Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi
Parrocchia dei Santi Pietro, Marino e Leone (San Marino Città), 18 settembre 2016
Am 8,4-7
Sal 112
1Tm 2,1-8
Lc 16, 1-13
Auguri alla vostra parrocchia: compie 25 anni! Ormai è una ragazza bella, attraente, preparata, intraprendente, vivace. Che cosa vuol dirle il Signore con questa pagina di vangelo? L’aneddoto raccontato da Gesù è piuttosto bizzarro, ma attuale! Facciamo fatica a capire l’elogio che tesse per il comportamento di un fattore disonesto.
Siamo in situazione d’emergenza. La nostra sicurezza è fragile: è messa alla prova da malattie, difficoltà famigliari, rovesci finanziari, conflitti, terremoti… Bisogna trovare una tavola di salvezza alla svelta. Il fattore protagonista della parabola ha saputo fare. Di fronte ad una emergenza decisiva per la sua carriera e la sua vita ha trovato l’escamotage (la sua tavola di salvezza). Il Signore vuole i discepoli attenti, ma in maniera giusta, da figli della luce, cercando l’amicizia di Dio che ci accoglie e suggerendo come la qualità delle relazioni umane è una sicurezza ben superiore all’accumulo della ricchezza e al conto in banca.
Siamo degli amministratori. Il nocciolo della parabola sta quì. Dobbiamo considerare quello che abbiamo come “capitale di Dio”: ce lo affida non per abusarne egoisticamente, ma per un uso solidale. L’amministratore è generoso col denaro del suo padrone. E questi se ne rallegra: ha alleggerito il debito dei poveri; meglio così: prima sciupava! Come non vedere nella parabola una provocazione per i paesi ricchi che non sanno ridurre il debito ai paesi poveri.
Attenzione: il denaro è ingannatore. Gesù non è contrario alla ricchezza ma ci mette all’erta: la ricchezza spesso nasconde miserie morali e spirituali. Il danaro inganna quando fa credere che una vita sia fallita senza ricchezza, quando il denaro anziché servire, asserve. Il valore di una persona non si misura sulla base di quello che possiede. Nel nome del dio denaro si compiono azioni cattive, si creano divisioni, si passa sopra alla giustizia e alla verità. Meglio delle azioni di banca, sono gli investimenti in “buone azioni”!
Che è questo che sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione», sono le parole del padrone. E lo scaltro amministratore che fa? Si arrangia. Il Vangelo è totalmente estraneo al linguaggio del sottobanco e delle bustarelle. Non insegna la truffa, ma l’audacia. Lamenta che i cristiani talvolta abbiano meno immaginazione per far vivere la fede di quanta ne abbiano gli uomini d’affari per i loro traffici. La fede non dispensa dall’essere intelligenti! Possiamo partire proprio da qui per rilanciare il nostro programma annuale. «Che ne hai fatto del dono della fede? – dice il Signore – Che ne è di quello spicchio di territorio che ti ho affidato?». E potrebbe continuare: «Mi sono dato a te con la mia Parola, perfino col mio Corpo e il mio Sangue perché tu sia mia presenza, mie mani, mio cuore, mia intelligenza. Il tuo nome è «missione». Ti ho affidato la mia gente». La parrocchia ha imparato a pensare il proprio piano di lavoro, e va chiedendosi: «Che cosa ci chiedi, Signore? Quali sono le attese attorno a noi? Quali le risorse?». Paradossalmente il fattore disonesto della parabola ha qualcosa da insegnarci.
Cominciamo dalla curiosità, la curiosità di vedere ciò che il Signore farà quest’anno tra noi col soffio del suo Spirito. Siamo consapevoli di non essere un’assemblea costituente, né un’azienda, ma un popolo radunato dal Signore che è venuto a cercarci e s’è messo in mezzo a noi.
La parrocchia, alla fine, non deve prenderci troppo; siamo mandati piuttosto nei campi più svariati del nostro mondo: cultura, lavoro, famiglia, cittadinanza, ecc. Prendiamo ispirazione dall’icona delle volpi di Sansone lanciate ad incendiare le campagne dei Filistei: alle loro code Sansone legò delle torce accese (cfr Giud 15, 4-6). Gesù vuole che tutto sia clarificato, si riaccenda e si rianimi, ma incontra sovente la nostra indifferenza.
La fede è il dono più prezioso che abbiamo ricevuto, più prezioso dell’oro (cfr 1Pt 1,7). Condividerlo è un atto d’amicizia. Si tratta di testimoniare il nostro incontro con la persona viva di Gesù. Torna utile ripensare quanto accadeva ai primi cristiani: erano sorpresi dalla forza intrinseca del Vangelo e dell’annuncio (chiamato cherigma). Noi, ammettiamolo, annunciamo poco perché crediamo poco! La stessa fede che abbiamo nei sacramenti dovremmo impegnarla nel credere alla forza (exusìa) del seme che mettiamo nelle zolle dei nostri rapporti quotidiani. Ripartiamo per altri 25 anni e poi ancora: ad multos annos!