per legge il comandamento dell’amore, per statuto la libertà e la dignità dei figli di Dio, per fine il Regno di Dio e, pur nell’apparenza di un piccolo gregge, è un germe di unità, di speranza e di salvezza per tutti (cfr. LG 9).
Insieme, perché è più bello: ci si aiuta, se si cade c’è chi ci rialza, se si è infreddoliti ci si scalda… Come si fa a scaldarsi da soli? Guai a chi è solo! (cfr. Qo 4,9-12).
Insieme – e qui occorre la fede! –, perché Gesù in persona ha assicurato di essere presente fra due o più uniti nel suo nome (cfr. Mt 18,20).
Papa Francesco è un vostro grande amico. L’abbiamo sentito nello spezzone di catechesi che è stato proiettato all’inizio della Veglia. Ho meditato anch’io le domande che alcuni giovani, a nome vostro, gli hanno rivolto nel raduno dell’11-12 agosto a Roma. Domande molto forti, imbarazzanti, senza peli sulla lingua (come è accaduto anche a me nell’incontro con i giovani di Novafeltria durante la Visita Pastorale). Ho ascoltato le meravigliose risposte del Papa: non ha alzato barriere e ha detto ai giovani di continuare a sognare, di aiutare la Chiesa a convertirsi, a rinnovarsi. Ad un recente incontro una persona, sbagliandosi, ha detto che ad ottobre ci sarà il Sinodo dei giovani, anziché il Sinodo sui giovani. Se anche l’espressione non era esatta, era vera: è il Sinodo dei giovani, perché tanti pastori si sono messi in ascolto e quando si riuniranno a ottobre porteranno le istanze, i desideri, le voci dei giovani.

3.
L’anno scorso, come diocesi, ci siamo dati questo programma: «Tra la gente con la gioia del Vangelo». Siamo un popolo che vuole essere come sale che dà sapore e come luce che illumina tutti quelli che sono nella casa, così ci dice il Vangelo (cfr. Mt 5,13-16). «Tra la gente», perché sappiamo di essere un popolo non arroccato sulla cittadella, a fare le nostre cose (cattoliche), ma proprio perché siamo cattolici, siamo contenti di immergerci nella realtà, nello sport, nella scuola, negli ambienti di lavoro (durante la Visita Pastorale alla parrocchia di Borgo il parroco mi ha portato una mattina intera al mercato, tra la gente). Sì, vogliamo “metterci dentro”. Stare tra la gente «con la gioia del Vangelo». Non sempre si è allegri: a volte occorre anche un po’ di “divina commedia”, cioè far venir fuori la gioia che sta in fondo al cuore anche quando qualche nube ci rende tristi.
Divideremo il percorso del nuovo anno pastorale – ma non saranno soltanto riunioni, catechesi, istruzione, verranno proposte delle esperienze – in tre “arcate”.

4.
Nella prima “arcata” (da settembre a Natale) proveremo a rispondere a questa domanda: che cosa è successo veramente «alle prime luci dell’alba», in quel primo giorno della settimana?
Alludo alla Pasqua, alla risurrezione di Gesù, il big bang della fede cristiana. In quei primi istanti l’evento della risurrezione ha messo in moto poche persone, ma una quantità smisurata di energia. I primi testimoni hanno capito che era successo qualcosa di incredibile: Gesù è risorto! La comunità cristiana degli inizi non raccontava altro. Le prime parole non erano: «amiamoci gli uni gli altri», «siamo fratelli». Le prime parole erano: «Gesù è vivo!». Poi è venuto tutto il resto: la comunità che si riunisce, «erano un cuor solo e un’anima sola», «tutto era fra loro comune», i cristiani che diventano coraggiosi testimoni (cfr. At 2,42-48), ecc.
Ma cos’è successo veramente? Perché dodici pescatori illetterati e timorosi hanno conquistato il mondo? Perché Stefano ha avuto il coraggio di dare la vita per Gesù, poco dopo averlo conosciuto?

La seconda “arcata” (da Natale a Pasqua) ci chiederemo: che cosa c’entra la risurrezione di Gesù con la nostra vita? La risurrezione riguarda solo Gesù?
Qui sarà molto interessante comprendere come la vita presente, pervasa dalla potenza della risurrezione di Gesù, possa trasformarsi. A volte si è in crisi, giù di morale per qualche fallimento: si può risorgere! Gesù ci dà l’energia, ci libera dai nostri condizionamenti e ci libera dalle nostre paure.
Ma la risurrezione è una bella notizia anche per il nostro futuro. Parlare così a voi giovani sembra impertinente; ma, guardando al futuro, si pensa alla vecchiaia e poi alla morte: come sarà? Gesù Risorto ci comunica una eternità infinita di vita, di amore, di luce. La Chiesa non può tacere questa notizia, si svuoterebbe il messaggio cristiano.

La terza “arcata” (da Pasqua all’estate): come possiamo incontrare Gesù Risorto e la potenza della sua risurrezione (cfr. Fil 3,10)? La potenza della risurrezione è disponibile o è solo per pochi? È chiusa in cassaforte?
Sarà bello rivivere alla luce dei Vangeli le esperienze di incontro col Risorto degli apostoli e dei primi discepoli: Maria di Magdala e le donne; Pietro e Giovanni che corrono al sepolcro; gli apostoli, prima chiusi nel Cenacolo e poi fuggiaschi sulle rive del lago, che diventeranno grandi missionari; i discepoli di Emmaus che corrono a Gerusalemme per raccontare l’incontro; il persecutore Paolo che incontrerà Gesù sulla via di Damasco…
Dico con fierezza che il luogo “normale” dell’incontro con Gesù Risorto è la Chiesa. La Chiesa ha alcuni segni ai quali Gesù ha consegnato la sua forza – li chiamiamo sacramenti – in cui lui opera. Quando vado a confessarmi e il sacerdote dice: «E io ti assolvo dai tuoi peccati… », ho la certezza matematica che sono perdonato e torno a casa contentissimo.
Quando sento le parole pronunciate dal sacerdote sul pane: «Questo è il mio corpo», so che il Signore si dà a me, vivo, nel suo vero corpo.
Pensiamo, soprattutto, al primo sacramento: la risurrezione di Gesù sfocia nelle acque del Battesimo. Nel Battesimo la potenza della risurrezione di Gesù ci avvolge, ci pervade e ci fa nuovi.
«Gesù, noi crediamo che sei vivo e siamo felici questa sera di fare festa con te. Così sia.

Omelia in occasione della 13a Giornata per la Custodia del Creato

1.
“Eucaristia” è una parola greca che significa “ringraziamento”. Il Signore Gesù ringrazia il Padre e lo fa con un atto di offerta piena di gratitudine, di lode.  Gesù celebrò la sua prima Messa sulla croce, sospeso fra cielo e terra, quando disse il suo “sì” alla redenzione. Quel sacrificio fu fatto per amore, con totale abbandono alla volontà salvifica del Padre. Ogni Messa rende presente – in modo incruento – il suo sacrificio di lode, Eucaristia. Noi ci inseriamo in questo suo sacrificio di lode: nella sua offerta, piena di lode, la nostra offerta riconoscente: sia lode a te, o Signore!
Celebre il canto: «Nella tua Messa, la nostra Messa, nella tua vita, la nostra vita».
Questa sera voglio dirti grazie, Signore, per il dono di questa “casa comune” che è la terra. Grazie per gli «uomini di buona volontà», che si impegnano a custodirla, a farla vivere, a promuovere progetti di studio e di tutela degli ecosistemi, che si prodigano per incentivare lo sviluppo di un’agricoltura più sostenibile e per organizzare iniziative educative e spirituali – come questa di oggi – che coinvolgono tante persone nella cura del Creato.
Grazie alla parrocchia, a don Luis, che ha fatto sua fin dall’inizio la proposta di celebrare qui la Giornata diocesana per la Custodia del Creato. Grazie al Capitano di Castello, Giacomo Rinaldi, che ci accoglie a Montegiardino, uno dei territori più suggestivi della Repubblica.

2.
Lo sguardo si allarga da questo luogo a problematiche generali e si impongono alcune considerazioni. È necessaria una rinnovata e sana relazione tra l’umanità e la terra. Siamo convinti che solo una visione dell’uomo autentica e integrale ci permetterà di prenderci cura del nostro pianeta, a beneficio soprattutto delle future generazioni. «Non c’è ecologia senza un’adeguata antropologia» (LS 118). Si parla di una vera e propria «alleanza con la terra», di un patto fra gli umani, così fragili, e la terra, tanto grande ed esigente nei suoi tempi e nei suoi spazi. Bisogna che ci guardiamo negli occhi, noi umani e la terra. Come tra persone oneste, quando si stringe un patto si chiede, anzitutto, fedeltà alla parola data e, prima ancora, una conoscenza adeguata l’uno dell’altro. E perché fare alleanza? Perché si ha bisogno di un sostegno reciproco e della consapevolezza dell’inevitabile interdipendenza. La terra vede nell’umanità l’espressione più alta della vita, che arriva fino alla meraviglia della razionalità. Ho molto rispetto degli animali; a volte, gli animali ci rendono più umani. Ho molta ammirazione per le piante; mio padre era ortolano e mio fratello, che ha continuato il lavoro di nostro padre, dice che parla con le piante, perché sono vive. Ma nulla arriva a quello che l’uomo è con la sua razionalità e spiritualità. Ma l’uomo, che è razionale, che inventa capolavori e crea meraviglie, è fatto di terra. Nella Genesi leggiamo che il Creatore ha tratto l’uomo dalla terra. E alla terra tornerà: «Memento, homo, quia pulvis es, et in pulverem reverteris». Siamo fatti di terra, di quell’elemento del pianeta che è anche nelle stelle. Gli umani non possono pensarsi staccati dalla terra: non potrebbero vivere!

3.
L’alleanza fra noi e la terra ha tre caratteristiche o conseguenze. La prima caratteristica è l’unità: uomo e terra si appartengono reciprocamente. Questo è il cammino evolutivo della storia. Se l’uomo è il fiore più bello sbocciato sulla terra, la terra è lo stelo sul quale è cresciuto. L’uomo non può ignorare le esigenze della terra, non può sottoporla al suo capriccio o al suo arbitrio, non può recidersi dalla terra, sarebbe l’egoismo e la sciagura più grande. Non può neanche ricoprire la terra di rifiuti; sarebbe come un astronauta che riempisse di scarti la sua nave spaziale… finirebbe per affogare in quel piccolo spazio. È quello che sta accadendo agli uomini.
La terra, dal canto suo, se rispettata nei suoi cicli, nei suoi ritmi e nella sua natura, offrirà ospitalità, nutrimento e bellezza. Per questa unità, la terra seguirà l’uomo (perché l’uomo la migliora sempre di più, incanalandone le forze) e l’uomo seguirà la terra. Sarà una reciproca accoglienza. Diversi, noi e la terra, ma uniti.
C’è una seconda conseguenza dell’alleanza, è l’indissolubilità. I destini della terra e dell’uomo non sono pensabili separatamente. La perdita dell’uomo sarebbe per la terra un ritorno all’indietro, al caos.
L’uomo trae profitto dalla terra, ma sarà attento a non impoverirla, a non manipolarla scriteriatamente, cioè con criteri egoistici e con logiche di potere. Viene da pensare ad un paradosso: non si può pretendere di far crescere l’erba tirandola con le mani; essa ha bisogno di calore, di luce, di umidità, di tempo.
Ancora una conseguenza: l’alleanza terra-umanità è feconda, generativa. Insieme, la terra e l’uomo, hanno la comune vocazione a dare il meglio: pane quotidiano per tutti, acqua assicurata ad ogni uomo (purtroppo oggi oltre seicento milioni di esseri umani non hanno a disposizione acqua potabile). La terra e l’uomo, alleati, possono portare frutti di vita, ma occorre una paziente opera, quasi una gestazione.

4.
Unità, indissolubilità e fecondità sono state pensate dal Creatore, perché l’uomo, coltivando la terra, la indirizzi ad un futuro di risurrezione: compimento della creazione. La creazione attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; essa infatti è stata sottomessa alla caducità. La creazione soffre e geme come nelle doglie del parto e spera di essere liberata dalla schiavitù della corruzione (cfr. Rom 8,19-22).
Il nostro tornare alla terra, quando moriremo, non è un marcire che dice fine, scomparsa, polvere. La fede assicura che l’uomo nella terra prepara la risurrezione, come un seme che porta frutto (cfr. Gv 12,24). L’uomo risorgerà con questa carne fatta di terra. È una visione che è stata tematizzata da un grande pensatore, Pierre Teillard de Chardin. Egli ha riflettuto molto su questa missione dell’uomo: introdurre la terra nel Regno di Dio. Anche ognuno di noi, come Gesù che è sceso nelle viscere della terra ed è risorto per portare in cielo l’umanità, porterà non solo la sua umanità, ma anche grappoli di vita, di terra, di relazioni e di frutti. Custodire il creato, sino alla fine. Così sia.