Omelia di Natale – Messa del giorno

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi

Cattedrale di Pennabilli, 25 dicembre 2016

Is 52,7-10
Sal 97
Eb 1,1-6
Gv 1,1-18

Oggi vogliamo raccontare nuovamente il Natale. La fede cristiana non è altro che un racconto, un racconto di Cielo: il racconto della nascita del Signore in mezzo a noi. Come sapete, un racconto che viene fatto col cuore contiene una grazia particolare. I primi cristiani chiamavano tale grazia kerygma. Quando raccontiamo che il Verbo si è fatto carne, che Gesù è cresciuto, ha dato la sua vita per noi, è morto ed è risorto, in questa narrazione è concentrata la forza del Vangelo. Certo, nel fare il racconto occorre la perizia dello storico, occorrono le capacità della narrazione, ma soprattutto occorre che il racconto venga fatto coinvolgendo il cuore.
Questa mattina la liturgia ci propone una riflessione più profonda. «Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo noi. E noi vedemmo la sua gloria». È il cuore del Prologo al Vangelo di Giovanni, l’evangelista che viene rappresentato come un’aquila, perché ha saputo innalzarsi alle vette della contemplazione e sorvolare gli abissi del mistero di Cristo.
Prima ancora di apparire nel grande giorno, quel Bambino è stato ricamato pian piano dallo Spirito Santo: è Dio! Ricamato con la carne e il sangue di Maria: è uomo! Mistero sul quale non finiremo mai di soffermarci per meditare e contemplare. La Parola (il Verbo, il Logos) viene “covata” nascostamente nel grembo della Vergine. È un avvenimento apparentemente infimo e segreto, ma esploderà per colmare il mondo e il tempo. Per questo gli angeli cantavano: «Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama». Ma tutto questo occorre che arrivi a tutti noi. È necessario che il Verbo prenda dimora in noi perché godiamo della sua pienezza e da lui «riceviamo grazia su grazia». Dio si è fatto uomo perché noi siamo divinizzati dalla grazia. Da qui la nostra preoccupazione di non essere mai in peccato, ma di essere tralci uniti alla vita. Non si può guardare il Natale da fuori, da lontano. Bisogna fare di se stessi abitazioni e grembi del Verbo. Egli – secondo la dichiarazione dell’angelo a Giuseppe – è l’Emmanuele, il Dio-con-noi (cfr. Mt 1,23). Un nome – Emmanuele – che viene da lontano; preparato da lunga data, vero codice genetico che, in germe, contiene registrata tutta la storia di Dio con noi, fino al suo incredibile coinvolgersi.
La fede cristiana ha questo di audace e di assolutamente unico ed originale: Dio si fa innominabile e inconcepibile senza noi, perché vuol prendere carne e nome da noi!
La natività è sposalizio che Dio consuma con il “noi” dell’umanità: meravigliosa promiscuità di carne e spirito in una unica persona, Gesù Cristo. La Chiesa da sempre confessa, nell’unica persona di Gesù Cristo, due nature (l’umana e la divina) in unità «senza confusione, senza separazione, senza mutazione, senza divisione» (Concilio di Calcedonia, DS 302). Il contenuto e il termine ultimo della fede e della speranza cristiana non è né una umanità emancipata da Dio, né un Dio goduto intimisticamente nell’indifferenza verso il mondo, perché Dio è un Dio-con-noi. Un messaggio forte per noi, oggi, qui: mai più senza Dio! Mai più con un Dio privato (“fai da te”)! Ma con un Dio che, unendosi a noi, ci fa uno tra noi, responsabili di tutti, ci fa suo popolo! Così, recentemente, ha detto papa Francesco: «Sono questi, fratelli e sorelle, i motivi della nostra speranza. Quando tutto sembra finito, quando di fronte a tante realtà negative la fede si fa faticosa e viene la tentazione di dire che niente più ha senso, ecco invece la bella notizia […]. Dio viene a realizzare qualcosa di nuovo […]. Il male non trionferà per sempre, c’è una fine al dolore. La disperazione è vinta perché Dio è tra noi» (Papa Francesco, Udienza Generale 14 dicembre 2016).
Auguri, nell’Emmanuele, il Signore Gesù!

Omelia di Natale – Messa di Mezzanotte

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi

Cattedrale di San Leo, 24 dicembre 2016

Is 9,1-6
Sal 95
Tt 2,11-14
Lc 2,1-14

Buon Natale!

Carissimi,
state sfidando il buio per inseguire una luce… siete persuasi? E questa luce brilla!
Permettetemi di iniziare il commento ai misteri che celebriamo con una citazione poco natalizia, anzi tragica. Comincia così. «Uno ad uno, sulla scena, cadono nell’oblio della morte. Amleto ha bevuto il veleno dalla coppa. Ne è rimasto un sorso. Orazio, l’amico sopravvissuto alla tragedia, vorrebbe consumarlo. “No, – sussurra Amleto – tu vivi e racconta. Racconta di me e della mia storia […], il resto è silenzio”».
Così l’epilogo dell’Amleto di Shakespeare. Citazione poco natalizia?! Ma è proprio per un “racconto” che ci siamo dati appuntamento, piccoli e grandi, nel cuore della notte. Anche il più piccolo e il più sprovveduto tra noi potrebbe raccontare, raccontare di un editto di Cesare Augusto, di Giuseppe, che da Nazareth è salito a Betlemme insieme alla sua sposa «per farsi registrare». È tempo di censimento. E potrebbe raccontare di Maria, che era gravida e di come partorì in un luogo di fortuna e avvolse in fasce il suo bambino, lo depose in una mangiatoia e di come non c’era posto per loro nell’albergo.
Il posto… Quante allusioni possibili: il posto dove abitare per chi cerca una casa; il posto di lavoro per tanti giovani che cospargono il territorio di curriculum; il posto dentro al cuore di qualcuno.
Un racconto. Che cosa c’è di più semplice? Quanti racconti di bambini nati in condizioni altrettanto precarie, venuti al mondo in terra straniera o stranieri alla loro terra. Quante storie di bimbi che non trovano posto. Fra i tanti racconti quello che ci ha mobilitati stanotte ha del paradossale, dell’incredibile: il neonato, che noi stasera adoriamo, è «lo splendore del Padre», «irradiazione della sua gloria», «Verbo eterno», «Figlio», «splendore del Fulgore divino» (così dicono di lui le divine Scritture).
«Beato chi non si scandalizza di me», dirà un giorno quel bimbo divenuto grande. E di rincalzo, il Battista, a nome di tanti e, come tanti, deluso, in un primo momento, da un Messia così dimesso e diverso da come se l’attendeva dirà: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro»? (Mt 11,3).
Un redentore-salvatore dovrebbe apparire forte, vincente e convincente; capace finalmente di dire basta all’ingiustizia, a chi è prepotente…
Viene, invece, come bambino: inerme, infante (che non riesce a parlare), profugo, esposto all’imprevisto, in balia degli eventi.
Siamo nel nucleo centrale della fede cristiana, in ciò che la differenzia in modo specifico. Il confronto con altre fedi ed esperienze religiose ci costringe a ritrovare l’identità. Non è vero che tutte le religioni si equivalgono (salvo che, per religione, si intenda un sentimento o un’etica). Può essere che il confronto con altre religioni metta in crisi e, dentro noi, crei contrasto, spiazzi. Come accade a chi improvvisamente si accorge di essere sospeso. Sente vertigine. Ebbene, noi questa sera proviamo le vertigini davanti ad un Dio che si è fatto uomo: se le cose stanno così, qualcuno potrebbe dire che è troppo. È incredibile (stupore assai salutare…).
Questo racconto ci espone alla nuda e disarmante essenzialità della fede cristiana.
Un racconto tutt’altro che infantile, o favoloso o scontato. Se ti lasci abitare da questo paradosso, pian piano constati che i conti tornano, perché la vita cambia. È un racconto sovversivo: sovverte la nostra idea di Dio. Sovverte la pratica stanca e abitudinaria della nostra fede. Sovverte il modo di pensare e di stare in questo mondo. Dio si fa uomo. Sceglie l’ultimo posto. Il mio. Viene per me, per darmi modo di vincere il male fino a dissolvere in me i pensieri cattivi e impuri; viene per restituirmi audacia, a vincere la pigrizia e la mia abitudine ad occuparmi solo del mio interesse; viene ad insegnarmi a rompere col peccato e con la superbia. E mi dice come si fa!
Tra meno di un quarto d’ora il racconto di Betlemme arriverà al suo epilogo. Riprenderà così: «Nella notte in cui fu tradito egli prese il pane nelle sue mani, lo benedisse, lo spezzò e lo diede ai suoi discepoli e disse: “Prendete e mangiate, questo è il mio corpo dato per voi…”» (cfr. Mt 26,26).
È venuto bambino nel presepio. Viene ora nel dono del pane spezzato. Dichiara, con parole impegnative: «Abito in questo pane». Un pane spezzato e condiviso lo mette di nuovo al mondo. Presenza che mi scoppia ogni giorno tra le mani… Così accade, se ci facciamo caso, ogni volta siamo disposti a condividere, ad amare senza possedere, a dare senza prendere, a dire la verità nella carità. Insomma: ad amare per primi. «Ma a vivere così si diventa vulnerabili!». Ma è il solo modo d’essere felici. Bisogna cominciare subito. Se credevamo d’essere qui per intervenire ad una cerimonia, ci siamo sbagliati. Il racconto ha riacceso una luce nella notte. Il racconto deve avvalersi della perizia dello storico; ha bisogno della profondità del teologo; ha bisogno della fantasia e dell’arte del narratore; ma soprattutto – questo racconto – ha bisogno del coinvolgimento del cuore e della fede. I primi cristiani lo chiamavano kerygma e riconoscevano nel racconto una forza intrinseca, quasi sacramentale. Allora raccontate ai bambini, raccontate ai giovani, non “rubiamo” loro il racconto di Gesù, “racconto del Cielo”! Facciamocene dono l’un l’altro. Il Signore sarà presente nel nostro racconto. Auguri!

Omelia di Natale – Messa della Vigilia

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi

Is 62,1-5
Sal 88
At 13,16-17.22-25
Mt 1,1-25

1.
«È apparsa la grazia di Dio che porta salvezza a tutti gli uomini e ci insegna a rinnegare l’empietà» (Tt 2,11).
A Natale, come ogni volta, stupore, incanto, gioia. Ma qual è il messaggio del Natale? Che cosa significa che Gesù viene chiamato “il Salvatore”? Quali contrasti contiene il brano evangelico appena letto? E quali sono i motivi della lode?
«Signore che hai illuminato questa santissima notte con lo splendore di Cristo concedici di avere una comprensione profonda di questo mistero abbagliante. Donaci una intelligenza spirituale degli eventi che celebriamo in questa notte, come già Francesco d’Assisi, Ignazio di Loyola, Caterina Vegri… (cfr. Colletta del Natale del Signore – Messa della notte).
Noi facciamo parte di quel popolo di cui scrive il profeta Isaia, «popolo che camminava nelle tenebre e ha visto una gran luce»; un popolo che abita in terra tenebrosa, ma sul quale rifulge una luce (cfr. Is 9,1), «perché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio… Questo farà lo zelo del Signore» (Is 9,6).

2. Il racconto di quella nascita non inizia con un vago «Una volta…», ma c’è un preciso riferimento; siamo al tempo di Cesare Augusto. Per un attimo sembra di respirare l’aria serena della “Pax romana”. Ma è solo un attimo, perché in realtà la nascita del Messia avviene in un contesto drammatico, segnato da un clima di tensione e di povertà. Non si sa esattamente quando e come fu organizzato quel censimento, ma certamente fu vissuto dalla gente come l’ennesima umiliazione nazionale. I censimenti, infatti, servivano ad inasprire le imposte e quindi riaffermavano la sottomissione della nazione ebraica ai pagani. I censimenti, inoltre, comportavano non pochi disagi, lunghi viaggi e scarsità di alloggi, tanto che Giuseppe fu costretto a portare Maria a partorire in una stalla, perché non c’era posto per loro nell’albergo. Il bambino che nasce a Betlemme non è un potente che abita in un castello, ma un ebreo come tutti gli altri; fin dalla sua venuta al mondo condivide la loro difficile condizione e storia.

3.
I primi a riconoscere Gesù e ad accoglierlo sono i rozzi pecorai, esclusi dalla sinagoga e dai tribunali. Viene loro rivelato tutto quello che Israele attendeva da tempo: «È nato nella città di Davide un salvatore che è il Cristo Signore». È l’evento decisivo della storia della salvezza, per questo esplode il canto: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama».
I pastori, dopo un attimo di «grande spavento», si mettono in cammino per cercare colui che era stato loro annunciato. Lo cercano e lo trovano. Trovano un re venuto al mondo nel suo palazzo, circondato dai suoi servi? No, erano stati avvertiti che avrebbero trovato un bambino avvolto in fasce che giaceva in una mangiatoia. In un mondo in cui i potenti si consideravano semi-dei, il Messia si presenta come uno di loro pecorai, non è un potente ma un povero, è uno che abita il disagio e la precarietà.

4. I pastori provano un gaudio interiore così grande da sentire il bisogno di renderne partecipe la gente di Betlemme: «Dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro». Il loro incontro con Gesù si converte in urgenza missionaria, diventano i primi testimoni di Gesù. I pastori erano stati guidati dagli angeli, ma chi porge loro il Bambino? Maria e Giuseppe. Gesù, non lo incontrano da solo, ma in una famiglia che lo ha accolto e custodito. E non lo trovano da soli, con un percorso solitario, ma grazie ad una piccola comunità, che, come Maria, fa memoria degli eventi salvifici e ne cerca il senso «meditandoli nel suo cuore». Così noi in questa notte…

Giornata per la vita

Giornata per la vita 2017: “nessuno si senta superfluo”

Alla scuola di Papa Francesco s’impara a sognare.

Inizia con queste parole il messaggio scritto dai nostri Vescovi in occasione della 39a Giornata nazionale per la vita che si celebrerà il 5 febbraioQuando [il Papa] si rivolge alle famiglie – prosegue il Messaggio – ricorda loro che il sogno di Dio “continua a realizzarsi nei sogni di molte coppie che hanno il coraggio di fare della loro vita una famiglia; il coraggio di sognare con Lui, il coraggio di costruire con Lui (…) un mondo dove nessuno si senta solo, nessuno si senta superfluo o senza un posto”.

Proprio partendo da queste considerazioni, anche nella nostra diocesi le aggregazioni laicali, coordinate dagli Uffici per la famiglia e per la pastorale sociale, propongono ormai da alcuni anni varie iniziative di riflessione. Si tratta di un impegno motivato dal desiderio di tenere desta la coscienza della nostra comunità sulla cultura della vita, così pesantemente attaccata dal pensiero oggi dominante, e sottolineare anche l’unità di intenti che anima le tante componenti del laicato diocesano (in continuità con le Veglie vicariali per la vita nascente celebrate a dicembre).
Ancor più quest’anno, tenendo conto dell’esito delle Istanze d’Arengo presentate a S.Marino nel settembre scorso in tema di depenalizzazione dell’aborto (purtroppo parzialmente accolte), si è ritenuto opportuno cogliere l’occasione della Giornata per la vita per dare seguito all’attività di informazione e sensibilizzazione prodotta negli ultimi mesi.
Anzitutto, viene confermato l’invito rivolto alle singole parrocchie ad organizzare attività ed animazioni liturgiche nella giornata del 5 febbraio; a livello diocesano, invece, il messaggio di accoglienza e valorizzazione della vita (anche quando è segnata da handicap o malattie) verrà affidato al mezzo cinematografico: venerdì 10 febbraio (alle ore 21.00) verrà proposta contemporaneamente nei tre vicariati – altro segno dell’unitarietà dell’iniziativa!- la proiezione del film “Come saltano i pesci”, pellicola italiana del 2016.
E’ la storia di Matteo, un ragazzo di 26 anni con una vita perfetta: un sogno nel cassetto, due genitori che lo amano profondamente e una sorellina, Giulia, affetta da sindrome di Down che vede in lui il suo eroe. Tutto si sgretola quando Matteo scopre che il suo mondo era costruito attorno ad una terribile bugia. Da qui inizia un’avvincente avventura umana alla ricerca della verità, che tocca con delicatezza i temi della famiglia, della fede e del perdono.
Oltre ad aiutare a riflettere su questi temi, la proposta del film intende coinvolgere le associazioni cattoliche e laiche presenti sul territorio che si prendono cura delle persone portatrici di handicap: la durata della proiezione (110 minuti) non consentirà di prevedere testimonianze; tuttavia, verrà dato spazio e visibilità alle associazioni invitandole ad allestire gli spazi antistanti le tre sale di proiezione.
Coerentemente poi con lo spirito della Giornata per la vita, completano il programma di proposte diocesane le iniziative programmate da Ustal/Unitalsi per la XXV Giornata del malato (11 febbraio).
Educare alla vita – sono ancora parole dei Vescovi – significa entrare in una rivoluzione civile che guarisce dalla cultura dello scarto, dalla logica della denatalità, dal crollo demografico, favorendo la difesa di ogni persona umana dallo sbocciare della vita fino al suo termine naturale.

Federico Nanni
Ufficio famiglia diocesano

Settimana ecumenica con l’ISSR

Buon Natale

Col mio messaggio vorrei raggiungere anzitutto le famiglie in difficoltà, gli anziani, gli ammalati, le persone sole o ingiustamente trattate… non perché io pensi di essere qualcuno, ma per il messaggio che mi scoppia tra le mani, viene da Gesù!
Ho ascoltato in questi giorni desideri e attese. Alcuni chiedono salute e lavoro. Altri invocano la forza di andare avanti nonostante tutto. Altri fanno appello alla speranza e a sapersi mettere nei panni degli altri. Altri ancora segnalano la preoccupazione per la realtà giovanile, preoccupazione soprattutto educativa.
Il Natale arriva su uno scenario sconvolgente. 2016: attacchi terroristici al cuore dell’Europa, bombardamenti e rovine nella Siria e ad Oriente, mentre continuano gli sbarchi sulle nostre coste e la terra continua a tremare.
Il messaggio che ho tra le mani è tutt’altro che ovvio e retorico. Certo, il Natale è anche una pausa ed un momento di festa – per chi può – un ritorno alla famiglia e ai buoni sentimenti. Ma il cuore del messaggio e dell’augurio che ho tra le mani è Gesù Cristo. Dico ai credenti e dico agli uomini di buona volontà, agli uni e agli altri, a tutti: guardiamo a lui. Ha promesse di vita eterna, ma anche parole da vivere nelle vicende di ogni giorno e nelle contraddizioni di questo tempo.
Incontro persone – ogni volta è una meraviglia – che accettano la sfida di quelle parole (il Vangelo) e raccontano di frutti di speranza, di impegno, di perdono, di forza di andare avanti continuando a donarsi e a spendersi. È per la forza intrinseca di quelle parole che maturano questi frutti. Qualcuno forse si domanda – benedetta domanda – come è possibile incontrare Gesù Cristo? A chi ama si manifesterà. È una sua promessa. Se stai vicino a chi è nella prova, a chi soffre per qualsiasi motivo, a chi è solo, ti capiterà di incontrarlo. Questo il mio augurio. Buon Natale!

+ Andrea Turazzi

 

Omelia IV Domenica d’Avvento

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi

Cailungo (RSM) – 18 dicembre 2016

Is 7,10-14
Sal 23
Rm 1,1-7
Mt 1,18-24

Meno dieci, meno nove, meno otto… insieme alle nostre comunità, conto i giorni che mancano al Natale. Meno sette, meno sei, meno cinque… Ci sono le recite nelle scuole (bravissimi i bimbi delle nostre scuole che si esibiscono davanti a nonni e genitori letteralmente impazziti). C’è chi s’affretta per gli acquisti per fare più bella la festa. Ma chi pensa al Festeggiato? Siamo pronti ad accoglierlo? Troverà, ancora una volta, soltanto paglia? Meno male che c’è la sua Mamma… Meno male che c’è Giuseppe, l’uomo dei sogni, che non parla mai, ma che sa ascoltare, che preferisce l’amore a Maria e a Dio piuttosto che l’amor proprio. Stiamo davanti al presepio e dedichiamo un po’ del nostro tempo, sempre così concitato (lo dico soprattutto per chi vive fuori di qui), alla meditazione. Mettiamoci nei panni dei personaggi del presepio, soprattutto nei panni di Maria che porta in grembo Gesù ed è ormai pronta per dargli la luce e come tutte le mamme con tanto amore ma anche con altrettanta apprensione; nei panni di Giuseppe che cerca un posto dove alloggiare Maria e il nascituro.
Dal racconto evangelico vediamo come Giuseppe per amore di Maria sia disponibile ai disegni di Dio e faccia spazio nel suo cuore al Bambino non suo. E diventa vero padre di Gesù, anche se non ne è il genitore. Con Giuseppe s’impara come accogliere Gesù: silenzio, obbedienza alla volontà di Dio, laboriosità senza attivismo, fiducia perché Dio è il protagonista e conduce gli avvenimenti. Qui, come a Betlem, succede di tutto: c’è chi è nemico di quel Bambino così intrigante e compromettente (Erode non è del tutto sparito). C’è chi è semplicemente indifferente: ha ben altro da pensare. C’è, in fine, chi ha fatto l’abitudine e non riesce a stupirsi nemmeno di un Dio che si fa bambino e che si può coprire di baci. Apro una pagina dal profeta Isaia. Faccio fatica a trattenere la commozione: così il Signore vince la mia tiepidezza: Non temere, perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni. Se dovrai attraversare le acque, sarò con te…  se dovrai passare in mezzo al fuoco, non ti scotterai, … poiché io sono il Signore, tuo Dio, il Santo d’Israele, il tuo salvatore. Io do l’Egitto come prezzo per il tuo riscatto, l’Etiopia e Seba al tuo posto. Perché tu sei prezioso ai miei occhi, perché sei degno di stima e io ti amo… Non temere, perché io sono con te.
Quel bambino che sta per nascere ha un nome che riassume in sé la storia di Dio con l’umanità. Il nome, nella cultura antica, rappresenta l’identità e il compito di un uomo sulla terra. Giuseppe si è trovato davanti alla responsabilità di dare il nome per il nascituro. Nell’albero genealogico disponevano di nomi illustri. Ma per quel bambino interviene il Cielo. A Giuseppe viene detto che il bambino che nascerà porterà il nome di Gesù, che significa il Signore salva. Ma aggiunge che il bambino adempirà la promessa del profeta: La vergine concepirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele, che significa: Dio con noi. Due nomi per un solo bambino! Sovrapponendo i due nomi – Gesù, Emmanuele – si comprende che egli è il Signore-salva-con noi. Per salvarci, Dio si fa uno di noi: Gesù. Nello stesso tempo è Signore con noi, perché non ci salva senza di noi: Emmanuele. Che fa Giuseppe? Tenta di sottrarsi all’invadenza del Cielo, poi ascolta. L’augurio di Natale: fai anche tu spazio al Cielo.
Meno quattro, meno tre, meno due…

Omelia III Domenica d’Avvento

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi

Uffogliano, 11 dicembre 2016

Is 35,1-6.8.10
Sal 145
Gc 5,7-10
Mt 11,2-11

Scendendo da Pennabilli sono passato veloce accanto ad un giardino; al centro vi ho notato un albero di cachi carico di frutti. L’albero era completamente spoglio e disadorno. I suoi rami penetravano la fitta coltre di nebbia, un po’ appesantiti da una quantità di palline dorate. Sono arrivato sulla piazza ed ho ammirato il grande albero di Natale. Ne ho gioito. Poi, quasi senza volerlo, ho confrontato i due alberi: quello spoglio ma pieno di frutti e quello stracarico di addobbi e di luci artificiali. Inevitabile l’applicazione della metafora alla mia vita: sono albero pieno di fronzoli (solo apparenza), o sono albero carico di frutti? Ognuno – se vuole – giri a sé questa domanda.
Giovanni Battista, prigioniero di Erode ma più ancora dei suoi dubbi, vorrebbe sapere se Gesù è davvero il Messia, colui che aspetta, o soltanto un miraggio. L’austero profeta non si lascia incantare dalle apparenze o dal luccichio dei lustrini… Va al sodo. E Gesù risponde: «Riferite ciò che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono mondati… ai poveri è annunciato il Vangelo». L’albero della Croce, nella sua disadorna nudità, porta appeso il Signore, frutto sbocciato dal grembo di una povera fanciulla di Nazaret e adagiato sulla paglia in una mangiatoia. Ecco il Messia! Un frutto per la vita dell’umanità. Gesù non ha mai promesso di risolvere i problemi della storia coi miracoli. Non ha distribuito “bacchette magiche”. Ha chiesto ai suoi di farsi prossimi, di stare come lievito nella pasta, come sale nell’acqua. Ha promesso qualcosa di più forte ancora: il miracolo del seme, il lavoro oscuro ma inarrestabile del seme che fiorirà (E. Ronchi). Quel seme è il nostro quotidiano “sì” al progetto di Gesù, disponibilità a compiere le opere del Messia; nel fare anche noi ciò che fa Gesù. Atti d’amore nascosti, sofferenze lenite, ponti gettati, ferite fasciate sul corpo e nell’anima, solitudini colmate. Il grande fuoco si attizza con una scintilla accesa in basso e nascosta. «Perciò, se riesco ad aiutare una sola persona a vivere meglio – scrive papa Francesco – questo è già sufficiente a giustificare il dono della mia vita. È bello essere popolo di Dio. E acquistiamo pienezza quando rompiamo le pareti e il nostro cuore si riempie di volti e di nomi» (Evangelii Gaudium, 274).  Ecco il nostro impegno per questi giorni di Avvento.

Omelia II Domenica di Avvento

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi

Miniera (Perticara), 4 dicembre 2016

La luce della conversione

Is,1-11
Rm 15,4-9
Mt 3,1-12

Scende in campo Giovanni Battista un profeta che non scherza. Il suo non è un invito suadente, ma un grido di allerta: il Messia è alle porte, cambiate vita! Non sono ammesse lentezze. È alle porte: è questione di… adesso. Ci siamo esercitati la scorsa settimana nel vivere “l’attimo presente” con pienezza, amore e solennità. Questa settimana accendiamo la luce della conversione. Giovanni Battista mette in campo la sua personale testimonianza, perfino scomposta, di araldo del Messia; assume i toni della minaccia per dissuaderci dai nostri rinvii e dalle nostre mediocrità. E noi? Ammettiamolo: ci succede di trattare Dio come un brillante da sfoggiare nelle feste, un portafortuna, un… soprammobile. Come ce ne torneremo dopo aver sentito questa pagina di Vangelo? Forse ben poco scossi. Per debolezza del predicatore? Può darsi. Per l’abitudine a sentir le cose di Dio? Probabilmente. Perché incapaci di portar frutti perché prigionieri del peccato? Ognuno esamini se stesso. Chissà che l’entrata di Giovanni Battista non ci smuova.
Attraverso la sua predicazione ci propone due domande. Sappiamo chi è colui che viene? A dispetto dei nostri addobbi natalizi (stanno già facendo la loro comparsa) e delle nostre prove di canto e di cucina, la foga del Battista ci suggerisce tutt’altro. Con ferme prese di posizione egli non tiene nascosto nulla del Messia di fuoco, di colui che dà alle fiamme l’albero senza frutti e la paglia inutile. La scure è posta alla radice: annuncio forte dell’imminente giudizio. La conversione non è facoltativa.
Chi attendiamo? Con una certa verità siamo ben disposti ad attendere il principe della pace, colui che offre serenità e gioia per tutti: “Natale – si dice – festa della bontà; incanto di buoni sentimenti, di legami affettuosi, della messa di mezzanotte…”, ma non possiamo censurare questa pagina del Vangelo: reclama decisioni coraggiose e scelte radicali.
La seconda domanda: Come preparare il suo arrivo? Certo, essere operatori di pace e di bontà, ma bisogna mettersi al lavoro, seriamente. Il cantiere è grande: preparare la via al Signore, portare frutti, vivere le sue parole. Vietato tenere le braccia incrociate in attesa del Regno che viene.
Faccio ai miei ascoltatori tre proposte concrete. La prima: considerare la conversione come possibile. Il Messia che viene mi battezza nel suo Spirito; il suo Battesimo non è un’azione simbolica come quella compiuta da Giovanni, ma è un’azione di Dio su di me capace di trasformarmi, di fissare la sua dimora dentro di me, solo che io lo voglia.
La seconda: dedicare tempo, riflessione e preghiera per identificare con chiarezza quale aspetto della mia vita deve cambiare, il difetto su cui lavorare, la risposta che devo dare al Signore in questo tempo.
La terza: cominciare a preparare il sacramento della Riconciliazione. Così il Signore Gesù farà di me il suo presepio. Così sia.

Compleanno Papa Francesco

Sabato 17 dicembre la diocesi di San Marino-Montefeltro ricorda nella preghiera l’80° compleanno di Papa Francesco.
Il Vescovo, Mons. Andrea Turazzi, a nome della diocesi, ha inviato un messaggio per esprimere al Santo Padre voti augurali, per far giungere la gratitudine di tutti per il Giubileo della Misericordia, per assicurare la piena adesione della diocesi al programma del suo pontificato.
Il messaggio si conclude con un garbato invito a Papa Francesco ad una visita “anche solo per qualche ora” alla diocesi, una diocesi così singolare per la sua storia, per la sua conformazione e per le sfide che è chiamata ad affrontare.
Il Vescovo ha disposto che il 17 dicembre, in ogni parrocchia, si facciano preghiere particolari per Papa Francesco.
La mattina di sabato 17 dicembre alle ore 9 verrà celebrata dal Vescovo una Santa Messa nella Cattedrale di Pennabilli; nello stesso giorno un’altra Messa Solenne sarà celebrata dal parroco, don Marco Scandelli, alle ore 18:30 nella chiesa della Madonna della Consolazione e dei Santi Antimo e Marino in Borgo Maggiore (RSM), chiesa nella quale è possibile lucrare l’indulgenza giubilare in questo anno nel quale si ricorda il 50° anniversario della consacrazione (1967-2017).

Lettera del Vescovo Andrea a Papa Francesco