Archivio per mese: ottobre, 2015
Omelia della XXX Domenica del Tempo Ordinario
/in Omelie vescovo Andrea /da Paola GalvaniOmelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi
Fiorentino (RSM), 25 Ottobre 2015
Ger 31,7-9
Sal 125
Eb 5,1-6
Mc 10,46-52
Da Gerico Gesù sta per partire per Gerusalemme. E’ la città che un tempo Giosuè prese facendo suonare le trombe e lanciando il grido di battaglia. A Gerico, fuori porta, seduto fra gli altri questuanti, c’è il cieco Bartimeo. Ha sentito parlare del giovane profeta e taumaturgo, perciò vuole incontrarlo, perché considera quella la sua ultima occasione per essere guarito. Ma a Gerico c’è sempre un “muro”, in questo caso i discepoli che, come guardie del corpo, circondano Gesù e la folla dei pellegrini che avanza vociante e a spintoni. Ed anche il “muro” della sua condizione: non può vederlo, è confinato ai margini della strada a mendicare, e non possiede che un logoro mantello che gli serve per coprirsi la notte e per raccogliere gli spiccioli. Bartimeo non ha che un arma, alzare la voce. E allora, come Giosuè, dà fiato alle trombe e lancia un urlo: Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me! La folla lo ignora, i discepoli lo sgridano – tutti vogliono che la miseria resti nascosta, non si mostri, non disturbi la vista e i sonni di chi sta bene – ma lui continua ad invocare e il suo grido raggiunge il cuore di Cristo. Ecco la vera preghiera. E’ un grido: Signore salvami! Guariscimi dalla cecità che mi impedisce di incontrarti e di trovare la strada del bene e della vita! Non è importante che la preghiera sia formalmente perfetta – Bartimeo lancia un urlo rauco e scomposto… – ma che scaturisca dalla fede in Cristo. Allora tante “mura di Gerico” crolleranno.
Gesù si ferma e lo chiama. Bartimeo, stupito e confuso esita, tanto che lo devono spingere: Coraggio! Alzati, ti chiama! Esita perché Gesù gli sta chiedendo di abbandonare la sua postazione strategica e lasciare lì la sua coperta. Ma poi si decide: balza in piedi e, gettato via il mantello, si presenta a Gesù. Solo allora può essere guarito. Anzi, non avendo più nulla, dice il vangelo: prese a seguirlo; diventa suo discepolo. Certamente la preghiera fatta con fede penetra nel cuore di Cristo. Ma ci richiede un atto di coraggio: abbandonare la nostra cuccia di indolenza e seguire Cristo liberi e leggeri.
Omelia della XXIX Domenica del Tempo Ordinario
/in Omelie vescovo Andrea /da Paola GalvaniOmelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi
Fratte, 18 ottobre 2015
Is 53,10-11
Sal 32
Ebr 4,14-16
Mc 10, 35-45
«Non come voglio io, ma come vuoi tu »! Gesù accondiscende alla preghiera di Giacomo e Giovanni: Che cosa volete che io faccia per voi? I due apostoli fratelli ci fanno sorridere per il loro candore: Vogliamo sedere nella tua gloria uno a destra e uno a sinistra. Nella Bibbia la Gloria di Dio non è la fama o la celebrità, ma la presenza luminosa, attiva e potente di Dio. La Gloria si è manifestata nello splendore del Sinai, nella nube lungo i sentieri dell’Esodo. I Salmi dicono che i cieli cantano la Gloria di Dio. La Gloria è l’essenza stessa di Dio nel suo manifestarsi come presenza amorosa accanto al suo popolo e, quando è necessario, contro i suoi nemici. Giovanni un giorno – dopo la lezione impartitagli dal Maestro – scriverà che la Gloria di Dio ha preso forma nell’umanità di Gesù, sacramento dell’incontro con Dio. Mistero, presenza, prossimità…I discepoli, ancora in cammino, hanno equivocato; pensano la Gloria alla maniera umana. Ma la lezione è chiara: Chi vuole essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. Nonostante la gelosia scatenata nel gruppo, i due fratelli ci riescono simpatici. Con fierezza giurano d’essere pronti a tutto. Fierezza nel proponimento e insistenza fiduciosa nella preghiera! Non aveva detto Gesù «Chiedete e otterrete»? Ma pregare non è pretendere che Dio faccia quello che vogliamo noi, ma disporsi a fare quello che vuole lui. Come insegna la preghiera del Padre Nostro: Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra. Così ha pregato Gesù nel Getzemani: Abbà, Padre, tutto è possibile a te, allontana da me questo calice! Però non come voglio io, ma ciò che vuoi tu.
E’ una lezione importante anche per noi che facciamo della Volontà di Dio il motivo guida del nostro cammino di fede. Gesù parla ancora di un calice, immagine attorno cui si svilupperà la sua implorazione nella tremenda notte del Getzemani. Allude al calice della passione, amaro di tutto il fiele che è nel mondo.
La Gloria di Gesù è il dono della sua vita. Una vita “rapita” per chi lo uccide; una vita “donata” nell’interpretazione data da Gesù. Il calice di Gesù è nostro programma di vita: Eucaristia, ne beviamo ogni volta che moriamo a noi stessi, risurrezione perché chi ama passa da morte a vita (cfr 1Gv 3,14).
Vivere diversamente si può, cibo e giustizia- incontro con Don Ciotti
/in Eventi e Notizie /da Don PinoOmelia XXVIII Domenica del Tempo Ordinario
/in Omelie vescovo Andrea /da Paola GalvaniOmelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi
Sartiano, 11 Ottobre 2015
Sap 7,7-11
Sal 89
Eb 4,12-13
Mc 10,17-30
È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago…
Quest’ immagine sorprende ogni volta. Circolava già al tempo di Gesù, poi trascritta nel Talmud con un dettaglio diverso: l’animale alle prese con la cruna dell’ago era un elefante; un detto per affermare una quasi impossibilità. E’ un’espressione di una grande radicalità che non dobbiamo in nessun modo annacquare: davvero la ricchezza può essere un ostacolo decisivo sulla strada del regno di Dio. Ma è un ostacolo anche l’ansia per la ricchezza che non c’è. A volte diviene pessima consigliera, fino a suggerire ciò che è male. Quasi sempre fa sprofondare nella paura o nella sfiducia o nell’invidia.
Ma tutto è possibile a Dio: è la bella notizia contenuta in questa pagina. E possibile perfino – incredibile! – il cambiamento dei nostri cuori di pietra in cuori di carne. Non consiste in questo l’essere salvati? Cioè, diventare capaci di vivere liberi, in pace con Dio e con gli altri; capaci di utilizzare le ricchezze (che di per sé non sono cattive) come mezzo per il bene e non come unico scopo dell’esistenza; capaci di vincere le tentazioni che portano fuori dalla strada tracciata da Gesù.
Che cosa mi manca? È la domanda del giovane ricco che si presenta a Gesù come uno che invece pensa di avere tutto. E’ un giovane virtuoso, ed è sincero nella sua domanda: Che cosa mi manca? Chi di noi si sente di chiedere a se stesso, con schiettezza, «che cosa mi manca»? A quel giovane mancava una cosa, una sola: la libertà. E’ un rappresentante di quanti sono posseduti da quanto possiedono.
Gesù gli dice: Va’ vendi tutto quello che hai, dallo ai poveri e seguimi… A queste parole, annota il vangelo, se ne andò triste, perché aveva molti beni. Pietro e gli altri discepoli erano probabilmente meno ricchi di quel giovane, ma sicuramente più liberi: Ecco, abbiamo lasciato tutto per seguirti… Una proposta: teniamoci cara la domanda «che cosa mi manca?». E poi aiutarci a fare quanto propone Gesù!