Giornata per la Scuola

Carissimi,
il 4 ottobre prossimo (ma, per necessità organizzative, anche nei giorni attorno alla festa di San Francesco), si tiene la “Giornata per la Scuola”.
Si tratta di un’occasione per manifestare l’attenzione della comunità cristiana al mondo della scuola, istituzione fondamentale per la società e per l’educazione della gioventù: per questo il nostro interessamento e la nostra preghiera.
I dirigenti scolastici e gli insegnanti di religione sono stati informati di questo e delle iniziative in favore dei genitori, degli alunni e degli insegnanti (vedi programma sul retro).
Dove è possibile e consentito è bello che i parroci portino il loro saluto per l’anno scolastico che inizia. Anche questo è un modo per fare nostro il programma di questo decennio dedicato all’emergenza educativa. Un frutto importante è la risposta di tutti alla domanda di partecipazione, secondo la responsabilità di ciascuno.
Con la mia benedizione

+ Andrea Turazzi
Vescovo di San Marino-Montefeltro

Istanze d’Arengo sull’aborto: l’omologazione a modelli imposti da altri

Le associazioni e le aggregazioni laicali della Diocesi di San Marino – Montefeltro hanno seguito con molta attenzione il dibattito svolto in Consiglio Grande e Generale sulle istanze tese alla depenalizzazione dell’aborto e hanno accolto con vivo rammarico l’accoglimento di tre di esse. La speranza era di celebrare un salto in avanti verso una forma di civiltà più alta e più rispettosa della identità di San Marino, piuttosto che l’omologazione a modelli imposti da altri Stati.
Questo risultato ci spinge con ancora maggiore determinazione per una presenza costante ed attiva nel dibattito pubblico in San Marino, al fine di portare un contributo teso a riaffermare la dignità e l’inviolabilità della vita dal concepimento fino al suo termine, per la promozione di una cultura della vita alternativa alla cultura dello scarto.
Le aggregazioni e associazioni laicali in questo loro impegno sono disponibili al confronto con ogni uomo di buona volontà che sente la responsabilità di condividere il progetto di eliminare dal nostro Paese ogni possibile causa che possa spingere una madre a pensare a una scelta drammatica come quella dell’aborto.
Le associazioni e le aggregazioni laicali
Diocesi di San Marino – Montefeltro

Dichiarazione del Vescovo dopo la votazione in Consiglio sull’aborto

L’impegno di sensibilizzazione delle associazioni cattoliche è risuonato più volte e fortemente nell’aula del parlamento sammarinese e, sebbene alla speranza di un chiaro “no” alla introduzione “di fatto” dell’aborto nella legislazione sammarinese il parlamento abbia risposto con l’accoglimento di tre delle cinque Istanze proposte e riguardanti i casi considerati più “drammatici”, con un importante ordine del giorno approvato a maggioranza è stata anche affermata la volontà di tutela della vita fin dal suo concepimento.
Sarà importante valutare in che modo questi indirizzi, in un prossimo futuro, possano entrare in una legge dello Stato. Sono certo che i nostri legislatori non desiderano altro che il bene di tutti.
A tal fine ribadisco il mio pronunciamento sul valore della vita, dal suo primo inizio al suo naturale compimento. Mi spingono a ciò:
– le convinzioni profonde basate anzitutto su motivi di ragione che condivido con tante persone, credenti e non;
– la preoccupazione per il venir meno di valori fondamentali per la nostra civiltà;
– la scelta di scorciatoie che portano fuori dal vero bene.
La storia e l’esperienza ci insegnano che non sempre il criterio della maggioranza è criterio di verità e di bene. Nonostante ciò, la Chiesa, proprio perché riconosce e vuole tutelare la piena laicità di ogni Stato, rispetta le conclusioni prese dalle Istituzioni. Il mio auspicio è che tali Istituzioni non vengano mai meno alla coerenza con le solenni dichiarazioni della nostra Repubblica di ispirarsi a grandi valori di umanità e con l’originalità delle sue radici.
Sarà ancora più convinto e chiaro l’impegno dei cattolici per un’azione educativa capillare e a tutti i livelli per promuovere la difesa degli ultimi e dei più deboli. E chi è più fragile della creatura che una mamma porta in grembo, che è bambino ed è persona?
Insieme all’impegno educativo si continuerà a stare concretamente accanto alle donne e alle famiglie in difficoltà, per abbracciare sofferenze, per cercare soluzioni, per accompagnare solitudini, per mobilitarsi in favore della vita.
In San Marino e in tutta la Diocesi, associazioni, gruppi e famiglie lavorano con impegno e competenza in questo campo: sono promotrici di civiltà e solidarietà sociale. È bene che siano conosciute e trovino alleanze. Discrezione sì, ma non silenzio: qui la testimonianza è più che mai necessaria. Da parte mia desidero dare loro tutto il mio appoggio e assicurare il mio incoraggiamento.

+ Andrea Turazzi
Vescovo di San Marino-Montefeltro

Omelia XXV Domenica del Tempo Ordinario

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi

Parrocchia dei Santi Pietro, Marino e Leone (San Marino Città), 18 settembre 2016

Am 8,4-7
Sal 112
1Tm 2,1-8
Lc 16, 1-13

Auguri alla vostra parrocchia: compie 25 anni! Ormai è una ragazza bella, attraente, preparata, intraprendente, vivace. Che cosa vuol dirle il Signore con questa pagina di vangelo? L’aneddoto raccontato da Gesù è piuttosto bizzarro, ma attuale! Facciamo fatica a capire l’elogio che tesse per il comportamento di un fattore disonesto.

Siamo in situazione d’emergenza. La nostra sicurezza è fragile: è messa alla prova da malattie, difficoltà famigliari, rovesci finanziari, conflitti, terremoti… Bisogna trovare una tavola di salvezza alla svelta. Il fattore protagonista della parabola ha saputo fare. Di fronte ad una emergenza decisiva per la sua carriera e la sua vita ha trovato l’escamotage (la sua tavola di salvezza). Il Signore vuole i discepoli attenti, ma in maniera giusta, da figli della luce, cercando l’amicizia di Dio che ci accoglie e suggerendo come la qualità delle relazioni umane è una sicurezza ben superiore all’accumulo della ricchezza e al conto in banca.

Siamo degli amministratori. Il nocciolo della parabola sta quì. Dobbiamo considerare quello che abbiamo come “capitale di Dio”: ce lo affida non per abusarne egoisticamente, ma per un uso solidale. L’amministratore è generoso col denaro del suo padrone. E questi se ne rallegra: ha alleggerito il debito dei poveri; meglio così: prima sciupava! Come non vedere nella parabola una provocazione per i paesi ricchi che non sanno ridurre il debito ai paesi poveri.

Attenzione: il denaro è ingannatore. Gesù non è contrario alla ricchezza ma ci mette all’erta: la ricchezza spesso nasconde miserie morali e spirituali. Il danaro inganna quando fa credere che una vita sia fallita senza ricchezza, quando il denaro anziché servire, asserve. Il valore di una persona non si misura sulla base di quello che possiede. Nel nome del dio denaro si compiono azioni cattive, si creano divisioni, si passa sopra alla giustizia e alla verità. Meglio delle azioni di banca, sono gli investimenti in “buone azioni”!

Che è questo che sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione», sono le parole del padrone. E lo scaltro amministratore che fa? Si arrangia. Il Vangelo è totalmente estraneo al linguaggio del sottobanco e delle bustarelle. Non insegna la truffa, ma l’audacia. Lamenta che i cristiani talvolta abbiano meno immaginazione per far vivere la fede di quanta ne abbiano gli uomini d’affari per i loro traffici. La fede non dispensa dall’essere intelligenti! Possiamo partire proprio da qui per rilanciare il nostro programma annuale. «Che ne hai fatto del dono della fede? – dice il Signore – Che ne è di quello spicchio di territorio che ti ho affidato?». E potrebbe continuare: «Mi sono dato a te con la mia Parola, perfino col mio Corpo e il mio Sangue perché tu sia mia presenza, mie mani, mio cuore, mia intelligenza. Il tuo nome è «missione». Ti ho affidato la mia gente». La parrocchia ha imparato a pensare il proprio piano di lavoro, e va chiedendosi: «Che cosa ci chiedi, Signore? Quali sono le attese attorno a noi? Quali le risorse?». Paradossalmente il fattore disonesto della parabola ha qualcosa da insegnarci.
Cominciamo dalla curiosità, la curiosità di vedere ciò che il Signore farà quest’anno tra noi col soffio del suo Spirito. Siamo consapevoli di non essere un’assemblea costituente, né un’azienda, ma un popolo radunato dal Signore che è venuto a cercarci e s’è messo in mezzo a noi.
La parrocchia, alla fine, non deve prenderci troppo; siamo mandati piuttosto nei campi più svariati del nostro mondo: cultura, lavoro, famiglia, cittadinanza, ecc. Prendiamo ispirazione dall’icona delle volpi di Sansone lanciate ad incendiare le campagne dei Filistei: alle loro code Sansone legò delle torce accese (cfr Giud 15, 4-6). Gesù vuole che tutto sia clarificato, si riaccenda e si rianimi, ma incontra sovente la nostra indifferenza.
La fede è il dono più prezioso che abbiamo ricevuto, più prezioso dell’oro (cfr 1Pt 1,7). Condividerlo è un atto d’amicizia. Si tratta di testimoniare il nostro incontro con la persona viva di Gesù. Torna utile ripensare quanto accadeva ai primi cristiani: erano sorpresi dalla forza intrinseca del Vangelo e dell’annuncio (chiamato cherigma). Noi, ammettiamolo, annunciamo poco perché crediamo poco! La stessa fede che abbiamo nei sacramenti dovremmo impegnarla nel credere alla forza (exusìa) del seme che mettiamo nelle zolle dei nostri rapporti quotidiani. Ripartiamo per altri 25 anni e poi ancora: ad multos annos!

Stazione giubilare a Bascio

Giornata Unitaria AC

Periodico Montefeltro Settembre

Scegli di scegliere

Omelia Festa del Beato Domenico Spadafora

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi

Montecerignone, 11 settembre 2016

Festa del beato Domenico Spadafora

Es 32,7-11.13-14
Sal 50
1Tm 1,12-17
Lc 15,1-32

Oggi il beato Domenico Spadafora ci riunisce per fare festa. Quale festa?
La festa per la sua memoria ancora viva dopo 500 anni (fatto ancor più sorprendente del suo corpo incorrotto). La festa per le grazie che la sua intercessione ci ottiene presso il Signore. Festa soprattutto per il messaggio che in questo anno giubilare della misericordia egli ci riconsegna. E’ un messaggio di conversione. Ci parla di braccia spalancate di un Dio che ci aspetta. E perché mai si sale al suo santuario se non per questo? So che qui viene celebrato con assiduità e frequenza il sacramento della riconciliazione. Qui si alternano gruppi di preghiera, una sorta di staffetta per l’intercessione. Si rinnovano propositi di vita cristiana. E si impara dall’esile frate domenicano la testimonianza: una testimonianza come la sua, trasparente (con la vita), contestuale (adeguata ai tempi), coraggiosa (con libertà e franchezza). Egli fu un missionario. Lasciò la carriera accademica e le cariche del suo ordine per venire nelle nostre valli per vivere il motto domenicano: Contemplata aliis tradere.
Bellissima la coincidenza che oggi ci fa incontrare il cuore del terzo Vangelo, il Vangelo di Luca. Siamo nel vangelo del Vangelo! Come i detti di Gesù che abbiamo letto la scorsa domenica, così radicali, avevano come sfondo un banchetto con gente per bene, le parabole della misericordia che ci accingiamo a meditare hanno come sfondo un banchetto con pubblicani e peccatori. Gesù questa volta ha cambiato campo: scribi e farisei sono presenti, ma a distanza, indignati per il comportamento del profeta di Nazaret. Le parabole sono tre. Le prime due sono parabole “gemelle” (si possono leggere in parallelo); protagonisti: un uomo -è un pastore- che ha perso una pecora e una donna -è una donna di casa, una massaia- che ha perso una moneta; la terza parabola racconta di un padre che perde un figlio (ma abbiamo già letto questa parabola nella Quaresima scorsa, pertanto non viene letta oggi). Tutte e tre hanno in comune alcune parole chiave: il perdere, il cercare, il gioire. Inoltre ci offrono l’immagine di Dio e il comportamento di Gesù: un tratteggio sorprendente, unico nella letteratura religiosa di tutti i tempi. Ma nelle parabole si riflette anche una preoccupazione pastorale: il problema dell’accoglienza di chi ha sbagliato. I tre racconti esprimono un pressante invito a cambiare mentalità ad entrare nelle vedute di Dio, a capire il suo agire, a condividere la sua gioia, condizione necessaria per entrare in comunione con lui ed avere il suo pensiero.
Salvare chi si perde.
Appare abbastanza illogico abbandonare un gregge intero  per andare alla ricerca di una sola pecora che si è perduta! 99 contro 1, ma questo contrasto mette in risalto l’interesse del pastore per la singola pecora: il fatto che la pecora si trovi in difficoltà basta per mobilitare la sua attenzione e le sue energie su quella sola. Il Vangelo di Tommaso (n. 107), a sua volta, riporta una parabola della pecora perduta. Ma in questo apocrifo, la pecora perduta è la più grande, la più bella, la preferita del pastore che va alla sua ricerca. L’insegnamento di Gesù è completamente frainteso: se un pastore perde una pecora del gregge, certo farà l’impossibile per ritrovarla, non perché è la migliore, ma semplicemente perché gli appartiene. Così agisce Dio. Se per Dio il peccatore ha tanto valore, non è perché possiede delle qualità particolari, ma proprio perché ha bisogno di aiuto. Gesù incarna il comportamento di Dio che per primo va in cerca di ciò che è perduto, e che rende visibile sedendo a tavola con i peccatori e i pubblicani. Il rapporto fra le novantanove pecore e la sola che è scappata accentua ancor più il prezzo che Dio dà alla salvezza di ciascun essere umano. E noi? Abbiamo la stessa preferenza nel raggiungere chi si perde o resta indietro? Quali sono le nostre priorità pastorali? Siamo disposti come la donna della parabola che ha perso la moneta a spazzare via ogni pregiudizio dal nostro cuore e davanti alla porta delle nostre comunità perché non siano chiuse come dogane, come scrive papa Francesco (cfr EG 47)? Saremmo poi farisei a nostra volta se non ci facessimo consapevoli d’avere in noi zone smarrimento e buio, bisognose di ritrovamento e di luce.
Cercare chi si perde.
Osserviamo il pastore che cammina e fatica sulle tracce della pecora perduta: quanta strada, quanti sentieri, quanta salita, quante discese… Osserviamo la donna nella sua povera casetta palestinese (con una piccola finestrella insufficiente per vederci bene) che accende la lampada, spazza accuratamente su un pavimento sconnesso, probabilmente di pietra e di terra: quanta costanza, quanta caparbietà…
Cercano finché non trovano. L’uno e l’altra non si scoraggiano, non si danno per vinti. Così il Signore: non lascia nulla di intentato. Impariamo. Non dovremmo mai interrompere un dialogo, eliminare un ponte. Camminiamo sui passi di Gesù.
Gioire per chi è stato ritrovato.
Non è vero, come talvolta si dice a proposito della teologia dei fratelli di altre religioni, che comunque l’dea di Dio è la medesima in tutte. Il cristianesimo rivendica giustamente di custodire un’immagine di Dio del tutto originale. Certo Dio è l’unico Dio, ma Gesù ce ne dà una descrizione con dei contorni esatti, sorprendenti, unici. Gesù ci mostra il volto raggiante di Dio, raggiante di felicità per aver trovato e accolto chi era perduto, per radunare attorno a sé le creature nella sua casa. La parabola della pecora perduta è narrata anche dall’evangelista Matteo che insiste più sulla ricerca, Luca invece più sulla gioia del ritrovamento (è presente il tema del compimento del regno e del banchetto escatologico). E come interpretare “i giusti che non hanno bisogno di conversione”? Se pensiamo agli avversari di Gesù è evidente il tono ironico: e chi non ha bisogno di conversione? Se l’evangelista pensa veramente ai veri “giusti” di cui ha parlato all’inizio del suo vangelo, allora vuole sottolineare come la gioia di Dio per i peccatori che tornano è davvero una gioia speciale, quella delle grandi occasioni; gioia che non ha l’opportunità di prodursi a proposito dei giusti!
L’evangelista vuole smentire il volto di Dio che talvolta ci immaginiamo, volto di un giudice implacabile. “Gioite con me”, dice. Condividiamo la sua gioia e facciamo festa per ogni ritorno: il nostro e quello dei fratelli!

Omelia XXIV Domenica del Tempo Ordinario

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi

San Leo, 11 settembre 2016

Sante Cresime

Es 32,7-11.13-14
Sal 50
1Tm 1,12-17
Lc 15,1-32

Cari ragazzi, oggi diventate testimoni e annunciatori di un messaggio straordinario: il messaggio della misericordia. Non è vero, come talvolta si dice a proposito della teologia di altre religioni, che comunque l’dea di Dio è la medesima in tutte. Il cristianesimo rivendica giustamente di custodire un’immagine di Dio del tutto originale. Certo Dio è l’unico Dio, ma Gesù ce ne dà una descrizione con dei contorni così particolari, così sorprendenti, da essere unici. Gesù ci mostra il volto raggiante di Dio, raggiante di felicità per aver trovato e accolto chi era perduto, per radunare attorno a sé le creature nella sua casa. Sentite il vangelo che oggi viene letto in ogni parte del mondo.
Pubblicani e peccatori vanno a Gesù per ascoltarlo. E lui li accoglie. I farisei e gli scribi trovano la cosa sconveniente. In quei peccatori, probabilmente, funzionavano ancora le antenne che rendono possibile la comunicazione interpersonale: colgono il guizzo di gioia che Gesù prova nell’incontrarli. Si sentono attesi, conosciuti, amati e, non ostante tutto, stimati, ritenuti capaci di essere gioia per qualcuno. Ritrovano, così, il senso della vita. Gesù non nasconde di provare gioia e poi la manifesta accettando l’invito a tavola. Vorrebbe condividere questo sentimento con i responsabili del suo popolo. Purtroppo, dall’alto della loro aristocrazia spirituale, i responsabili di ieri (speriamo non quelli di oggi), ritengono inammissibile questo stile accogliente.
Ma non temano i ben pensanti: Gesù non transige sulla verità e sulla pratica della virtù, non accetta compromessi; invita i peccatori a ravvedersi e si rivolge loro con forza e soavità: Non peccare più! Come dire: ce la puoi fare. Coraggio: io credo in te! In tre parabole successive Gesù descrive minuzio­samente l’atteggiamento di Dio, il suo ardore nel cercare il peccatore, il suo patire e il suo gioire. Si perde una pecora, si perde una dracma, si perde un figlio: anche Dio ha le sue sconfitte. Ma l’amore vince proprio perdendosi dietro a chi è perduto. Se Dio accetta le mie sconfitte perché non dovrei perdonare agli altri e a me stesso? Ritorno all’incipit di questa pagina evangelica; testualmente: Siccome tutti i peccatori e pubblicani si avvicinavano a Gesù per ascoltarlo… Mi chiedo come mai i peccatori, i cosiddetti “lontani”, si sentivano attratti da Gesù, mentre oggi tanti sfuggono alla Chiesa e alle nostre comunità? E penso a me, al mio ministero di pastore: perché “i peccatori” mi girano alla larga? Confesso d’essere andato un po’ in crisi. E tuttavia devo riconoscere che proprio nella Chiesa, a mia volta, ho trovato il perdono e la gioia. Sono stato accolto!