Periodico Montefeltro Novembre 2014

Omelia S.Messa di chiusura Esercizi Spirituali del Clero

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi

Ginestreto (PU), 21 novembre 2014

La presentazione al tempio di Maria è una memoria devozionale legata al ricordo della dedicazione di una chiesa in Gerusalemme. Tale festa ci dà occasione di considerare l’ambiente spirituale degli “anawim”, i poveri di Jahvè, così non per condizione sociale, ma per una qualifica interiore. Sono quei “piccoli” che tutto si aspettano da Dio, poveri perché non hanno nessun altro appoggio, sicurezza, risorsa su cui confidare. Non godono di nessun vantaggio se non il fatto che Dio li guarda e di loro si prende cura. Sono gli anonimi protagonisti dei salmi, che pregano così: «Solo in Dio riposa l’anima mia». «Come un bimbo svezzato è l’anima mia». «Come una cerva anela…». «Tu mi scruti e mi conosci». Maria dirà: «Ha guardato la piccolezza della sua serva» (Lc 1,48). Gli “anawim” stanno sulla soglia fra Antico e Nuovo Testamento. Il Nuovo Testamento ricorda Zaccaria, Elisabetta, Simeone, Anna… Altri ci sono ricordati dalla tradizione non biblica come Gioacchino e Anna. Ma al centro è Maria, la fanciulla di Nazaret, piena di grazia, tutta di Dio, ma non per questo meno “incarnata”: promessa sposa con tutte le emozioni – immaginiamo – di una fidanzata; mamma in una situazione rocambolesca; profuga con una famiglia sulle spalle; alle prese con un figlio dodicenne che pronuncia parole cariche di mistero; vicina alla gente del villaggio (le nozze di Cana), in cammino sulla via di Gesù. La ritroveremo al Calvario e col gruppo dei Dodici, la nuova famiglia di Gesù. Ci viene descritta così, nella peregrinazione della fede: anche per lei la fede è stata un cammino con i suoi misteri.
Nella festa della presentazione di Maria viene evocata l’offerta che Maria fa di sé per i disegni della Redenzione. Potremmo quasi insinuare che, in realtà, viene presentata e dedicata al tempio che è Gesù stesso: “Figlia del suo Figlio” (Dante Alighieri, Divina Commedia, Paradiso, Canto XXXIII). Basta pensare alla teologia del tempio nel Vangelo di Giovanni (2, 14-21).
Il Vangelo ci riferisce una domanda singolare di Gesù: «Chi è mia madre?». Come interpretarla? Gesù sapeva bene chi era sua madre. La conosce per la conoscenza che gli viene dal Padre. Lungi dal respingere colei che gli ha dato la vita, l’onora proponendola come modello di fede. In effetti chi più di lei ha fatto la volontà del Padre ogni giorno della sua vita? Si è madre, fratello, sorella del Signore facendo la volontà di Dio (cfr. Mc 3,35).
Così Gesù apre a noi la via di una parentela spirituale e, per il legame con Gesù, Maria diventa nostra madre, nostra sorella e ci guida con sicurezza nel cammino della santità.
Il messaggio è chiaro: mettersi in ascolto e saper vedere negli avvenimenti la volontà di Dio per diventare, nella fede e nella confidenza, come Maria, madri, fratelli e sorelle del Signore.
Nel prefazio sentiremo cantare la bellezza di Maria:
bella nella immacolata concezione,
bella nella maternità col suo bimbo che nutre al seno,
bella nella sua pellegrinazione al seguito di Gesù,
bella ai piedi della croce: agnella imporporata dal sangue dell’Agnello,
bella nella gloria della risurrezione.

Chiudiamo questi giorni di Esercizi spirituali con l’affidamento di noi stessi a lei. A lei affidiamo le nostre comunità, i nostri confratelli. A lei affidiamo il proposito di fare nostro il programma di riforma in chiave missionaria che ci propone il Papa.
La carica missionaria trae la sua sorgente nella relazione feconda con il Signore. Una relazione da custodire premurosamente, da difendere quando è necessario dagli attacchi dello spirito del mondo.
È necessario, utile e bello che diventiamo “esperti” delle cose dello spirito. Per noi e per quanti ci sono affidati e aspettano da noi una guida sicura, non “libresca” ma “provata”.
Raccomando a tutti la ripresa della direzione spirituale e la pratica quotidiana della lectio divina.
Concludo con le parole di papa Francesco:
«Senza momenti prolungati di adorazione, di incontro orante con la Parola, di dialogo sincero con il Signore, facilmente i compiti si svuotano di significato, ci indeboliamo per la stanchezza e le difficoltà, e il fervore si spegne» (EG 262).

Ritiro di Avvento

Serata di contemplazione

Omelia della XXXIII Domenica del Tempo ordinario

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi

Scavolino, 16 novembre 2014

Mt 25,14-30

Cari amici, ecco il motivo del nostro riunirci festoso in questa domenica d’autunno: dire grazie al Signore per i frutti della terra. E dire “grazie” anche a chi continua ad avere fiducia nella terra. Imparino i più giovani, e gli adulti raccontino la bellezza del vivere in sintonia con la natura. Il sudore della fronte e la fatica sono – secondo Genesi 2 – eredità del peccato, ma dopo la redenzione diventano una benedizione feconda. Così preghiamo ogni domenica: «Benedetto sei tu Signore, Dio dell’universo, dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane frutto della terra e del lavoro dell’uomo…».
Il Regno di Dio, che cominciamo a gustare qui e ora, non è solo splendore e tenerezza, ma anche responsabilità. Nel Regno di Dio si lavora!
Il lavoro rende, in qualche modo, simili a Dio che ha fatto il mondo e lo regge con la sua Provvidenza. Nella Genesi viene fotografato con le abili mani del vasaio: prende la creta dalla terra e con essa plasma l’uomo; è immaginato come levatrice che soffia nelle narici del neonato che così comincia a respirare, o come chirurgo che dal torace di Adamo espianta la costola da cui viene creata la donna. Dio è raffigurato anche come un sarto che prepara il vestito per Eva e Adamo. Metafore dell’amorevole “lavoro” divino, svolto in totale gratuità. Opposta alla laboriosità è l’accidia: il vizio (grave!) di chi non sa assumersi responsabilità. L’accidia ha due forme: quella della pigrizia (indolenza, svogliatezza, ozio, inerzia, inoperosità) e quella dell’attivismo (lavoro come stordimento e alibi per il disimpegno dai doveri principali o dalla cura dei rapporti). Propongo tre sottolineature. Tutti i lavori sono importanti e “sacri”, compresi quelli domestici, umili e nascosti, compreso il servizio gratuito al vicino di casa, in parrocchia, nel volontariato. Il lavoro è la via normale per il proprio sostentamento, per mettere insieme uno stipendio e per realizzarsi, ma, in fondo, si lavora sempre per gli altri. Mai dimenticarlo! C’è un lavoro fra tutti il più trascurato: è la cura dell’anima. Non bastano le promesse da marinaio; ci vuole la pratica della vigilanza, l’ascolto del cuore, la preghiera! La parabola dei talenti ci insegna che Dio ha stima di noi e conosce le nostre possibilità; non pretende che siamo perfetti, ma chiede di non sprecare la vita e di non sottrarci alle responsabilità, anche minime, ma sempre preziose ai suoi occhi. La mentalità corrente, al contrario, pretende molto, troppo, salvo poi creare ansie e alimentare pesanti frustrazioni (burn-out). Allargando la considerazione ai grandi temi dell’attualità, domandiamoci se non vi sia nell’ingiustificato rinvio del matrimonio (secondo i dati Istat, per la prima volta, l’ anno scorso, il numero dei matrimoni è sceso sotto quota 200mila; e sono 53mila le nozze in meno negli ultimi cinque anni), o nella paura a mettere al mondo figli, o nella latitanza nell’educazione (genitori sempre più assenti), anche una mancanza di fiducia e di confidenza in Dio. Il servo che sotterra il talento – per stare alla parabola – è un pauroso. Lascia a riposo la creazione, mentre gli è affidata per farne esplodere le potenzialità. Egli può guarire solo recuperando un rapporto di fiducia. Questo il messaggio che vogliamo raccogliere da questa giornata del ringraziamento.

 

“I fatti e i giorni” dal 9 al 15 novembre

Settimana dal 9 al 15 novembre 2014

Bagnasco e… il Cavallo di Troia

Si è appena conclusa ad Assisi l’assemblea straordinaria dei vescovi italiani: in agenda temi importanti; il più rilevante la formazione permanente del clero.
Nel suo saluto papa Francesco ha ricordato, a questo proposito, che alla Chiesa “non servono preti clericali il cui comportamento rischia di allontanare la gente dal Signore, né preti funzionari che, mentre svolgono il loro ruolo, cercano lontano da lui consolazioni”.
Come di consueto il presidente dell’Assemblea, il Cardinale Bagnasco, ha toccato nella prolusione temi dell’attualità ecclesiale e italiana, dal lavoro che non c’è alla necessità di rifondare la politica, dalla questione giovanile alla scuola. E in questo contesto ha dedicato particolare attenzione alle problematiche che sono state al centro del Sinodo svoltosi di recente a Roma.
Ha fatto grande scalpore un inciso del suo discorso. Titoli cubitali sulla stampa, reazioni e commenti a catena sul web. Il Cardinale Bagnasco richiama semplicemente la centralità del messaggio sinodale spesso dirottato su aspetti e preoccupazioni fuorvianti, come l’insistenza a considerare i casi particolari, trascurando l’essenziale. Oppure dando considerazione a unioni che non possono pretendere di essere equiparate alla famiglia. Operazione astuta; ed è questo a cui allude Bagnasco. Dalle reazioni, tuttavia, si vede che ha colpito nel segno. Ecco le sue parole: si indebolisce la famiglia “creando nuove figure, seppure con distinguo pretestuosi che hanno l’unico scopo di confondere la gente e di essere una specie di cavallo di Troia di classica memoria”. Come si sa il Cavallo di Troia è l’invenzione di Ulisse per espugnare la città: far credere che il “cavallo” è un segno di pace o un ex-voto mentre il suo ventre è gravido di guerrieri armati fino ai denti. Tra l’altro, nel discorso di Bagnasco, la metafora è un inciso, bene si farebbe a meditare quel che segue: “La famiglia, come definita e garantita dalla costituzione, continua ad essere il presidio del nostro paese, la rete benefica morale e materiale, che permette alla gente di non sentirsi abbandonata e sola davanti alle tribolazioni e alle ansie del presente e del futuro (…). L’amore non è solo sentimento: è decisione; i figli non sono oggetti né da produrre né da pretendere o contendere, non sono a servizio del desiderio degli adulti: sono i soggetti più deboli e delicati, hanno diritto ad un papà e ad una mamma. Il nichilismo, annunciato più di un secolo fa, si aggira in Occidente, fa clima e sottomette le menti”.
Dopo aver espresso soddisfazione per i passi avanti negli aiuti alle famiglie, il Cardinale le ha elogiate: “Il forte senso della famiglia deve renderci fieri in Italia e all’estero”.

La famiglia, dunque, continuerà ad essere impegno primario anche per la comunità diocesana sammarinese-feretrana. Impegno che è stato ribadito e condiviso dai partecipanti alla consulta delle aggregazioni ecclesiali tenutasi a Pennabilli giovedì scorso. All’incontro hanno partecipato i rappresentanti di dieci tra movimenti, gruppi e associazioni. Ogni aggregazione, per bocca del suo rappresentante, ha condiviso la propria idea-forza, gli obiettivi che persegue, la consistenza organizzativa, ecc. Al di là del numero degli aderenti che ne fanno parte, ognuna ha un vasto campo di influenza. Se la consulta di per sé nasce debole, in quanto organismo di coordinamento (mentre obiettivi e metodi sono propri e specifici), in realtà è una grande risorsa per la presenza militante di così tanti laici motivati e organicamente inseriti nella Chiesa locale.

 

Omelia XXXII Domenica del Tempo ordinario

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi

Piacenza, 9 novembre 2014
Convegno Regionale delle Presidenze AC

Gv 2,13-22

Celebriamo la festa della Dedicazione della prima cattedrale di Roma: San Giovanni in Laterano. Una splendida occasione per riconsiderare la Chiesa di pietre vive a partire dal luogo dove essa si riunisce; una ulteriore opportunità per sentirci membra vive di un unico corpo; un rinnovato invito a stringerci attorno al Papa e alla Chiesa di Roma che presiede alla carità (cfr. Ignazio d’Antiochia Lettera ai Romani 1,1).
Lasciamo la lettura continuata del Vangelo di Matteo per metterci in ascolto di questa stupenda pagina di Giovanni.
L’evangelista racconta la prima delle tre Pasque che Gesù ha vissuto a Gerusalemme. In occasione di quella solennità compie uno dei gesti più significativi in ordine alla Rivelazione: il segno del Tempio. Gesù si manifesta come il vero ed unico “luogo” della manifestazione di Dio e della sua presenza salvifica con gli uomini.
Ma che cosa rappresentava il tempio per la fede e per la vita del popolo d’Israele? Il tempio era unico in tutto Israele, centro e simbolo dell’unità religiosa e politica; in esso risplendeva la gloria del Signore, la sua presenza. La sua distruzione costituirà per Israele un terribile choc.
Così cantavano i pellegrini che salivano al tempio: «Meglio un giorno solo nei tuoi atri che mille altrove» (Sal 83, 11). Gesù ha grande considerazione e rispetto per il tempio. Come ogni pio israelita, Gesù sale al tempio cantando i salmi delle ascensioni, col cuore colmo di emozione e stupefatto per tanta bellezza e splendore. Gesù prega e insegna nel tempio. Che cosa trova anche? Al tempio confluivano folle enormi di pellegrini per la Pasqua, ed era necessario aprire negli atrii un mercato di pecore, buoi e colombe per le offerte sacrificali, dal momento che non potevano portarli con sé dai luoghi di provenienza. Inoltre, i fedeli venivano dalle regioni più lontane ed erano perciò necessari anche cambiavalute.
Gesù compie nei confronti dei “mercanti” un’azione simbolica profetica: prende alcune funicelle, che servivano per condurre gli animali, e violentemente rovescia bancarelle, soldi e cesti di animali e sbatte fuori tutti. Il mercato del tempio aveva già acceso d’ira il profeta Zaccaria (cfr. Zac 14,21), ma la motivazione era ben diversa. Gesù non se la prende con i venditori o con i loro eventuali affari illeciti. Di per sé non si propone di riformare il culto, ridando decoro al tempio e facendo sì che torni ad essere un luogo dove si possa pregare dignitosamente. Non si tratta tanto di una purificazione del tempio, come nei racconti analoghi dei sinottici, ma Gesù si sostituisce all’istituzione stessa del tempio. Esso ha finito il suo compito; non solo i venditori, ma il tempio stesso sta per terminare la sua funzione. Ciò è perfettamente in linea con quanto Gesù dirà alla Samaritana: «Non più su questo monte o a Gerusalemme… ma viene un’ora, ed è questa, in cui i veri adoratori adoreranno Dio in spirito e verità» (Gv 4,21-24). Nella nuova comunità non c’è più un tempio, perché Cristo è il suo tempio (cfr. Ap 21, 22). È dunque un gesto messianico decisivo quello compiuto da Gesù, non semplicemente un richiamo morale o liturgico: «Egli infatti parlava del santuario del suo corpo» (Gv 2,21). Solo a Pasqua i discepoli, illuminati dallo Spirito, capiranno che il Risorto è il Tempio di Dio, distrutto da chi l’ha ucciso e riedificato dopo tre giorni.
È Gesù, Verbo incarnato, il luogo della dimora definitiva di Dio fra gli uomini. Una volta era il tempio, ma poi, per la malvagità del suo popolo, la gloria ha abbandonato il tempio (cfr. Ezechiele 10,18ss) per tornarvi nei tempi messianici (cfr. Ezechiele 40-43). È solo in Gesù che Dio manifesta tutta la sua gloria.
È solo in Gesù che l’uomo incontra Dio, che è la vita, perché Gesù è quel tempio da cui scaturisce l’acqua viva che sana ciò che è morto.
In profonda unione a Cristo la comunità cristiana rende il vero culto gradito a Dio che autentica anche il culto liturgico al tempio (cfr. Efesini 1,13). Un tempio fatto con pietre vive (prima lettera di Pietro 2,5).

Periodico Montefeltro Ottobre 2014