Scavolino 17 Novembre 2013
Stiamo vivendo un tempo di crisi e non soltanto economica, ma anche sociale, morale e quindi di valori, ma questo non giustifica le voci di coloro che Papa Giovanni chiamava “profeti di sventura”, e che a partire dalla difficile situazione attuale, predicono la catastrofe, il sovvertimento del cosmo la fine del mondo imminente. Sappiamo che tutto ciò che esiste è stato creato e va verso una fine, una conclusione, ma quanto ai tempi e ai momenti, come ricorda il Vangelo non sta a noi individuarli.
Ci stiamo avvicinando alla fine dell’anno liturgico, durante il quale la Chiesa celebra e medita l’opera della salvezza operata da Cristo e della quale siamo resi partecipi attraverso la liturgia, e anche le letture che abbiamo ascoltato ci orientano alla meditazione non solo della nostra fine, ma soprattutto del fine della nostra vita. Infatti il racconto evangelico non è una cronaca minuziosa di ciò che accadrà alla fine del mondo, ma una lettura storica, con un linguaggio apocalittico del periodo in cui l’evangelista vive, per applicarlo al ritorno del Signore. Infatti la distruzione del tempio di Gerusalemme è del 70 dopo Cristo, ed è anche quello il periodo di grandi calamità quali la guerra dei Germani contro Roma, la distruzione di Ercolano e Pompei ad opera del Vesuvio, la lotta intestina per il potere in Roma. Dalla lettura di questi eventi S. Luca prende spunto per ricordare che certamente il mondo avrà una fine che non va attesa in una paura paralizzante, ma come coscienza della ricapitolazione in Cristo di tutte le cose, della definitiva sconfitta del male, e dell’incontro gioioso con lo sposo.
Il giorno del Signore si manifesta come il momento privilegiato in cui la giustizia trionfa nella storia, e la speranza e la fiducia sono il distintivo del cristiano. Levate il capo, perché arriva la vostra liberazione : il Signore è vicino. E noi abbiamo bisogno di lui.
Senza Dio l’uomo non riesce a creare una società buona e giusta. E senza anelito alla giustizia, nell’umanità non ci può essere autentica adorazione di Dio.
Oggi poi la comunità di Scavolino celebra la festa del ringraziamento, festa che la Chiesa ha celebrato domenica scorsa. Faremo alcune riflessioni alla luce di questa celebrazione.
Una delle principali caratteristiche della vita cristiana è la consapevolezza che a cominciare dalla nostra vita tutto è dono di Dio, e quindi se tutto è dono, dobbiamo sapere ringraziare colui che è la fonte dei Doni. Dio stesso. La Eucaristia che celebriamo e che è costitutiva della vita cristiana, (il Concilio Ecumenico Vat II la definisce “culmenn et fons” della vita cristiana), é ringraziamento. Eucaristia significa rendimento di grazie. E l’apostolo Paolo scriveva Timoteo: “voglio “prima di tutto , che i cristiani facciano preghiere, suppliche, intercessioni e ringraziamenti per tutti gli uomini elevando al cielo mani pure.”
Per la Giornata Nazionale del Ringraziamento la CEI ha inviato un messaggio sul tema : “La terra: un dono per l’intera famiglia umana”.
Qualche breve parola su questa Giornata e su questo messaggio. Prima però, desidero salutare tutti i presenti, e le Autorità Civili e militari di ogni ordine e grado, i Responsabili delle Associazioni di categoria, dei Coltivatori, diretti, degli Agricoltori, nei cui confronti la Chiesa e la stessa Società civile esprimono la loro gratitudine, dopo averla espressa nei confronti di Dio, Creatore e Signore del cielo e della terra, a cui Dio ha affidato il compito di nutrire l’umanità, che a sua volta deve coltivare la terra rispettandone la natura e la destinazione al bene universale di tutte le genti, di tutti i luoghi, di tutti i tempi.
Sul tema è bene non dimenticare quanto disse il Concilio Vaticano II (e poi il Magistero Pontificio): “«Dio ha destinato la terra con tutto quello che in essa è contenuto all’uso di tutti gli uomini e popoli, sicché i beni creati devono pervenire a tutti con equo criterio, avendo per guida la giustizia e per compagna la carità» (Gaudium et spes, n. 69). Tale principio si basa sul fatto che «la prima origine di tutto ciò che è bene è l’atto stesso di Dio che ha creato la terra e l’uomo, ed all’uomo ha dato la terra perché la domini – nel senso di governarla – col suo lavoro e ne goda i frutti (cfr. Gen 1,28-29). Dio ha dato la terra a tutto il genere umano, perché essa sostenti tutti i suoi membri, senza escludere né privilegiare nessuno. È qui la radice dell’universale destinazione dei beni della terra. Questa, in ragione della sua stessa fecondità e capacità di soddisfare i bisogni dell’uomo, è il primo dono di Dio per il sostentamento della vita umana» (Giovanni Paolo II, Enciclica Centesimus annus, n. 31)” (Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, n. 171).
Alla luce di questo Magistero vogliamo sostare per un momento di riflessione sulla festa del Ringraziamento, che la Chiesa ha celebrato domenica scorsa e noi celebriamo oggi, lasciandoci illuminare dalla Parola di Dio. Nella sua Parola – e più precisamente nella prima pagina della Genesi -, per mezzo dello scrittore sacro, Dio ci offre una (anche se non l’unica) chiave preziosa per comprendere il valore della terra: “Dio disse: «La terra produca germogli, erbe che producono seme e alberi da frutto, che fanno sulla terra frutto con il seme, ciascuno secondo la propria specie»”. (Gen 1,11). Con queste brevi parole Dio vuole dirci che la terra e i suoi prodotti sono primariamente una Parola di Dio diventata concretezza, diventata creazione, realtà che le nostre mani possono toccare. La terra e i suoi prodotti, dunque, vanno “ascoltati” perché sono altrettante parole che Dio rivolge a noi.
Spesso però le parole della terra e dei suoi frutti gridano al cospetto di Dio, come il sangue di Abele (Gen 4,10). Molte, infatti, sono le sofferenze che si nascondo dietro ai frutti della terra e il lavoro degli agricoltori, come ci ricorda anche il messaggio della Commissione Episcopale:
– stima inadeguata per chi sceglie di fare l’imprenditore agricolo,
– burocrazia spesso lenta e impacciata nell’attuazione dei miglioramenti fondiari,
– credito non concesso da parte degli Istituti bancari,
– leggi non sempre all’altezza degli scopi che si prefiggono
– ed infine, ma non ultimo, lo sfruttamento che non tiene conto del rispetto e
della dignità delle persone.
Certamente non sono solo i lavoratori della terra a soffrire, ma anche molti altri soffrono per una grave crisi del tessuto produttivo del nostro territorio, quando improvvisamente è venuto a mancare il lavoro anche di quei pochi comparti industriali che ci sono nelle nostre zone.
Le parole della terra, però, dicono anche che ci sono ancora uomini, ormai pochi per la verità, audaci e generosi che hanno scelto di restare nei campi. e meritano di essere accompagnati con grande stima. . Per tutti le zolle della terra sono intrise del sudore e della fatica dell’uomo. Ma questo uomo non è solo. Il salmista, un uomo cha amava la terra come voi la amate, ringrazia Dio perché la potenza dell’Altissimo è passata attraverso le sue mani. Chi lavora la terra non è solo. C’è Dio con lui. Per questo motivo il salmista così prega: Tu Dio “così prepari la terra: ne irrighi i solchi, ne spiani le zolle, la bagni con le piogge e benedici i suoi germogli (Salmo 65). Da qui il dovere di essere, come ci ha ricordato papa Francesco “custodi della creazione, del disegno di Dio iscritto nella natura, custodi dell’altro, dell’ambiente” (Omelia di inizio del ministero petrino, 19 marzo 2013).
Il secondo capitolo del messaggio dei Vescovi dal titolo “Responsabilità e solidarietà” dice: “L’attenzione alle necessità alimentari dei popoli parte da un’attenta valorizzazione delle potenzialità della nostra terra. Ci si deve muovere in un contesto di responsabilità sociale dell’impresa e in un ritrovato ruolo di un’agricoltura che può tutelare l’ambiente e puntare alla caratterizzazione di prodotti che sono espressione del territorio; cioè, delle sue peculiarità naturali inserite in una tradizione e in una cultura che ne fanno qualcosa di più di una merce, ovvero, una manifestazione di senso connessa alla cultura della vita”.
A questo canto si uniscono anche le nostre voci di riconoscenza verso Dio. La terra e i suoi frutti, infatti, ci donano il messaggio che Dio non si è stancato di noi. Accanto a questo messaggio ci donano anche altre Parole, ricche di sapienza e di speranza; parole che non possiamo lasciar cadere affinché il nostro grazie a Dio sia pieno. Di fatto la terra e i suoi frutti ci dicono diverse verità che appartengono alla nostra fede e servono per la nostra vita spirituale. Tra queste ne ricordiamo almeno due: – che la pazienza che accondiscende ai tempi della Provvidenza, ripaga sempre; – che l’accoglienza del seme è garanzia di generosità perché la terra accoglie un seme e restituisce una spiga.
Queste Parole che a noi giungono dalla terra e dai suoi frutti sono per noi consenso di quanto la Parola di Dio ci dice per mezzo di Paolo: il nostro corpo mortale, come il seme, verrà accolto nel grembo della terra, paziente e generosa, che nel giorno ultimo restituirà, per volontà e intervento di Dio, una spiga, cioè un corpo risorto, glorioso, incorruttibile e obbediente alle leggi dello Spirito (cfr 1Cor 15,42-44).
Grazie Signore per quella fede che sa accogliere i frutti della terra e sa ascoltarne le parole. Grazie terra, grazie uomini e donne che la custodite e alla quale vi dedicate con passione e sacrificio.